Il passaggio dalla scuola del programma alla scuola del curricolo è il “centro della nuova scuola”
Carlo Fiorentini
Finalmente nel mese di giugno 2000 è stata insediata dal ministro De Mauro una Commissione ministeriale con il compito di fornire le indicazioni per il curricolo della scuola riformata. Agli inizi del mese di marzo 2001 sono stati resi noti “Gli indirizzi per l’attuazione del curricolo della scuola di base”, mentre le indicazioni per la scuola secondaria dovranno essere elaborate entro il mese di dicembre 2001. L’autonomia è diventata giuridicamente operante dal settembre 2000, ma l’aspetto centrale del nuovo assetto istituzionale, il passaggio, cioè, dalla scuola del programma alla scuola del curricolo, non ha potuto finora diventare operativo a causa della mancanza delle indicazioni curricolari nazionali.
Nello sviluppo del complesso processo riformatore degli ultimi quattro anni sono diventati sempre più chiare le sue finalità principali, consistenti nella costruzione di un sistema formativo capace di realizzare effettivamente “il diritto ad apprendere e alla crescita educativa di tutti gli alunni”[1].
Il rapporto dell’OCSE del 1998 dedicato ad un’analisi del situazione scolastica italiana aveva effettuato le seguenti considerazioni: “Il sistema scolastico italiano è molto centralizzato, burocratizzato, e l’accento viene posto marcatamente sull’istruzione degli studenti più bravi. Se ciò costituisce un approccio comprensibile in un contesto storico, lo sviluppo di un ambiente economico globale assai più competitivo richiede una forza lavoro con il più alto livello di competenze che tutti i suoi membri possono conseguire… Ma deve diventare parte essenziale della riforma anche l’innalzamento del livello di istruzione di tutti i cittadini, affinché possano giocare più efficacemente il loro ruolo in una società democratica”[2].
E’ diventata, inoltre, sempre più evidente la necessità per raggiungere queste finalità di modificare con interventi normativi tutti i molteplici tasselli del sistema formativo, come è indicato dallo schema sottostante, che riassume le problematiche principali che sono state affrontate da decine di leggi, decreti, regolamenti, etc.:
LA TRASFORMAZIONE DEL SISTEMA FORMATIVO ITALIANO AUTONOMIA SCOLASTICA DECENTRAMENTO- Dirigenza- Dimensionamento- Regolamento autonomia didatticaed organizzativa- Riforma del Ministero, IRRSA E, ecc.- Riforma degli organi collegiali PROGETTO CULTURALE RIORDINO DEI CICLI- Commissione dei Saggi SCOLASTICI ED OBBLIGO- Commissione De Mauro SCOLASTICO A 15 ANNI FORMAZIONE INIZIALE DEGLI FORMAZIONE IN SERVIZIOINSEGNANTI DEGLI INSEGNANTI OBBLIGO FORMATIVO, SISTEMA NAZIONALEFORMAZIONE TERZIARIA, DI VALUTAZIONE FORMAZIONE PERMANENTE |
La fisionomia equilibrata dell’autonomia scolastica italiana
Il ministro Berlinguer, che indubbiamente ha maggiormente contribuito alla delineazione di questo articolato processo riformatore, ha teorizzato il metodo del mosaico, del procedere, cioè, a piccoli passi, apparentemente in modo disorganico, motivandolo con l’impossibilità politico-parlamentare di una riforma globale. Visti i risultati normativi conseguiti dobbiamo riconoscere la bontà di questa strategia parlamentare, ma continuiamo a vederne alcuni limiti tutt’altro che marginali, quali ad esempio la sua leggibilità da parte sia dell’opinione pubblica che degli insegnanti.
Essa ha inoltre prodotto alcune distorsioni nei primi anni di avvio della riforma, anni in cui le aspettative e la disponibilità del mondo della scuola erano molto alte; e di questa falsa partenza se ne paga lo scotto ancora oggi. Infatti uno dei primi tasselli ad essere messi in movimento è stato quello dell’autonomia scolastica con l’Articolo 21 della legge Bassanini approvata nel maggio 1997, e nei primi 2 anni di sperimentazione, ed in particolare durante l’anno scolastico 1998/99 è stata indotta dalle circolari ministeriali un’interpretazione minimalista e fuorviante dell’autonomia. In quella fase dell’autonomia scolastica sono state enfatizzate l’autonomia organizzativa e l’ampliamento dell’offerta formativa. In un editoriale di Insegnare del luglio 1998 sviluppammo le seguenti considerazioni, forse in modo troppo diplomatico visti i risultati poco entusiasmanti della sperimentazione dell’anno successivo:
“E’ stata finalmente emanata il 19 maggio 1998 la circolare applicativa della legge 440/97 per il finanziamento della sperimentazione dell’autonomia. Sono completamente condivisibili gli obiettivi generali che vengono indicati alle scuole: le sperimentazioni dell’autonomia devono realizzare l’innalzamento del livello di scolarità e del tasso di successo scolastico. Riteniamo, tuttavia, necessario evidenziare alcuni rischi, connessi ad una sfasatura nei tempi di realizzazione dell’autonomia organizzativa rispetto all’autonomia didattica e di ricerca. La circolare del 19 maggio, come d’altra parte la direttiva 765 del 1997, si riferisce essenzialmente all’autonomia organizzativa delle scuole. Essa mette quasi le mani avanti, sottolineando la necessità che la progettazione non si limiti unicamente a soluzioni organizzative, ma privilegi invece la qualità didattica dell’innovazione, ed inoltre che la flessibilità dell’orario e le diverse articolazioni della durata delle lezioni devono comunque essere realizzate per finalità didattiche e nel rispetto dei ritmi di apprendimento degli alunni.
Ma poiché gli ambiti di realizzazione dell’autonomia che vengono esplicitamente indicati sono soltanto organizzativi, vi è un’alta probabilità che molte scuole si limitino ad una progettazione di tipo meramente ingegneristico e/o di arricchimento dell’offerta con l’attivazione di insegnamenti integrativi. Dopo un decennio di progetti ministeriali di vario tipo, lautamente finanziati (progetti giovani, di educazione alla salute, etc.), e di iniziative similari di enti locali, vi è il rischio che l’avvio dell’autonomia si incanali in questa logica perversa, in una logica, cioé, di progetti fatti soltanto per avere finanziamenti e/o per effettuare attività aggiuntive che non hanno nessuna relazione significativa con la scuola del mattino.
Per troppo tempo ci si è dimenticati che il curricolo tradizionale – molto resistente nonostante gli aspetti pedagogicamente innovativi dei nuovi programmi – non è più adatto ad una scuola di massa. Non sono toppe dedicate alla rimotivazione o al recupero che possono permettere di affrontare seriamente il problema. Se si vuole effettivamente realizzare un aumento del successo scolastico, occorre, a partire dalla scuola elementare, modificare in modo significativo “che cosa e come si insegna” per rispettare, non solo a parole, i ritmi di apprendimento degli studenti, strettamente connessi alle loro strutture motivazionali e cognitive. A questo proposito, indicazioni illuminanti sono state fornite dalla Commissione dei Saggi; ed, in relazione alla scuola di base, costituiscono ancora un importante punto di riferimento sia i programmi della scuola elementare che della scuola media che hanno avuto limitata applicazione nella scuola reale a causa della loro gestione burocratica, nei decenni passati, da parte del Ministero della Pubblica Istruzione.
L’autonomia organizzativa svolge una funzione utile solo se è connessa ad un progetto didattico realmente innovativo; altrimenti, essa rappresenta soltanto una modifica organizzativa del modo tradizionale di far scuola, o, addirittura potrebbe costituire un peggioramento, prefigurando lo scimmiottamento di altri sistemi scolastici, basati su classi di livello, dove si realizza una cristallizzazione delle differenze negli apprendimenti”[3].
Questa impostazione iniziale è stata modificata nei successivi 2 anni scolastici a partire dalla circolare sulla sperimentazione dell’autonomia dell’agosto 1999 e dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Regolamento dell’autonomia didattica ed organizzativa. Nella circolare 194 del 4 agosto 1999 si affermava infatti: ”Il programma nazionale di sperimentazione è finalizzato a migliorare gli esiti del processo di insegnamento-apprendimento, concerne prioritariamente la ricerca e l’introduzione di metodologie didattiche che favoriscano la crescita culturale e formativa degli alunni (…) la riorganizzazione dei percorsi didattici, nell’ambito dei programmi attuali, secondo modalità fondate su obiettivi formativi e competenze”. Si prendeva in modo esplicito la distanza dalle indicazioni degli anni precedenti: “In tal modo, il piano dell’offerta formativa può superare la logica di una progettazione definita solo attraverso ambiti separati e attuare invece processualmente un disegno complessivo, nel quale, a partire dalle esperienze già realizzate, gli interventi sulla dimensione didattica, organizzativa e gestionale risultino strettamente armonizzati e connessi. Il piano dell’offerta formativa si presenta dunque non tanto come un ennesimo progetto, ma come il progetto”.
Una bozza del regolamento dell’autonomia era stata sottoposta alla consultazione del mondo della scuola nella primavera del 1998: sarebbe interessante effettuare una comparazione attenta dei due documenti per rendersi conto della trasformazione radicale avvenuta. Il Regolamento, la bozza finalmente pubblicata nell’agosto del 1999, costituisce una significativa carta di identità della nuova scuola, dove l’autonomia didattica, organizzativa, di ricerca e sperimentazione sono armonicamente tratteggiate con l’obiettivo di sviluppare un sistema scolastico capace effettivamente di realizzare il “successo formativo” migliorando “l’efficacia del processi di insegnamento-apprendimento”[4]
E’ particolarmente significativo il commento di Livia Barberio Corsetti, Capo ufficio legislativo del Ministero della Pubblica Istruzione, durante il ministero Berlinguer: “Il Regolamento segna la transizione dalla cultura del sapere, che malgrado quanto si è cercato di fare negli ultimi anni, seguita a misurarsi in termini di quantità e vastità dei contenuti appresi – e a concepire quindi l’apprendimento come un “avere” – alla cultura della competenza, che non pretende di negare il sapere, ma vuole calarlo in un apprendimento concepito, come “crescita dell’essere”. In quanto tale, il Regolamento costituisce uno dei segni più evidenti che nel nostro paese, in questo momento storico, è in atto una profonda trasformazione del diritto. Esso pur nelle resistenze che nascono da una cultura millenaria, tende sempre più ad abbandonare la rigidità dei formalismi tradizionali per divenire strumento flessibile di regolazione di rapporti sostanziali. Il vero pregio dell’art. 21 della legge 59/1997 e del Regolamento dell’autonomia didattica ed organizzativa è quello di intervenire sulle relazioni giuridiche società-educazione-sviluppo e insegnamento-apprendimento liberandole dalle logiche che le volevano codificate nei minimi particolari e ingessate nei tempi e nelle modalità per attribuire loro capacità di adattamento alle nuove esigenze delle società e dei singoli. Si tratta sempre, e dobbiamo esserne consapevoli, di diritto, ma di un diritto che non pretende più di <cristallizzare> la relazione, bensì contiene al suo interno elementi di flessibilità che consentono, sul presupposto della validità della relazione fondamentale – dovere di educare/diritto all’educazione – di aggiornare costantemente la relazione stessa, rinnovandone metodi e contenuti”[5]
In conclusione, possiamo affermare che l’autonomia è stata in Italia normata in modo equilibrato, non confondendo l’autonomia con la riforma, ma realizzando il principio per cui “l’autonomia scolastica non è fine a se stessa, ma piuttosto uno strumento per migliorare l’istruzione”[6]. Si è tenuto conto delle preoccupazioni avanzate da molti negli anni passati nei confronti di concezioni radicali dell’autonomia, concezioni queste che erano state criticate anche dall’OCSE:
“Tuttavia, nonostante l’opinione diffusa, che l’autonomia e il decentramento del sistema scolastico producano un’istruzione migliore, non ci sono prove, in nessun paese, che tali riforme abbiano prodotto di per sé un miglioramento in campo educativo. Anzi, negli Stati Uniti, dove esistono ancora diversi casi di totale autonomia delle scuole pubbliche, non ci sono stati miglioramenti significativi in tale campo (…) Al contrario la comunità può chiedere meno innovazioni e una maggiore adesione alle norme esistenti, ai metodi tradizionali di insegnamento (…) I paesi che hanno già vissuto questa esperienza, come gli Stati Uniti, o più di recente il Regno Unito e il Cile, stanno prendendo in seria considerazione o stanno già attuando nei loro sforzi di miglioramento del sistema scolastico un ritorno al centralismo, dimostrando così che il decentramento anzitutto finanziario, privo di sufficiente attenzione ai problemi didattici, difficilmente risulta efficace”[7].
Dalla scuola del programma alla scuola del curricolo
E’ nel regolamento dell’autonomia che viene sancito giuridicamente il passaggio dalla scuola del programma alla scuola del curricolo. L’art. 8 attribuisce infatti alle scuole il compito della costruzione del curricolo, ma garantisce l’esistenza di un sistema formativo nazionale affidando al ministro il compito di stabilire “gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni”.
Spesso si legge o si sente dire che la commissione De Mauro ha elaborato i nuovi curricoli. Ci sembra questa formulazione fuorviante, perché veicola l’idea che si passi da vecchi a nuovi curricoli, e che quindi curricolo sia sinonimo di programma.
Prendiamo innanzitutto in esame le considerazioni del ministro De Mauro. Partiamo dalle finalità fondamentali della scuola del curricolo:
“Il principio educativo della scuola è, dunque, la centralità del soggetto che apprende, con la sua individualità e la rete di relazioni che lo legano alla famiglia e ai diversi ambienti sociali, regionali ed etnici (…) Occorre garantire l’acquisizione di cognizioni e far comprendere la loro importanza. Le cognizioni sono esse stesse durevoli e durevoli ne sono gli effetti in quanto siano proposte in modo che chi apprende ne sia coinvolto, ne percepisca la rilevanza per i successivi studi e per le scelte successive, per costruire il suo progetto di esistenza e, insomma, per poter tornare ad esse e riutilizzarle per tutto l’arco della vita. Sono dunque importanti in quanto sappiano essere strumentali rispetto all’imparare durevolmente ad apprendere, alla maturazione dell’identità personale, all’educazione a diventare liberi cittadini e cittadine di una Nazione antica e rinnovata quale è l’Italia della Repubblica, il nostro Paese (…) L’obiettivo è quello di favorire un reale successo formativo che consenta a ciascuno –secondo le sue vocazioni e le sue possibilità effettive – di conseguire non solo e non tanto un titolo di studio, quanto e soprattutto un’adeguata capacità di padroneggiare i contenuti dell’apprendimento”[8].
Vediamo ora come viene tratteggiata la scuola del curricolo:
“ E’ evidente la differenza tra il programma e il curricolo: il programma indica un insieme di contenuti definiti centralmente: a essi il docente doveva riferirsi per il suo insegnamento (…) Il curricolo parte anch’esso dai contenuti, ma delinea l’articolato e complesso processo delle tappe e delle scansioni dell’apprendimento. I contenuti stessi divengono così non tanto la guida dell’insegnante, quanto la via per far conseguire alle allieve e agli allievi conoscenze solidamente assimilate e durature nel tempo. E’ qui che la professionalità del docente trova tutto il suo spazio poiché può esplicarsi nel nuovo quadro di libertà culturale e progettuale, di flessibilità organizzativa e didattica garantito dall’autonomia (…) E’ l’azione didattica che risolve il curricolo in un processo di insegnamento/apprendimento teso a una formazione non solo solidamente compiuta, ma anche umanamente coinvolgente. In tal senso, esso è al centro della nuova scuola: ne interpreta le finalità e le traduce nei contesti delle pratiche educative”[9].
Ed infine, aspetto fondamentale della scuola del curricolo, vi è l’individuazione di saperi essenziali:
“Un curricolo essenziale (ed essenziale non significa certo minimale) si basa sulla convinzione che quell’adeguamento (dei contenuti) si possa invece perseguire attraverso percorsi scolastici caratterizzati non dallo studio estensivo di molti contenuti, ma da quello intensivo e criticamente perseguito”[10].
Le differenze fondamentali tra scuola del programma e scuola del curricolo possono essere schematizzate nel seguente modo:
ORGANIZZAZIONE SCUOLA DEL ACCADEMICA PROGRAMMA ENCICLOPEDICA DELLE DISCIPLINE METODOLOGIE E MODALITA’ SCUOLA DEL RELAZIONALI INNOVATIVE CURRICOLO SAPERI ESSENZIALI STRUMENTI E AMBIENTI ADEGUATI |
Mentre la scuola del programma, connessa ad una visione selettiva ed elitaria della cultura si affida sostanzialmente per realizzare apprendimenti significativi alla bontà dell’organizzazione specialistica delle discipline, la scuola del curricolo è consapevole che, nella scuola di tutti, la realizzazione di obiettivi formativi, di conoscenze durature e di competenze trasversali è molto più difficile e può conseguentemente essere realizzata se si abbandona una visione riduzionista e ci si colloca sul terreno della complessità. La scuola del curricolo attribuisce infatti fondamentale importanza non solo ai saperi, ma contemporaneamente alle metodologie e alle modalità relazionali, agli strumenti e agli ambienti di apprendimento. Ciò che viene particolarmente sottolineato è la necessità di innovazioni metodologico relazionali, di ambienti e strumenti più articolati ed adeguati di quelli presenti nella scuola del programma.
Potrebbe essere sollevata l’obiezione che ci si trovi di fronte ad una problematica antica, discussa ed affrontata da molti decenni. Ed effettivamente il dibattito sul curricolo si sviluppò ampiamente sul piano culturale dalla metà degli anni settanta; ma già precedentemente, durante gli anni sessanta erano state condotte riflessioni e sperimentazioni che si ispiravano alla pedagogia innovativa della prima metà del Novecento, ed in particolare a Dewey e Piaget. Successivamente altri due punti di riferimento fondamentali diventeranno Wygotskij e Bruner. Durante quegli anni furono portate avanti molte sperimentazioni, stimolate anche dalla riflessione curricolare in specifici ambiti disciplinari, quali quello dell’educazione linguistica democratica; esse ebbero come principale merito storico quello di influenzare in modo determinante le uniche innovazioni significative realizzate negli anni ottanta e novanta fino al 1997, i programmi, della scuola media del 1979 e della scuola elemenatare del 1985, gli Orientamenti del 1991 della scuola dell’infanzia, ed alcuni programmi Brocca.
Ed anche negli ultimi dieci anni, una parte del mondo della scuola, quella più legata alle associazioni professionali e disciplinari, ha continuato ad impegnarsi sul terreno dell’innovazione curricolare. Ma, questo movimento di innovazione e sperimentazione, che ha coinvolto in ogni periodo storico decine di migliaia di insegnanti, non è stato in grado, e non poteva esserlo, di modificare il carattere complessivo del sistema scolastico. Tuttavia l’impegno della scuola militante non è stato inutile, perché ha contribuito in modo determinante a sviluppare il modello culturale della nuova scuola e a fare maturare conseguentemente la necessità di riforme strutturali del sistema scolastico. Sono molto significative queste affermazioni di De Mauro nella premessa alle indicazioni curricolari: “La Commissione non ha tanto innovato quanto piuttosto riorganizzato e portato a norma, perché si generalizzi al meglio, il ricco patrimonio di esperienze didattiche e di innovazioni istituzionali sedimentato negli anni, anzi, talora nei decenni. Torna alle scuole ciò che le scuole, pur entro le costrizioni del vecchio impianto centralistico ormai abbandonato, hanno saputo elaborare in concreto”[11].
Molte delle riforme varate negli ultimi quattro anni erano mature da alcuni decenni, ma per molto tempo le resistenze burocratiche e politiche hanno impedito il reale cambiamento istituzionale. Infatti negli ultimi cinquant’anni, nonostante alcune riforme fondamentali, quali quella della scuola media unica e l’istituzione della scuola statale dell’infanzia, l’assetto istituzionale del Ministero della Pubblica Istruzione, nelle sue articolazioni centrali e periferiche, è rimasto sostanzialmente di tipo casatiano-gentiliano, continuando ad essere incardinato su una gestione centralistica del sistema caratterizzata soltanto da una competenza giuridico-amministrativa.
Il rapporto OCSE, più volte citato, conteneva molte considerazioni di questo tipo:
“ Nella maggior parte dei sistemi educativi, le responsabilità formali sono legate a un quadro normativo piuttosto che al buon insegnamento o ai buoni risultati conseguiti dagli studenti (…) L’istruzione dovrebbe instillare valori, risvegliare l’interesse e la curiosità, sviluppare il gusto e condurre a una certa padronanza, ad una certa autonomia attraverso la pratica della lettura, della scrittura, delle arti, delle attività manuali. Essa cade, invece, nell’astratto, concentrandosi e nell’accademismo e nella memorizzazione di fatti, formando giovani che, secondo alcuni criteri, sanno tutto e sono capaci di ottenere buoni voti agli esami, ma non hanno imparato a pensare, non hanno acquisito una reale cultura (…) Siamo rimasti colpiti dal numero di insegnanti e di personale non docente nelle scuole elementari. Il rapporto alunni/insegnanti è eccezionalmente basso (…) eppure nelle scuole che abbiamo visitato, prevalevano ancora metodi didattici tradizionali”[12].
Queste ultime considerazioni sulla scuola elementare sono ancora più paradossali perché la scuola elementare, insieme alla scuola dell’infanzia, è generalmente ritenuta il ciclo scolastico italiano più innovativo sul piano metodologico. Ed indubbiamente nella scuola elementare è diffuso un senso comune pedagogico-didattico molto più innovativo rispetto alla scuola secondaria, ma ciò non è stato sufficiente per un cambiamento generale, perché le proposte prevalenti di mediazione pedagogico-didattica sostenute dall’amministrazione scolastica nei decenni passati sono consistite essenzialmente nella giustapposizione di strumenti e tecniche didattiche al programma tradizionale di derivazione accademica ( è sufficiente pensare alle varie mode tassonomiche, alle griglie e grigliette, mappe e mappette, agli elenchi telefonici di obiettivi, sotto-obiettivi e via dicendo). La necessità della mediazione pedagogico-didattica è diventata spesso il più trito didatticismo.
Contemporaneamente, da alcuni anni, si è sviluppata un’altra prospettiva, anch’essa riduttiva, essenzialmente di tipo metodologico-relazionale, in particolare nella scuola di base, riassumibile nello slogan “ciò che è importante sono le relazioni e le metodologie”. Ora, indubbiamente metodologie e approcci relazionali profondamente innovativi rispetto alla scuola trasmissiva e nozionistica tradizionale sono fondamentali, ma soltanto in stretta connessione al che cosa si insegna. Il curricolo è affrontabile in modo adeguato solo connettendo il che cosa e il come si insegna. Il problema del sapere disciplinare non può essere eluso: si pone sempre, fin dalla scuola dell’infanzia, per non fare scelte premature, per individuare problematiche significative ed adeguate.
Il nodo più problematico: i saperi essenziali
Il rapporto OCSE, infine sottolinea che “tra i fattori più importanti va annoverato il contenuto del curricolo, il modo in cui le discipline scolastiche vengono insegnate” e che “l’autonomia e la responsabilità della scuola, il lavoro di gruppo, i metodi didattici, una pedagogia non basata sulla trasmissione ma sull’acquisizione delle conoscenze, per citare alcuni esempi, richiederanno lunghi anni prima di essere veramente assimilati e messi in atto”[13].
Il rapporto OCSE indicava in modo puntuale il fattore decisivo del rinnovamento del curricolo e ne sottolineava i tempi lunghi per la realizzazione, ma non coglieva in modo chiaro il nodo più difficile, quella della individuazione dei saperi essenziali.
Se dovessimo proporre l’indicatore principale per verificare nell’arco dei prossimi anni il tasso di rinnovamento curricolare, indubbiamente esso sarebbe lo sviluppo di “metodologie non basate sulla trasmissione delle conoscenze”. Ma una cosa è condividere opzioni pedagogiche di questo tipo, e cosa molto diversa è individuare le condizioni che ne permettano la realizzazione in modo diffuso nelle varie aree disciplinari. Non è infatti sufficiente conoscere e condividere le più innovative e significative concezioni pedagogiche, quali le teorie costruttiviste, per riuscire a praticarle nella didattica quotidiana, se le scuole e tutti gli insegnanti non avranno le competenze necessarie per effettuare le scelte radicali che vanno fatte nell’enciclopedia dei saperi accademici. L’individuazione dei saperi essenziali è la scelta più difficile. Indubbiamente, infatti, le metodologie e le modalità relazionali di tipo costruttivista presuppongono il totale abbandono dell’illusione enciclopedica, comportano la necessità, come ci ha ricordato alcuni anni fa la Commissione dei Saggi, di “scegliere e di concentrarsi”, di insegnare “alcune cose bene e a fondo, non molte cose male e superficialmente”[14].
Come si fa ad individuare i saperi essenziali? Essi non sono banalmente i saperi minimi[15]; essi, per essere formativi, per riuscire, cioè, a sviluppare contemporaneamente conoscenze durature e competenze trasversali, devono essere significativi da due punti di vista; devono essere contemporaneamente fondamentali nella cultura , nelle discipline, ed adeguati alle strutture motivazionali e cognitive dello studente.
( METODOLOGIE E MODALITA’ RELAZIONALI INNOVATIVE ) COMPETENZE TRASVERSALISAPERI ESSENZIALI ————————————-à CONOSCENZE DURATURE SAPERI SIGNIFICATIVI CONOSCENZE CONOSCENZE ADEGUATE FONDAMENTALI ALLE STRUTTURE NELLA CULTURA, COGNITIVE E NELLE DISCIPLINE MOTIVAZIONALI DEGLI STUDENTI |
La loro individuazione è quindi un’operazione che si colloca sul terreno della complessità; sono infatti necessarie competenze multidisciplinari ed interdisciplinari. Il curricolo può essere rappresentato con lo schema sottostante, dove ai quattro lati del quadrilatero sono indicate le competenze indispensabili per la sua costruzione:
DISCIPLINE: EPISTEMOLOGIA Ediscipline linguistiche DIDATTICA DISCIPLINAREdiscipline scientifichediscipline storiche, ecc, IPOTESI DI CURRICOLO (che cosa e come insegnare alle varie età) SCIENZE DELL’EDUCAZIONE: RIFLESSIONIpedagogia SULL’ESPERIENZA DIDATTICApsicologia dell’apprendimentostoria della scuolasociologia dell’educazione |
Nella scuola del programma, il che cosa insegnare veniva ricavato direttamente dall’organizzazione accademica dei saperi disciplinari; vi era una relazione lineare tra disciplina ed insegnamento. La scuola del curricolo è invece connessa allo sviluppo della cultura della scuola[16]; il che cosa insegnare alle varie età può essere prospettato con operazioni culturali molto più complesse: la conoscenza della disciplina è evidentemente indispensabile, ma sono le competenze pedagogiche, psicologiche, e quelle epistemologico-didattiche disciplinari quelle che forniscono gli strumenti per individuare nella miniera delle discipline i saperi significativi per gli studenti alle varie età, i saperi essenziali, per passare, cioè, dalla struttura specialistica usuale delle discipline ad una organizzazione formativa.
Prendiamo come esempio l’insegnamento scientifico: il modello ancora oggi prevalente consiste nella bignamizzazione progressiva dai trienni della scuola secondaria alla scuola elementare dei manuali universitari del primo anno di biologia, chimica, fisica, etc. Come è stato mostrato da molteplici ricerche sulle concezioni scientifiche degli studenti, i risultati di queste scelte curricolari sono disastrosi: la maggior parte degli studenti, alla fine della scuola secondaria superiore, continua ad avere concezioni di tipo prescientifico. Se si vuole invece conferire alle discipline scientifiche un ruolo formativo, occorre concretizzare ciò che la ricerca e la sperimentazione hanno enucleato negli ultimi decenni, ma che non si è mai generalizzato alla scuola nel suo insieme per la politica conservatrice sul piano culturale dei poteri reali sia all’interno del Ministero della Pubblica Istruzione che nell’Università. La ricerca e la sperimentazione hanno ad esempio indicato per la scuola di base la necessità di un approccio fenomenologico-operativo, in un certo senso predisciplinare, per lo sviluppo di competenze osservativo-logico-linguistiche, e la necessità per la scuola secondaria superiore (come afferma anche il documento dei Saggi) “di immettere negli insegnamenti delle scienze fisico-naturali una prospettiva critica di natura storico-epistemologica”. Il rinnovamento del curricolo delle discipline scientifiche implica una innovazione radicale di tipo epistemologico, che si può realmente realizzare soltanto se vengono individuati i saperi essenziali delle varie discipline con l’ausilio degli strumenti di analisi del sapere disciplinare forniti dall’epistemologia, dalla storia delle scienze e dalla psicologia dell’apprendimento. Soltanto la mediazione storico-epistemologica-psicologica può effettivamente mettere in comunicazione due mondi che rimarrebbero altrimenti irrelati, le discipline e le esigenze formative del “soggetto che apprende”[17].
La cultura della scuola può svilupparsi in tutto il sistema scolastico se il sistema scolastico è strutturato in funzione di questo obiettivo. Molte riforme normate in questi anni, dall’autonomia concessa alle scuole, alla riorganizzazione del Ministero, dall’eliminazione dei provveditorati alla istituzione delle direzioni regionali, dalla riforma degli IRRSAE alla istituzione dei centri territoriali, dalla riforma dell’università alla istituzione della formazione iniziale degli insegnanti, contengono le premesse reali della costituzione di un sistema caratterizzato anche da una solida e diffusa competenza culturale, pedagogica e didattica.
Per sviluppare ipotesi di curricolo, per conferire alle discipline una funzione formativa, è necessaria una articolata e complessa attività di ricerca, che, a nostro parere, potrebbe essere schematizzata nelle due tipologie fondamentali di ricerca di primo livello e di secondo livello. Non è infatti ipotizzabile che tutti gli insegnanti, che hanno ovviamente come compito fondamentale e gravoso quello di insegnare, possano dedicarsi in modo significativo alla ricerca multidisciplinare sul curricolo di cui si parlato precedentemente. Questa ricerca è stata condotta fino ad oggi in modo volontaristico da alcuni universitari e principalmente da una parte minoritaria del mondo della scuola, con il sostegno delle associazioni professionali e disciplinari ed occasionalmente da alcuni IRRSAE.
Se si vuole realizzare effettivamente il rinnovamento del curricolo nella scuola italiana occorre definitivamente abbandonare la logica dell’improvvisazione e del volontariato e sviluppare una dimensione istituzionale: la ricerca complessa sul curricolo necessita di molteplici sedi istituzionali (IRRSAE, Formazione iniziale degli insegnanti, Centri territoriali, ecc.), ove possa svilupparsi una tradizione, fondata scientificamente, contemporaneamente di ricerca sul curricolo, di sperimentazione e di formazione in servizio.
Accanto a questa ricerca di primo livello vi è una ricerca di secondo livello consistente nell’adeguare al contesto specifico le proposte più aggiornate e significative sul curricolo delle varie discipline, nel modificarle e nell’articolarle costantemente sulla base della costante pratica di riflessione connessa all’attività di progettazione e di sperimentazione. Questo secondo livello di ricerca dovrebbe riguardare tutti gli insegnanti e permeare il funzionamento di tutte le scuole. I due livelli di ricerca sono ambedue indispensabili ed interdipendenti: il secondo senza il primo rischia di rimanere legato a pratiche consuetudinarie, il primo senza il secondo corre invece il rischio di sviluppare una ricerca soltanto di tipo teorico.
La costruzione del curricolo
Le indicazioni del ministro De Mauro sulla costruzione del curricolo da parte delle scuole sono indubbiamente condivisibili, ma a nostro parere non esaurienti, in quanto non è sufficientemente indicato il ruolo imprescindibile delle strutture di supporto.
“Il curricolo si costruisce a partire dalle indicazioni per la quota nazionale, che questo testo offre, e dall’analisi dei bisogni degli alunni e delle specifiche esigenze del territorio e dell’ambiente”[18].
Il documento ministeriale, dopo aver elencato i molteplici aspetti che i docenti devono tenere presenti, conclude conseguentemente che “la costruzione del curricolo è quindi un processo complesso: esso richiede un’attività di ricerca che fa leva sulla professionalità dei docenti”, e già precedentemente aveva affermato che “nel sistema delle autonomie l’istituzione scolastica diviene allora il campo in cui tutte le implicazioni del curricolo si riassumono e si integrano, sollecitando al tempo stesso la crescita della professionalità dei docenti attraverso una costante pratica di riflessione e di approfondimento”[19].
Indubbiamente il passaggio dalla scuola del programma alla scuola del curricolo si potrà realizzare nell’insieme del sistema scolastico se le scuole diventeranno effettivamente istituzioni caratterizzate da ricerca didattica, da costanti pratiche di “riflessione e di approfondimento”; ma questa trasformazione potrà realizzarsi se si concretizzeranno alcune condizioni:
1) Se la gestione nei prossimi anni della riorganizzazione delle strutture ministeriali e dell’università porterà effettivamente allo sviluppo di istituzioni preposte alla ricerca sul curricolo delle varie discipline. La scuola dell’autonomia, dove le scuole avranno una maggiore libertà, ha indubbiamente bisogno di verifiche, di valutazione, di monitoraggio. Tutto ciò non può essere, a nostro parere, misconosciuto[20], ma sarà indispensabile non confondere queste attività con le attività di sostegno alle scuole. Le scuole hanno bisogno, prima di essere valutate, di essere aiutate nella loro progettazione con proposte culturalmente solide per potere generalizzare modalità innovative di fare scuola.
2) Se l’innovazione delle scuole verrà, seppur gradualmente, indirizzata principalmente sul rinnovamento del curricolo attribuendo così il ruolo centrale all’art. 6 del Regolamento, articolo che appunto tratteggia l’autonomia di ricerca, sperimentazione sviluppo delle istituzioni scolastiche[21]. Questo potrà effettivamente avvenire se la maggior parte delle risorse umane e finanziarie saranno indirizzate a questo obiettivo: come lo schema sottostante suggerisce questo impegno prioritario dovrà essere esplicitato nel Piano dell’offerta formativa (POF), dovrà costituire il cuore del POF, nella parte di questo documento dove sono indicati gli impegni di miglioramento all’interno di una prospettiva strategica (di piccoli passi all’interno di tempi lunghi).
IL POF PUO’ RAPPRESENTARE UNO STRUMENTO PER IL RINNOVAMENTO DELLA SCUOLA SE E’ CENTRATO SUL RINNOVAMENTO DEL CURRICOLO CIOE’ SULL’ARTICOLO 6 DEL REGOLAMENTO AUTONOMIA DI RICERCA SPERIMENTAZIONE E SVILUPPO QUINDI SUI DIPARTIMENTI DISCIPLINARI STRUTTURE DA SOSTENERE CON LA FORMAZIONE IN SERVIZIO: AGGIORNAMENTO, PROGETTAZIONE SPERIMENTAZIONE, RIFLESSIONE |
Senza negare il ruolo delle strutture più tradizionali, quali i consigli di classe ed interclasse, l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo per rinnovare il curricolo della scuola potrà effettivamente svilupparsi, se si creeranno delle strutture collegiali capaci di sostenerla; e noi pensiamo che queste debbano essere prevalentemente dipartimenti disciplinari, dove insegnanti della stessa area disciplinare debbano affrontare un compito culturalmente complesso e molto impegnativo sul piano psicologico-relazionale, ma di una complessità non di ennesima potenza quale sarebbe quello di lavorare sul curricolo direttamente nei consigli di classe, con singoli insegnanti di tutte le discipline.
Il compito del dipartimento disciplinare non può essere quello dell’aggiornamento sulla disciplina (quando vi è questa necessità occorre prevedere corsi specifici all’università o in strutture apposite), ma quello di contribuire in modo determinante a costruire il curricolo della scuola a partire dalle indicazioni nazionali e dalle proposte più significative ed aggiornate sul curricolo relative alle varie discipline prodotte dalla ricerca sulla cultura della scuola. Qui si colloca la funzione della formazione in servizio, che non può più ripercorre le strade degli aggiornamenti del passato, ma deve essere prevalentemente concepita come attività di sostegno alla attività di progettazione curricolare, sperimentazione e riflessione dei vari dipartimenti disciplinari[22].
c) Se si vuole effettivamente sviluppare la professionalità degli insegnanti nel senso di passare da un ruolo esecutivo di trasmissione di contenuti prescritti dalla scuola del programma ad un ruolo creativo di ricerca, di costante riflessione sul curricolo, sarà indispensabile accompagnare questa trasformazione graduale con un contestuale riconoscimento economico-sociale. Questa nuova configurazione della professione insegnante comporta rispetto agli impegni tradizionali, un notevole carico aggiuntivo impegnativo sia sul piano orario che sul piano intellettuale e psicorelazionale.
Rispetto a come la funzione docente era stata tratteggiata dai Decreti Delegati del 1974, gli ultimi contratti hanno delineato un profilo professionale molto più complesso, quello di un insegnante ricercatore:” E’ indispensabile nei prossimi anni, per generalizzare effettivamente questo innovativo profilo professionale, realizzare le condizioni giuridiche ed economiche di fattibilità.
Bibliografia:
– P. Boscolo, Psicologia dell’apprendimento scolastico, Torino, UTET, 1997.
– J. Bruner, La cultura dell’educazione, Milano, Feltrinelli, 1997.
– F. Cambi (a cura di), L’aricipelago dei saperi Progettazione curricolare e percorsi didattici
Nella scuola dell’autonomia, Firenze, Le Monnier, 2000.
– F. Cambi (a cura di), L’aricipelago dei saperi. Progettazione curricolare e percorsi didattici
nella scuola dell’autonomia. II. Itinerari di sperimentazione in classe, Firenze, Le Monnier, 2001.
– T. De Mauro, Indirizzi per l’attuazione del curricolo, in G. Cerini, I. Fiorin, I curricoli della scuola di base. Testi e commenti, Napoli, Tecnodid, 2001.
– R. Laporta, C. Pontecorvo, R. Simone, L. Tornatore, Curricolo e scuola. Innovazione educativa e sviluppo sociale, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1978.
– R. Laporta, C. Fiorentini, F. Cambi, G. Tassinari, C. Testi, Aggiornamento e formazione degli insegnanti, Firenze, La Nuova Italia, 2000.
– R. Maragliano, Sintesi dei lavori della Commssione tecnico-scientifica, in R. Maragliano (a cura di), Le conoscenze fondamentali per l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni. I materiali della Commsione dei Saggi, Firenze, Le Monnier, 1997.
– OCSE, Esami delle politiche nazionali dell’istruzione. L’Italia, Roma Armando, 1998.
– C. Pontecorvo, L. Fusè ( a cura di), Il curricolo: prospettive tecniche e problemi operativi, Torino, Loescher, 1981.
– A. Sasso, S. Toselli, Il sapere della scuola. Proposte e contributi. Bologna, Zanichelli, 1999.

[1] Art. 4 del Regolamento dell’autonomia didattica ed organizzativa.
[2] OCSE, Esami delle politiche nazionali dell’istruzione. L’Italia, Roma Armando, 1998, pp. 143.
[3] C. Fiorentini, Rischi nell’avvio dell’autonomia, Insegnare , 1998, n. 7/8.
[4] Art. 1 del Regolamento dell’autonomia didattica ed organizzativa.
[5] L. Barberio Corsetti, Il Regolamento dell’autonomia: prove di nuovo diritto, in Annali della Pubblica Istruzione, 1999, n. 1-2, p. 58.
[6] OCSE, op. cit. p. 108.
[7] OCSE, op. cit. pp. 110-112.
[8] T. De Mauro, Indirizzi per l’attuazione del curricolo, in G. Cerini, I. Fiorin, I curricoli della scuola di base. Testi e commenti, Napoli, Tecnodid, 2001, pp. 24-25, 27.
[9] Ibidem, p. 27.
[10] Ibidem, p. 28.
[11]ibidem, p. 14.
[12] OCSE, op. cit., pp. 111, 45, 57.
[13] Ibidem pp. 49.
[14] R. Maragliano, Sintesi dei lavori della Commssione tecnico-scientifica, in R. Maragliano (a cura di), Le conoscenze fondamentali per l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni. I materiali della Commsione dei Saggi, Firenze, Le Monnier, 1997, p.78.
[15] F. Cambi (a cura di), L’aricipelago dei saperi Progettazione curricolare e percorsi didattici nella scuola dell’autonomia, Firenze, Le Monnier, 2000.
[16] J. Bruner, La cultura dell’educazione, Milano, Feltrinelli, 1997.
[17] Per considerazioni più approfondite sul curricolo scientifico: 1) F. Cambi, C. Fiorentini, F. Gori, L’arcipelago dei saperi. Progettazione curricolare e percorsi didattici nella scuola dell’autonomia. II Itinerari di sperimentazione in classe. Firenze, Le Monnier, 2001; 2) C. Fiorentini, E. Roletto, Ipotesi per il curricolo di chimica, in La Chimica nella Scuola, 2000, n. 5-6
[18] De Mauro, op. cit. p. 29.
[19] Ibidem, pp. 30, 27.
[20] Su questa problematica abbiamo sviluppato delle riflessioni in C. Fiorentini, Gli indicatori dell’educazione, in Ecole-Dossier, 1998, 64, pp. 1-11.
[21] Anche l’Associazione Nazionale Presidi (AnP) sottolinea la centralità dell’autonomia di ricerca nel suo manifesto dell’autonomia del 5 ottobre in Autonomia e Dirigenza, 2000, n. 10-11-12, pp. 16-17.
[22] C. Fiorentini, Didattica in atto, in R. Laporta, C. Fiorentini, F. Cambi, G. Tassinari, C. Testi, Aggiornamento e formazione degli insegnanti, Fitenze, La Nuova Italia, 2000, pp. 114-142.