La Società Chimica Italiana e la formazione dei docenti
Silvana Saiello
Nel panorama politico sociale e culturale odierno la formazione degli insegnanti sta assumendo un ruolo cruciale, ma anche complesso da affrontare da parte delle Università che invece ne hanno, per legge, la responsabilità.
In un recente articolo [https://www.insegnareonline.com/rivista/scuola-cittadinanza/forma] Rosy Gambatesa mette a fuoco due ambiti del problema che, afferma: “mescolandosi continuamente tra loro alimentano l’impoverimento della Scuola. Da un lato quello, squisitamente politico, di chi affida, esempio unico in Italia, […] la formazione e il reclutamento di una categoria professionale a un’altra categoria professionale che della prima ignora praticamente tutto […] dall’altro, quello dell’ambiguità dell’Accademia che […] si assume tale importante responsabilità facendone anche un piccolo business, e poi ne denuncia i risultati. Questa miscela di equivocità forgia così una categoria professionale di natura incerta che, […] avrà certamente interiorizzato che l’etica della professione è l’ultima delle urgenze di questo Paese”.
A questo va ad aggiungersi quello che potrebbe essere chiamato il problema del Tirocinio Formativo Attivo, il TFA for ever.
Per comprendere meglio a che cosa mi riferisco è utile ricordare che la formazione degli insegnanti prevede una Laurea Magistrale per l’insegnamento (LMI) e un Tirocinio Formativo Attivo (TFA).
Come ricorda in una intervista la prof. Anna Nozzoli, Prorettore alla didattica e ai servizi agli studenti dell’Università di Firenze: “La formazione degli insegnanti ha il fine di qualificare e valorizzare la funzione docente attraverso l’acquisizione di competenze disciplinari, psico-pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzative e relazionali. Come abbiamo imparato dall’esperienza di questi ultimi anni, sapere una materia e saperla insegnare sono due cose molto diverse.”
Per raggiungere questi obiettivi la LMI prevede due
ambiti formativi specifici la didattica disciplinare, la formazione
pedagogica
1. La didattica disciplinare è gestita da professori universitari delle
diverse discipline, professori molto competenti nei loro specifici ambiti
disciplinari, ma a volte inconsapevoli che l’insegnamento della “Didattica
disciplinare” è cosa molto diversa dall’insegnamento della disciplina.
2. La formazione pedagogica, affidata anch’essa a docenti universitari e alle molte pagine di manuali, spesso poco utili a sviluppare una reale capacità pedagogica.
Il TFA, invece, comprende anche il tirocinio nelle scuole ed è affidato a insegnanti di ruolo della Scuola che lavorano insieme con docenti universitari.
Il TFA è stato previsto dal legislatore come atto conclusivo e abilitante del percorso di formazione dei docenti e vi accedono quindi, soggetti che hanno già conseguito una Laurea Magistrale per l’insegnamento. Non mi soffermo sul problema irrisolto delle classi di concorso, mi limito solo a ricordare che le Università, responsabili della formazione dei docenti, si sono trovate ad affrontare una situazione per molti versi paradossale.
Sta, infatti, per iniziare il terzo ciclo del TFA e per la terza volta gli Atenei dovranno affrontare la realizzazione di un tratto di percorso formativo incompleto, rivolto a destinatari di cui sono poco note le competenze, ma un tratto di percorso che abilita all’insegnamento.
Le Università avranno l’enorme responsabilità di dover individuare i docenti che andranno a formare le nuove generazioni di insegnanti. E lo dovranno fare adattando un tratto di percorso formativo ad esigenze diverse da quelle per cui è stato inizialmente istituito. In definitiva un grande dispendio di energie, con il rischio di ottenere un risultato scadente dal punto di vista culturale e soprattutto non coerente con gli obiettivi generali delle LMI previste dalla legge.
In questo scenario la formazione insegnanti perde completamente il suo valore per diventare solo un strumento di reclutamento professionale inadeguato. E non sono servite le proteste della Associazioni disciplinari, compresa la nostra.
Per provare a mettere un argine a questa deriva la DD-SCI si è data come obiettivo di migliorare almeno i corsi di Didattica della Chimica attualmente svolti nei TFA. Per questo durante il 2013, ha provato ad organizzare un coordinamento nazionale di tutti i docenti universitari che hanno insegnato Didattica della Chimica nei Tirocini Formativi Attivi. Disponiamo dei nominativi di circa 350 colleghi e auspichiamo che con essi si riesca a discutere delle problematiche connesse con questo insegnamento che sarà erogato anche nelle future LMI, quando saranno attive.
E’ indispensabile che si rafforzi in tutti la consapevolezza che, se è vero che la conoscenza di una disciplina è condizione necessaria per insegnarla, questa condizione non è però sufficiente. Insegnare Didattica di una disciplina richiede, infatti, competenze ulteriori a quelle strettamente disciplinari. Tra l’altro, la capacità di individuare i nodi concettuali e gli ostacoli cognitivi propri della disciplina, lo studio dei possibili modi per rimuoverli, la capacità di cogliere quali sono gli argomenti accessibili al gruppo classe, studiando le modalità per renderli comprensibili, la consapevolezza che l’individuo discente non è qualcuno che deve credere in quello che diciamo ma deve essere messo in condizioni di comprenderlo e metterlo in discussione.
Purtroppo in Italia gli studi nel settore educativo, soprattutto in ambito scientifico, non sono considerati “ricerca” e prevale la convinzione, in particolare nei giovani, che chi sa, sa anche insegnare.
Concludo ricordando che la Società Chimica Italiana con la sua Divisione di Didattica è tra le poche associazioni scientifiche disciplinari che vede i docenti dell’Università i docenti della Scuola lavorare insieme per coltivare e confrontare i risultati della ricerca educativa in ambito chimico, ed è anche soggetto accreditato presso il MIUR per la formazione insegnanti.
Il suo ruolo e le sue responsabilità sono, quindi, grandi.
Per dare efficacia all’impegno che i “militanti” nella Divisione portano avanti con serietà e passione è, però, necessario che all’interno di tutta la Società Chimica Italiana venga acquisita la consapevolezza che la formazione degli insegnanti in ambito chimico deve essere un impegno per tutti, insieme a tutti coloro che hanno ruoli di responsabilità in questo campo comprendendo tra questi anche coloro che si occupano di formazione in Federchimica, nel Consiglio Nazionale dei Chimici, nel CNR e in tutte quelle realtà educative che hanno a cuore anche l’immagine che oggi la Chimica deve e può avere nella nostra società.
[1] Pubblicato sul Blog della Società Chimica Italiana, luglio 2014.