Dobbiamo cambiare i modi di pensare l’educazione
BARBERINO 27.05.12
Io inizio con il ringraziare per questa Festa. Tutte le autorità e tutti i presenti Tutti coloro che hanno contribuito alla sua realizzazione
Barberino è stato dove, di fatto, è iniziata la mia esperienza di rapporto con insegnanti sull’innovazione dell’insegnamento-
Allora, dirò così:
GRAZIE DI ESSERCI.
Il mio intervento potrebbe finire qui; ma quando uno va a ringraziare porta un piccolo dono, un mazzo di fiori, una scatola di cioccolatini, qualcosa insomma. Quanti fiori o cioccolatini avrei dovuto portare? Qui mi sono fermato e mi sono detto qualcosa di mio forse può essere gradito. Siccome io, essenzialmente, leggo e provo a riflettere su quello che leggo, vi porgo una piccola confezione delle mie letture e dei miei pensieri.
Si legge che viviamo nella società dell’informazione, ossia in mezzoad una gran quantità di informazioni, presentate spesso come precise, scientifiche e dotate di un certo grado di certezza.
Talvolta ho l’impressione che l’informazione si comporti come la pioggia: se si esce di casa senza ombrello quando piove ci si bagna e questo non sempre ci piace, e poi se piove troppo possono succedere disastri. Ma la pioggia è anche utile, all’agricoltura, al rifornimento idrico … .Allora bisogna imparare a gestirsi di fronte alla pioggia’.
E con l’informazione non si deve fare lo stesso? e come ci si gestisce di fronte all’informazione?
Ecco qui entra in gioco la matematica che offre degli strumenti specifici rispettivamente la Statistica e la Teoria della probabilità. Ma anche un modo di pensare critico, che non prende tutto per buono, ma prova a scegliere il grano dal loglio
Può la matematica dare risposte utili alla nostra vita quotidiana?
Io penso di si, naturalmente, ma soltanto se si accetta una sorta di rivoluzione culturale.
Stiamo attraversano un periodo di crisi di vario tipo, crisi delle risorse economiche, delle risorse naturali, ma anche, e forse soprattutto, una crisi di risorse umane.
Fondamentalmente, facciamo un uso davvero pessimo dei nostri talenti. Moltissime persone trascorrono l’intera vita senza una reale consapevolezza di quali possono essere i loro talenti, o se ne hanno qualcuno.
Incontro moltissime di persone che pensano di non essere davvero brave in niente.
Incontro moltissime di persone che non sono appassionate di ciò che fanno. Semplicemente trascorrono la loro vita tirando avanti. Non traggono piacere da quel che fanno. Lo sopportano, e aspettano che arrivi il weekend.
Ma incontro anche persone, e qui non son poche, che amano quel che fanno e non riescono a immaginare di far qualcos’altro. Se dici loro “lascia stare, fai altro” si domandano di che sia stia parlando. Perché non è quello che fanno ma è quello che sono.
Ma non è così per abbastanza gente. Anzi, al contrario, è così per una minoranza.
Penso che ci siano molte possibili spiegazioni a riguardo. E tra le principali c’è l’educazione, l’istruzione. Perché i sistemi educativi, in certo modo, possono talvolta allontanare le persone dai loro talenti naturali.
Le risorse umane sono come le risorse naturali; giacciono spesso in profondità. Devi andare a cercarle. Non si presentano in superficie. Bisogna creare le condizioni per permettere a esse di manifestarsi. E ci si può immaginare che sia l’educazione il contesto dove ciò accade.
Intorno a voi trovate materiali che mostrano come si può fare. Questi materiali sono basati sull’idea che la Matematica non è uno sport per spettatori. Per capire la matematica bisogna essere in grado di fare matematica.
E che cosa significa fare matematica? In primo luogo significa essere in grado di risolvere problemi. Le basi dovrebbe essere poste fin nella scuola primaria e forse anche prima. E quindi credo che un punto essenziale nella scuola primaria sia quello di introdurre i bambini alle tattiche di risoluzione di problemi. Non per risolvere questo o quel tipo di problema, per non fare lunghe divisioni o qualcosa del genere, ma per sviluppare un atteggiamento generale per la soluzione dei problemi.
L’insegnamento non è una scienza, è un’arte. Se l’insegnamento fosse una scienza, ci sarebbe un modo ottimale per insegnare e tutti dovrebbero insegnare in quel modo. Dal momento che l’insegnamento non è una scienza, vi è grande latitudine e possibilità per differenze personali.
In un vecchio manuale britannico vi era la seguente frase:
“Qualunque sia il soggetto, ciò che l’insegnante insegna realmente è se stesso.”
Ci sono tanti modi di insegnare bene quanti insegnanti ci sono. Ma lasciate che vi dica quella che è la mia idea d’insegnamento. Forse il punto centrale, ampiamente accettato, è che l’insegnamento deve essere attivo, o meglio, apprendimento deve essere attivo. Questa è l’espressione migliore.
Non si può imparare solo leggendo. Non si può imparare solo ascoltando le lezioni. Non si può apprendere solo guardando i film. È necessario aggiungere l’azione della vostra mente, per imparare qualcosa.
È possibile chiamare questo metodo socratico in quanto Socrate l’ha formulato duemila anni fa, in modo molto colorito. Ha detto che l’idea dovrebbe nascere nella mente dello studente e l’insegnante deve solo agire come una levatrice. L’idea dovrebbe essere nata nella mente dello studente in modo naturale, la levatrice non deve intervenire troppo e troppo presto. Ma se il parto è troppo lungo, la levatrice deve intervenire.
Questo è un principio molto vecchio e vi è un nome moderno per esso – il metodo della scoperta. Lo studente impara con la propria azione. L’azione più importante nella formazione è quella di scoprire da soli. Questa sarà la parte più importante in tale insegnamento che ciò che si scopre da soli durerà più a lungo e potrà essere meglio compreso.
In sintesi, un proverbio cinese dice:
“Sento e dimentico. Vedo e mi ricordo. Faccio e capisco”.
Una delle sfide cruciali è di innovare dalle fondamenta i sistemi educativi. Innovare è difficile perché significa mettere in discussione ciò che diamo per scontato, le cose che pensiamo siano ovvie. Il grande nemico delle riforme o delle trasformazioni è la tirannia del senso comune, quando la gente pensa, “Beh, non si può fare in altro modo perché è così che si fa.”
Abraham Lincoln nel dicembre del 1862 dopo aver firmato Il Proclama di Emancipazione (degli schiavi), durante la guerra civile americana nel messaggio annuale del Congresso, disse:
“I dogmi del tranquillo passato sono inadeguati al burrascoso presente. La situazione è irta di difficoltà e dobbiamo essere all’altezza con la situazione.”.
Mi piace molto. Non dice all’altezza di essa, ma con essa.
“Poiché il caso è nuovo, dobbiamo pensare in modo nuovo ed agire in modo nuovo. Dobbiamo emancipare noi stessi e così salveremo il nostro Paese.”
Nel recente passato probabilmente il pinnacolo dell’istruzione consisteva nell’andare all’università. Credo che siamo ossessionati dall’idea di mandare le persone all’università. Non voglio dire che non ci si dovrebbe andare, ma che non tutti devono farlo per forza e non tutti devono andarci subito. Magari più avanti, non immediatamente. L’importante è che la scuola insegni “l’imparare ad imparare”
Vedete, per me, le comunità umane si reggono sulla diversità dei talenti, non su una singola concezione di abilità. E al cuore delle nostre sfide c’è la ricostituzione dell’idea di abilità e di intelligenza. Ho sentito dire
“L’università comincia dalla scuola dell’infanzia”
No, non è così. Non comincia lì. La scuola dell’infanzia comincia dalla scuola dell’infanzia. Un mio amico una volta disse, “Un bambino di tre anni non è la metà di uno di sei. È un bambino di tre anni”.
Ciò che i bambini hanno in comune è che si “buttano”. Se non sanno qualcosa, ci provano. Giusto? Non hanno paura di sbagliare.
Ora, non voglio dire che sbagliare è uguale a essere creativi. Ciò che sappiamo è che se non sei preparato a sbagliare, non ti verrà mai in mente qualcosa di originale.
E quando diventano adulti la maggior parte di loro ha perso questa capacità. Sono diventati terrorizzati di sbagliare. E noi gestiamo le nostre aziende in quel modo, stigmatizziamo errori. E abbiamo sistemi d’istruzione dove gli errori sono la cosa più grave che puoi fare. E il risultato è che stiamo educando le persone escludendole dalla loro capacità creativa.
Quindi credo che dobbiamo cambiare i modi di pensare l’educazione. Dobbiamo passare da un modello industriale dell’educazione, un modello di produzione, basato sulla linearità, sul conformismo e sulla segmentazione delle persone ad un modello basato più sui principi dell’agricoltura. Dobbiamo riconoscere che la crescita dell’essere umano non è un processo meccanico, è un processo organico. E non si può predire il risultato finale dello sviluppo umano; tutto quel che possiamo fare, come un agricoltore, è creare le condizioni entro le quali i nostri figli cominceranno a crescere e svilupparsi.
Ho detto queste cose, perché qui a Barberino, è in corso, da qualche anno un esperimento, che cerca di muoversi in questa direzione e vi invito a guardale i materiali qui esposti da questo punto di vista. E se avete curiosità parlatene con le insegnanti e con i vostri figli.
Ma per finire voglio darvi un avvertimento con le parole di un poeta irlandese W.B. Yeats, (1865 -1939). Le scrisse al suo amore, dispiacendosi del fatto che non era in grado di regalarle quello che lei avrebbe voluto. E disse:
“Ho qualcos’altro ma forse non è quello che tu vuoi… Se avessi i drappi ricamati del cielo, intessuti della luce dell’oro e dell’argento, i drappi azzurri e quelli dai colori chiari e scuri, delle mezze luci del giorno e della notte, stenderei quei drappi sotto i tuoi piedi. Ma io, essendo povero, ho solo i miei sogni. Ed i miei sogni ho steso sotto i tuoi piedi. Cammina leggera, perché cammini sui miei sogni.”.
E ogni giorno, in ogni luogo, i nostri figli stendono i loro sogni sotto i nostri piedi. E noi dovremmo camminare con piede leggero.
GRAZIE