I giovani non sanno scrivere: che fare?

Education 2.0

https://www.educationduepuntozero.it/didattica-e-apprendimento/i-giovani-non-sanno-scrivere-che-fare-3055489926.shtml

I giovani non sanno scrivere, che fare?

in Didattica e apprendimento

di Maria Piscitelli | del 21/01/2010 |2 commenti | commenta

articoli correlati

La scuola ha l’oneroso compito di insegnare a scrivere, non dimenticando mai che ogni ragazzo ha il suo percorso di scrittura, legato a storie e a sensibilità differenti. È soprattutto dentro questa realtà che dovremmo scavare per meglio capire perché i giovani non sanno scrivere.



Sempre più frequentemente appaiono sui giornali interviste a insigni studiosi o a personalità del mondo accademico che si lamentano delle scarse capacità scrittorie dei giovani. Se ne riportano strafalcioni e difficoltà espressive, ricercando cause e adducendo spiegazioni più o meno plausibili, che evidenziano tutte una preoccupante realtà: i giovani non sanno scrivere. È pur vero che dare risposte esaustive è impossibile, poiché la questione è spinosa e complessa e tanti sono i motivi per cui un ragazzo fatica a scrivere. Tuttavia questo non dovrebbe indurci a disegnare il giovane di oggi come una persona incapace di comunicare con altri linguaggi (non verbali, multimediali, artistici, musicali, teatrali etc.) e registri di lingua in fondo tutti legittimi e presenti nelle “Indicazioni nazionali” del I ciclo e nella definizione di “Asse dei linguaggi” del biennio della scuola secondaria di II grado.

Probabilmente più che demonizzare e amplificare questa situazione, sicuramente non rosea, ma inevitabile dato che viviamo nel mondo delle nuove Tecnologie e Linguaggi, dovremmo capire come mai la scuola non ottenga risultati, interrogandoci se insegna davvero a scrivere. E se lo fa come lo fa.

Dovremmo chiederci se insegna a scrivere attraverso una didattica motivante oppure mediante l’assegnazione di temi intorno ad argomenti su cui non vi è stata la giusta preparazione (vedi i temi di attualità). Dovremmo chiederci se di fronte a compiti di scrittura essa riesce a suscitare il piacere o almeno l’urgenza dello scrivere e se è consapevole che questa abilità si appoggia sull’abilità di lettura, sua gemella, e quindi occorre stimolare i ragazzi a leggere, coinvolgendoli in letture interessanti e accessibili. Non dimentichiamo che i ragazzi crescono in un mondo adulto, non particolarmente competente nella lettura (ovvero legge poco).

Ma per scrivere non basta leggere; quando si scrive si attinge a un repertorio linguistico sia scritto che orale. Ciò richiede un lavoro sull’oralità che tratti una varietà di parlati, non legati soltanto all’interrogazione, alla spiegazione oppure alla comunicazione quotidiana. Dovremmo indagare se la scuola adotta sistematicamente una didattica dell’oralità, attivando la pratica e lo studio di una pluralità di forme testuali orali.

È su questo versante che bisognerebbe confrontarci e discutere, evitando pericolosi riflussi nostalgici. La grammatica, antica amica di molti e più volte chiamata in causa per riparare tutti i mali, in questi casi purtroppo non aiuta e questo lo si sa da tempo, avendolo sperimentato sul campo. Se fosse vero il contrario e cioè che basta svolgere un ricco programma grammaticale o assumere approcci grammaticalisti per imparare a scrivere, dovremmo preoccuparci, visto che nella scuola media e nella scuola primaria questo già accade (nella scuola primaria si inizia ad affrontare l’analisi logica in IV-V, nella scuola media di I grado si studiano morfologia e sintassi per tre anni).

La grammatica serve invece a controllare e a migliorare la scrittura, a sciogliere un dubbio logico/linguistico; però prima bisogna saper scrivere, come sapevano scrivere gli alunni della scuola gentiliana. Allora aveva un senso svolgere un corposo programma grammaticale; la scuola era frequentata da chi era pronto per… (Vale la pena di aggiungere che la grammatica era necessaria al latino!).

Che si debbano poi conoscere alcuni fondamentali contenuti grammaticali è un altro discorso! Ma il ragionamento ci condurrebbe sul piano dei saperi essenziali e significativi, così fortemente auspicati nelle riforme passate della scuola e raramente nominati dagli intervistati.


Per approfondire:
• Il Dipartimento disciplinare di Lingua italiana del Circolo Didattico di Vinci (FI)
Progetto Bond

commentami piace21torna su

Leggere, scrivere e…di MARIAROSA50, pubblicato il 03/02/2010La vexata quaestio della lettura e scrittura dei giovani nella scuola italiana e anche fuori dalla scuola ( ma anche dei non più giovani) appassiona tanti di noi, insegnanti e non, anzi soprattutto i ?non? che da ogni canale mediatico si profondono in ampie lamentazioni sull? incapacità di scrittura dei giovani studenti: i ragazzi non sanno scrivere, e, quando lo fanno, sono innumerevoli gli errori di tutti i tipi, il lessico non è appropriato, lo stile è pessimo, il linguaggio specifico inesistente. Come deve sapere scrivere un bambino dopo cinque anni di scuola primaria? E un adolescente al terzo anno delle medie? Ed infine un ragazzo alla fine del percorso liceale? Deve essere competente nella scrittura e o nelle scritture? Forse sarebbe bene farla questa distinzione. Le competenze in uscita richieste nelle indicazioni nazionali (Fioroni, 2007) alla voce ?asse dei linguaggi?, vengono enucleate molto dettagliatamente. Nel documento si parla di competenze che devono essere spese per una scrittura efficace in ambito scolastico, ma soprattutto in ambito non scolastico. E si enucleano i diversi ambiti su cui si deve concentrare l?insegnamento/apprendimento dell?italiano. In ciò è particolarmente significativa la specificazione degli ?ambiti? di letto/scrittura. Si parla di lettura e comprensione di testi continui ma anche non continui, di testi autentici e di tutte le forme in cui viene utilizzata la comunicazione verbale. Però, come si può osservare da parte degli addetti ai lavori, i docenti di italiano, specie al biennio della secondaria superiore, si ostinano a privilegiare i testi letterari o anche paraletterari. Ora, come giustamente afferma Maria Piscitelli, non si può far leggere un testo letterario ad un apprendente, che appunto perché tale, deve prima apprendere ad utilizzare la lingua attraverso tutti i passaggi di ordine pragmatico prima ancora che teorico. Questa semplice osservazione che è così naturale per chiunque apprenda una lingua straniera, risulta molto lontana dalla prassi di insegnamento dei docenti dell?italiano come lingua madre. Oggi i bambini e gli adolescenti utilizzano nella scrittura la lingua che ritengono più necessaria per comunicare tra loro, vale a dire quella degli sms, dei network, delle chat, dove, per la naturalezza con cui viene usata e la facilità con la quale viene compresa, passa per essere ?la lingua? d?uso e di scambio comunicativo. Apprendere quindi una lingua strutturata come quella dei testi letterari risulta quanto mai difficoltoso, senza una serie di passaggi intermedi che, attraverso testi comunicativi autentici, di uso pragmatico e comune, portino gradatamente verso la complessità dei linguaggi. Anche la riflessione sulla lingua non può prescindere da questo processo graduale e non può quindi essere cosa separata da questo. La grammatica deve diventare significativa per l?apprendente e tale diventa solo se egli ne comprende l?efficacia all?interno della sua prassi comunicativa. Da questo punto di vista le modalità teoriche, scisse dalla ?pratica dei testi? risultano incomprensibili per i nostri ragazzi che sono abituati a percepire e a recepire nozioni e informazioni solo in relazione a quanto è loro necessario nell?immediato. Maria Rosa Giannalia

di SIMONASACCHINI, pubblicato il 26/01/2010Chi sa scrivere?? Anche se insegnante (o meglio, ex insegnante da qualche mese), non so dire con sicurezza se i ragazzi sanno o non sanno scrivere. Però mi chiedo: sanno o non sanno scrivere rispetto a cosa? A chi? E poi: saper scrivere è un?arte? E? un dono naturale? E? un?abilità da acquisire? E se così è, come si insegna a scrivere? E, s?impara a scrivere solo a scuola? Dalle risposte dei rettori, professori, intellettuali si evince che il mondo giovanile è connotato da disortografia, povertà e genericità lessicale, da incertezze nell?articolazione corretta della sintassi. Non lo disconosciamo, ma crediamo che, prima di sciogliere geremiadi sui frequenti strafalcioni, grammaticali e sintattici dei giovani, sulle loro miserie lessicali, sarebbe più corretto chiederci, in primo luogo, se solo quelle competenze definiscano il ?saper scrivere? e, secondariamente, o meglio, contemporaneamente, chiederci se non sarebbe più utile allargare il campo di indagine ad un ?pubblico? più vasto. Sull?arte del ?saper scrivere? sono convinta che ognuno di noi in fatto di scrittura come di lettura – le gemelle, come le definisce Maria Piscitelli – abbia gusti diversi, personali, dettati dal proprio sentire, dalle proprie frequenze con la lettura, dal proprio ambiente socio-familiare-culturale e, certo non per ultimo, dal tipo di scuola frequentata e vissuta. C?è chi ama il bello stile, la perizia raffinata, chi l?immediatezza dei sentimenti slegata dai vincoli linguistici, dal rigore stilistico, dal rispetto delle forme e quindi apprezza l?uso sapientemente asintattico, la forma spezzata? Ma questa ?libertà? vale o non vale a scuola? A scuola ci si attiene ancora ad un unico imperituro modello di scrittura e di stile o sono incoraggiati altri modelli e si valorizzano anche altri stili? Quando i giovani ascoltano la radio e la televisione, seguono un dibattito, un programma di intrattenimento, un talk show, o quando leggono giornali e riviste, possono rintracciarvi validi modelli linguistici? uno stile efficace, strutture sintattiche ben articolate, chiarezza di espressione, correttezza ortografica? vi rintracciano modelli di scrittura e di parlato corretti? Già Calvino, nel noto testo Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio (Garzanti, 1988) metteva in guardia contro la genericità del pensiero e dell?espressione linguistica, definita ?una peste del linguaggio? e notava che questa non investiva solamente l?uso stretto della lingua, ma anche molti altri circuiti della vita sociale come la burocrazia, la politica, i media: ?alle volte mi sembra che un?epidemia pestilenziale abbia colpito l?umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l?uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l?espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive??. Interessato ad indagare le possibilità di ?salute? della lingua, Calvino non si soffermava ad interrogarsi sulle origini di tale epidemia, limitandosi ad affermare tuttavia che esse si rintracciavano facilmente nella politica, nell?uniformità burocratica, nell?omegeneizzazione dei mass media, nella diffusione scolastica della media cultura. Il riferimento all?oggi è fin troppo facile, ma è un oggi che comprende tanti, parlanti e scriventi, e non solo i giovani. E non solo la scuola. Simona Sacchini