Per un sapere disciplinare formativo
Carlo Fiorentini
La scuola rimarrà in mezzo al guado fin quando la contrapposizione sarà tra le vestali della cosiddetta cultura (i vari Lucio Russo, Giulio Ferroni, ecc.) e gli innovatori che prescindono dalla cultura disciplinare (quali, molti pedagogisti, o gli apolegeti delle magnifiche sorti progressive dell’ultima trovata tecnologica, prima le macchine per studiare di Skinner, poi il computer, oggi internet).
E’ emblematico in questo senso un recente libro di Francesco Antinucci “La scuola si è rotta”. La scuola è in crisi in tutti i paesi sviluppati sul piano economico e non vi sono speranze se non si modifica radicalmente le condizioni dell’apprendimento. L’analisi e la critica sono interessanti, la soluzione, a mio parere, totalmente fuorviante, il computer ed internet. Le motivazioni per questa prospettiva consistono nel pensare che solo il computer ed internet permetterebbero nella società attuale un apprendimento significativo, che soli essi permetterebbero allo studente di essere attivo costruttore delle proprie conoscenze. Per Antinucci l’alternativa è soltanto tra la scuola del programma, della struttura specialistica delle discipline, da una parte, ed il computer, dall’altra. E’ anzi meravigliato che ci possano essere altre alternative al disciplinarismo lineare ed ottuso, ed inefficace nella scuola di tutti.
“Proprio mentre scrivo queste righe (febbraio 2001) è stata portata a compimento, con il varo dei nuovi curricoli, una riforma della scuola italiana che, al contrario delle precedenti, vuole avere carattere di globalità e organicità. A conferma di quanto andiamo dicendo, si avverte ovunque, nel documento appena rilasciato che disegna i nuovi curricoli, un bisogno <<disperato>> di andare verso la dimensione dell’esperienza“. Vengono ripresi dalle indicazioni della Commissione De Mauro alcuni passaggi che si riferiscono alla lingua, alla matematica ed alle scienze: “L’educazione agli usi della lingua sopra definiti risulta potenziata da una riflessione sulla lingua da farsi il più possibile a partire da enunciati o da testi, orali e scritti, compresi quelli prodotti dagli stessi alunni… Si suggerisce di non introdurre i numeri e le loro operazioni ricorrendo alla teoria degli insiemi, ma partendo dalla realtà concreta degli allievi… Si consiglia di evitare le definizioni a priori delle figure geometriche…Il presupposto di un efficace insegnamento delle scienze è il contatto diretto dei bambini e dei ragazzi con gli oggetti di osservazione e di studio, il saper fare su cui costruire esperienza e sviluppare riflessione. Le esperienze devono partire da osservazioni reali ed essere quindi complesse e non pre-schematizzate”. Antinucci commenta: “che questo sia il vero punto è del resto confermato anche dai virulenti attacchi cui la riforma è stata sottoposta: tutti vertono sulla distruzione del <<sapere>>, della <<cultura>>, della <<conoscenza>>[1].
E’ paradossale che Antinucci, che indubbiamente fa un’analisi per molti aspetti stimolante, non si sia mai accorto dei tentativi, delle ricerche, delle sperimentazioni che da decenni stanno cercando di realizzare le proposte della Commissione De Mauro, e che, anzi, ne stanno alla base.
La dimensione formativa delle discipline nella scuola di tutti
Discutere oggi della dimensione formativa delle discipline ha senso in riferimento allo scenario costituito ormai da molti decenni dalla scuola di massa e dalle finalità politico-culturali che ci si propone: una scuola di massa, ma non soltanto di massa, una scuola di tutti e di qualità, che dia a tutti le competenze culturali necessarie per una cittadinanza consapevole, una scuola, cioè, che costituisca effettivamente una delle istituzioni fondamentali della democrazia ( non soltanto nelle buoni intenzioni delle leggi e dei programmi, ma anche nella realtà).
50 e più anni di scuola di massa nei paesi più sviluppati hanno evidenziato la grande difficoltà della democratizzazione effettiva della scuola; non è infatti sufficiente la democratizzazione soltanto negli accessi e nei diplomi. Troppi studenti dopo 8 – 10 anni di scuola sono sostanzialmente semianalfabeti e/o in un atteggiamento di totale rifiuto della scuola. Nel suo ultimo libro Insegnanti al timone Norberto Bottani riporta il dato, ripreso da una ricerca OCSE, di un 38% di studenti di 15 anni con un totale rifiuto della scuola[2]. In conseguenza di queste difficoltà c’è chi sostiene che una scuola di massa non possa che essere dequalificata e quindi ripropone politiche scolastiche elitarie.
Nel contesto internazionale, ed innanzitutto negli Stati Uniti, il problema della democratizzazione della cultura scolastica era stato già posto agli inizi del Novecento. La pedagogia nuova della prima metà del Novecento (ed in particolare Dewey) aveva compreso che le discipline nella loro organizzazione tradizionale (la scuola del programma) non potevano svolgere un ruolo formativo nella scuola di tutti, che finivano invece con lo svolgere un ruolo selettivo ed elitario piuttosto che emancipatorio.
Vi fu allora un fiorire di proposte pedagogiche e metodologiche profondamente innovative, tutte basate sul coinvolgimento attivo (oggi diremmo costruttivo) dello studente, su concezioni laboratoriali del fare scuola. Negli ultimi decenni su questo terreno non è stato inventato nulla di nuovo. Nel 1959 Bruner in Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due culture criticò la pedagogia di derivazione deweiana perché pensava che avesse contribuito a trasformare la scuola americana in una scuola senza cultura, senza discipline per la maggior parte degli studenti.
E se Bruner criticava Dewey, che cosa si dovrebbe dire della maggior parte dei pedagogisti e psicologi italiani che hanno imperato negli ultimi venti anni nella politica scolastica dei più svariati governi, facendo proposte pedagogico-didattiche sostanzialmente prescindendo dal ripensamento delle discipline. Ciò ha portato alla proliferazione di progetti e laboratori non curricolari, ispirati alla politica delle educazioni. Il tutto presentato dai vari esperti, come la vera innovazione. Hanno fatto, invece, proposte sostanzialmente riduzionistiche (mentre ovviamente il riduzionismo dei disciplinaristi è la scuola del programma).
Il nucleo centrale della scuola del curricolo: i saperi essenziali
Indubbiamente vi è necessità di metodologie e di modalità relazionali radicalmente diverse dalla scuola del programma; queste sono acquisizioni psicopedagogiche imprescindibili, ma sono tutt’altro che sufficienti, anzi sono, a mio parere, sostanzialmentefuorvianti se si pensa di poterle applicare direttamente all’organizzazione specialistica delle discipline.
Modalità realmente innovative nella conduzione del processo di insegnamento-apprendimento implicano tempi molto lunghi per poter prestare attenzione ai processi di costruzione della conoscenza realizzati da tutti gli studenti, alle loro difficoltà, agli ostacoli epistemologici che incontrano ed ai loro “errori”. Nuove concezioni, nuove conoscenze possono essere, infatti, costruite solo se esse vengono innestate in modo adeguato su quelle precedenti.
Modalità innovative di fare scuola richiedono conseguentemente e necessariamente un profondo ripensamento del che cosa si insegna, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. E’ una contraddizione in termini, o peggio è una operazione di conservazione, con orpelli, con abbellimenti, della scuola del programma, del disciplinarismo bieco, mantenere l’organizzazione tradizionale dei contenuti e far finta di introdurre metodologie e modalità relazionali innovative. Il problema principale è costituito dal ripensamento dei saperi disciplinari; l’aspetto quantitativo è quello più evidente: se non ci si concentra su una minore quantità di saperi non è possibile realizzare nessun rinnovamento metodologico-relazionale (cioè curricolare). Questo aspetto ci è stato ricordato in modo efficace alcuni anni fa dai Saggi:
“Elemento cruciale per l’apprendimento è dato dalla qualità delle esperienze che insegnanti e studenti realizzano in relazione alle aree di studio…
L’istruzione non può e non deve mirare ad essere enciclopedica.
Sezioni diverse del sistema scolastico hanno livelli e scopi diversi, ma in ognuna di esse la regola dovrebbe essere l’insegnamento di alcune cose bene e a fondo, non molte cose male e superficialmente: si deve avere il coraggio di scegliere e di concentrarsi”.[3]
Nella scuola del programma, nella scuola dei pochi, la formazione consisteva, fin dall’inizio, nell’inserimento dello studente nel mondo degli specialisti, all’interno della cultura alta. Nella scuola del curricolo l’operazione fondamentale, e molto impegnativa, è quella di passare, per potere raggiungere risultati formativi, dalla cultura alla cultura della scuola, e, cioè, di selezionare ed organizzare le conoscenze delle varie discipline in modo tale che esse siano, da una parte, fondamentali in relazione alle discipline, e dall’altra contemporaneamente, adeguate in riferimento alla struttura cognitiva degli studenti alle varie età[4].
Abbiamo detto precedentemente che il passaggio dalla cultura alla cultura della scuola è un’operazione particolarmente complessa, perché comporta un’accurata analisi delle discipline per estrarne i saperi essenziali sia sul piano epistemologico che psicologico. La necessità di scegliere le conoscenze fondamentali, la struttura concettuale portante delle varie discipline è avvertita ormai, da molti decenni, di fronte allo sviluppo sempre più accelerato delle conoscenze e diventa sempre più la condizione per mantenere un canale di comunicazione tra gli stessi esperti delle molteplici specializzazioni all’interno degli ambiti disciplinari principali.
Dal punto di vista formativo, tuttavia, questa è un’operazione necessaria, ma tutt’altro che sufficiente: l’individuazione della struttura di una disciplina, indicando le conoscenze fondamentali, può rappresentare, infatti, il punto di arrivo del processo educativo, ma non può di per sé prospettare le tappe e le modalità intermedie, nell’arco della scolarità tra i 3 ed i 18 anni. Mentre la struttura di una disciplina può essere individuata essenzialmente dagli esperti disciplinari, per la costruzione di un’organizzazione formativa ( per la costruzione, cioè, del curricolo) (per l’individuazione di un sapere disciplinare formativo) è indispensabile la collaborazione di molteplici competenze: competenze disciplinari e psicopedagogiche indubbiamente, ma anche competenze di epistemologia e didattica disciplinare e la riflessione, alla luce dell’art. 6 del regolamento dell’autonomia, da parte degli insegnanti, come comunità scolastica, sul proprio lavoro in classe.
Dal mio punto di vista, il nucleo centrale della scuola del curricolo è quello dei saperi essenziali. Se intorno a questo nucleo non siamo in grado di costruire una visione alternativa alla scuola del programma, il teatro, l’ambiente, le esperienze, i laboratori, ecc., tutte le cose che fanno parte di una buona didattica, ci danno una scuola che noi, quando parliamo di politica, non vogliamo: una scuola contenitore, una scuola supermarket, una scuola senza cultura.
Sono partito criticando in due o tre passaggi il disciplinarismo bieco, e continuo a pensare che il nemico fondamentale da abbattere sia questo. Però, lo dicevo all’inizio e ora lo ribadisco, che se noi non siamo in grado di far sì che in relazione alle discipline fondamentali gli studenti escano dalla scuola di base con le competenze necessarie, noi stiamo creando dei cittadini di serie B, dei cittadini che poi, ovviamente, desidereranno non continuare la scuola, e che potranno anche osannare il doppio canale che in questa fase è ipotizzato, ecc. Quindi la mia critica non è rivolta agli insegnanti o alle scuole che hanno utilizzato le risorse per fare cose a volte belle e a volte meno belle, è una critica ad una politica ministeriale innanzitutto, ma a volte anche degli enti locali, mossa anche dalle migliori intenzioni, ma sostanzialmente che non contribuiva a migliorare la scuola. Perché la scuola di maggiore qualità non è un mix fra scuola di Gentile e scuola all’americana: questa è una scuola schizofrenica. La scuola innovata è una scuola che riesce a modificare l’insegnamento delle discipline fondamentali utilizzando anche il teatro, anche l’ambiente, anche le attività, i laboratori, ecc. Ma dov’è l’obiettivo non è il teatro in sé, non è il laboratorio in sé, ma è potenziare e sviluppare le competenze fondamentali per una cittadinanza consapevole. Tutto ciò deve avere delle conseguenze sull’utilizzo delle risorse, perché l’utilizzo delle risorse ed il POF, sono indicativi delle scelte che la scuola fa. Perché in genere si incentivano tutti i progetti, ma non la progettazione curricolare
La necessità di una visione strategica da parte delle scuole
Ultimo passaggio del ragionamento. Ho detto più volte, in altre occasioni, che le scuole, da sole non ce la possono fare. Ma quando dico le scuole, intendo le diecimila scuole, intendo le scuole come sistema. Le scuole, invece, dove c’è più tradizione, dove ci sono dirigenti scolastici determinati e illuminati, dove ci sono…, insomma, buone pratiche alle spalle, come tanto lavoro hanno fatto nei decenni passati, oggi hanno, delle condizioni istituzionali, con l’autonomia (se le norme non verranno modificate), per poter fare molto sul terreno dell’innovazione. Andando comunque al dunque, con supporto o senza supporto, ed io ribadisco che c’è bisogno di supporti, il compito di lavorare sul curricolo ce l’hanno le scuole. Questo è il fatto illuminante, centrale, del regolamento dell’autonomia scolastica. Se le scuole si trovassero in situazioni difficili, in situazioni difficili in termini di sostegno proprio per quello che proviene dal Ministero, a maggior ragione le scuole dovranno essere sagge, dovranno pensare al proprio lavoro in modo strategico, in tempi lunghi, e non andando dietro alle mode del momento per fare mostra di sé nei confronti dei vari soggetti istituzionali. Perché, sia che ci sia il supporto, sia che non ci sia, se anche avesse vinto le elezioni l’Ulivo e quindi ci fossero state condizioni diverse, la necessità di tempi lunghi, di una visione strategica rispetto ai problemi che sto ponendo, non è che sarebbe stata diversa. Perché scuola dell’autonomia significa visione strategica, significa fare delle scelte oggi che potranno dare risultati tangibili fra 4-5 anni e non fra due mesi.
L’ultima cosa che voglio di nuovo sottolineare sono i tempi lunghi. Ciascuno deve fare i conti con la propria realtà, perché se non si fanno i conti con la propria realtà si è visionari; soltanto attraverso tempi lunghi, e con piccoli passi, le varie realtà scolastiche, a partire dal livello in cui si trovano (alcune molto avanti, altre all’inizio, altre ferme), e quindi con obiettivi molto diversificati, potranno innovare in modo significativo. Però quello che è importante è darsi obiettivi di sviluppo, obiettivi di sviluppo dentro un ripensamento, sostanzialmente, dei saperi tradizionali, volendo realizzare effettivamente intorno alle discipline fondamentali, modalità significative del fare scuola.
Bibliografia:
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[1] F. Antinucci, La scuola si è rotta, Bari, Laterza, 2001
[2] N. Bottani, Insegnanti al timone, Bologna, Il Mulino, 2002
[3] R. Maragliano (a cura di), Le conoscenze fondamentali per l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni. I materiali della commissione dei Saggi, Firenze, Le Monnier, 1997, p. 78.
[4] J, Bruner, La cultura dell’educazione, Milano, Feltrinelli, 1997.