Classico: cultura e spazi nell’Europa moderna

CLASSICO: CULTURA E SPAZI NELL’EUROPA MODERNA (Quattro-Cinquecento)

Sotto la minaccia dei Turchi 1261-1453

Franca Bellucci

1. CARTA GEOGRAFICA[1]

2. FATTI-NARRAZIONE

Il 1261 è la data in cui Costantinopoli tornò ad essere la capitale dell’Impero ricostituito[2], e dunque sostanzialmente ebbe fine l’Impero latino, benché molti insediamenti continuassero (detti latini o franchi), consentendo intromissioni ai gruppi commerciali dell’Europa occidentale. Come la regione di Nicea, nell’Anatolia settentrionale, era stata il cuore della resistenza ai latini, così di qui era partita la riscossa. Nel nuovo Impero sia l’ampiezza dei confini sia l’affluenza di ricchezza rimasero fortemente ridimensionati. Il successo della lotta contro le usurpazioni latine ebbe come asse portante la dinastia dei Paleologi, a partire da Michele VIII che diresse l’impero dal 1261 al 1282. L’Epiro, già dominio della famiglia Angeli, cedette ai Paleologi solo nel 1337. Seguirono altri sei imperatori[3] di questa dinastia, fino alla caduta di Costantinopoli del 1453.

L’assedio più volte minacciato raggiunse l’effetto il 29 maggio 1453: la città fu distrutta ed ebbe fine l’Impero romano per mano del giovane sovrano turco Maometto II, grande esperto di metalli e di artiglieria. Il saccheggio fu accompagnato da stragi e stupri contro le donne: uno degli eventi bellici in cui il corpo delle donne è compenso dell’efficacia guerriera. Dell’imperatore Costantino VII detto Dragazes si perse ogni notizia.

La caduta di Costantinopoli fu l’ultimo atto nella costituzione dell’Impero dei turchi, dall’occupazione nel 1071 di Manzinkert (poco a nord di Edessa, oggi Sanliurfa, Turchia orientale) all’avanzata in Anatolia con Osman I (1259-1326) all’intera regione intorno a Costantinopoli (Tracia, Macedonia, penisola Balcanica).[4]

Perciò l’impero all’epoca dei Paleologi fu ridottissimo, limitato alle zone più costiere, discontinuo, concordato con i latini.[5] Domìni cospicui continuò ad avere Venezia[6], lo stato che più partecipò delle vicende dell’Impero, talora sostenendolo e talora osteggiandolo. Molte isole lungo la costa anatolica erano possedimento di Genova e dei cavalieri di San Giovanni, che nel 1291 persero dai turchi il territorio eponimo di San Giovannni d’Acri[7]. I genovesi, in cambio di una più forte presenza commerciale nel quartiere costantinopolitano di Galata, avevano aiutato il movimento dei Paleologi. In Cipro si manteneva, dai tempi di Riccardo Cuor di Leone, il feudo dei Lusignano, sia pure accordando ai Genovesi il porto di Famagosta e vedendo rafforzarsi l’autorità dei veneziani. Per compensare i mercenari, inoltre, furono alienate delle zone. Così ascesero i catalani in Atene, durante il 1300, specie al tempo di Alfonso Federico, figlio di Federico III d’Aragona e Sicilia[8].

Con questa fase davvero l’Impero bizantino può essere definito Impero greco, considerando la posizione sempre più forte di Mistrà, città del Peloponneso non lontana dall’antica Sparta, ma con fitti intrecci parentali in Occidente, per esempio gli Aleramici e gli Angiò[9]. Gli Angiò erano concorrenti dei Paleologi: il sostegno che questi avevano dato alla rivolta siciliana aveva determinato il successo dei Vespri, e quindi l’indebolimento degli Angiò, nel 1282-1302. Perciò gli Angiò si appoggiarono ai Turchi e ostacolarono l’unione delle chiese, la romana e l’ortodossa[10].

Lo strumento della crociata sembrava ancora attuale. Nel periodo 1261-1453 si prepararono in effetti crociate, come quella del re di Francia, Luigi IX, che nel 1270 morì a Tunisi.

Una crociata fu progettata anche dopo la distruzione di Costantinopoli. Il progetto, nel 1464, era del papa Pio II (1458-1464), l’umanista Enea Silvio Piccolomini. Il vecchio papa incontrò la morte al porto di Ancona, lasciato pressoché solo.

Di fatto le ragioni che mobilitavano i regnanti erano ora dinastiche o commerciali, alla ricerca di itinerari possibili verso merci ricercate. Molti tentativi verso l’Oriente erano stati compiuti per via di terra nel XIII secolo. Gli itinerari oceanici erano nuove prove, a capo delle quali spiccavano i Portoghesi, che scendevano lungo le coste africane. [11] Nel XV secolo altri si attivarono: i regnanti della Castiglia (e poi, con l’unificazione castigliano-aragonese e la presa di Grenada nel 1492 – cui conseguì l’espulsione di moriscos ed ebrei –, della Spagna), quelli dell’Inghilterra.

La novità delle prospettive minava l’intero ordine culturale che aveva dominato il medio evo: vi contribuì la perdita di Costantinopoli, ormai Istanbul, la fine della navigazione sicura nel Mediterraneo, la scoperta di nuove popolazioni, il riesame presso i cristiani della salvezza ottenuta da Cristo, il nuovo accanimento di dominio. Il cumulo delle interpretazioni da affrontare si rivolse per un tempo abbastanza lungo a Roma e all’Italia, come antica sede dell’ordine medievale. Tuttavia alla caduta di Costantinopoli seguirono accuse implicite ed esplicite. Fu la stagione di quel profondo riesame culturale che fu il Rinascimento italiano.

Ma l’arbitrato condotto sui vari piani non sembrò equanime alle potenze europee. Per esempio spiacque la soluzione voluta da Alessandro VI Borgia[12] sulle terre scoperte: che cioè se ne facesse una concessione duopolistica per Spagna e Portogallo, tanto più che nell’Europa atlantica vi erano almeno altri due soggetti forti.[13] Dalla guerra dei Cento anni, condotta dal 1328 al 1453, in pratica in parallelo con l’avanzata dei turchi nel Mediterraneo, Francia ed Inghilterra sperimentavano nuove potenzialità sociali ed economiche nella configurazione unitaria, risolto l’intreccio territoriale.  La Francia si avvicinava, fino ad annetterla nel 1477, alla splendida Borgogna. Su questo risultato si rinnovò il concetto di ‘nazione’: si osservavano aggregazioni operanti con coscienza collettiva, per le quali i regnanti acquisivano un rinnovato prestigio morale.

3. PASSIONE UMANISTICA PRODUTTIVA. CENTRI PER LA CULTURA

La stagione del Rinascimento ha lasciato grandi impronte, le più visibili nel profilo artistico. Fu in primo luogo un vivissimo riesame dei fondamenti culturali: di qui il rilievo così particolare della filologia, da essere riconosciuta punto di partenza comune per ogni parte della civiltà europea che dal Cinquecento ad oggi abbia scritto la sua storia nazionale.

Fu tuttavia un periodo caotico, in pratica essendosi dissolta, con l’umiliazione dell’impero conseguente alle vittorie dei turchi, ogni credibilità della forza di coesione, che non fosse materiale: la si impose con le armi, lo studio della violenza fisica, la corruzione indotta dai tanti possibili ricatti. Il papato non passò l’esame, malgrado il valore delle realizzazioni artistiche, attraversato da profonde contraddizioni, da debolezze culturali, dottrinali, civili. Si intensificarono nei paesi cristiani le imposizioni tramite violenza fisica: il rogo, i triboli dell’Inquisizione (quella spagnola e quella romana) si intensificarono, ad opera di autorità religiose come civili.

Le rivendicazioni territoriali del papa nel centro Italia sul corridoio tra Adriatico e Tirreno furono stabilizzate come Stato Pontificio con un iter del tutto compatibile con quelli delle signorie: prima le armi di Cesare Borgia, poi il patto con il potentissimo Carlo V, dopo che, saccheggiata Roma nel 1527, ottenne l’incoronazione imperiale del 1530. La relazione tra papato ed impero non avrebbe mai più conosciuto le pretese della lotta delle Investiture. Dalla riforma protestante, che si data dall’autunno del 1517, tra guerre, secessioni, tregue, fino agli eventi contemporanei, il ruolo francamente arbitrale del papato risulta limitato. Eppure il moto, così caotico come pur diciamo, della modernità che definiamo rinascimento ha in più modi e tempi proposto confronti, senza esaurirsi, tra le varie parti dell’Europa occidentale.

Il governo signorile del papa fu uno degli aspetti che ne intaccarono il prestigio in Europa settentrionale. Anche su questa realtà ci fu un intervento della filologia rinascimentale che infiammò la critica. La sovranità papale subì la confutazione formale: da Lorenzo Valla, a Roma, nel silenzioso lavoro del 1440[14] e da Ulrich von Hutten, in Germania nel 1518, mirando alla polemica antipapista.

Le regioni d’Europa, stabilizzatesi tra campagne belliche, più volte si sono chiamate e confrontate sul piano culturale, riconoscendosi: una vera pluralità di centri.

Qui presentiamo il rinnovamento letterario rinascimentale nella distribuzione geografica:

-3.A, Accoglienza in Italia (i maestri; Firenze; Roma; Venezia e Messina)

-3.B, nei Paesi del continente affacciati sul Mare del Nord. Le ombre sulla creatività

-3.C, torsioni. La feconda diaspora – Gli argini alla nuova creatività

Le nostre letture sono modeste, ma desideriamo che siano indicative.

3.A ACCOGLIENZA IN ITALIA, L’ENERGIA CREATRICE DELLA PIETAS[15]

Ci focalizziamo sul dialogo con gli autori nell’epoca che va dalla peste di metà Trecento alla fine del Cinquecento. Questa data: diamo rilievo al clima creato in Italia dai provvedimenti del Concilio di Trento. Diversa qui la situazione dal resto d’Europa, dove tra conflitti ed imprese, alcuni poteri laici, specie di sovrani, diventano leve per grandi culture regionali, pur dialoganti magari per competizione (così che si attivano i vari Rinascimenti). Il loro potere ha molto di arbitrario, nel promuovere come nel reprimere, e dà spazio alla cortigianeria. Ma alimenta la via del grande mecenatismo.

In Italia i principati si stabilizzarono come autonomie sotto il dispositivo imperiale e fu poi indiretta l’eco delle guerre di religione. Tuttavia accadde una flessione nelle attività culturali. Un’ossessione delle regole risalta prima di tutto come disciplina individuale (si pensi a Torquato Tasso), che contagia via via i vari settori di studio. Vi era comunque un’attenzione esterna che interveniva, se l’autodisciplina non era sufficiente filtro. Giordano Bruno e Galileo lo dimostrano. In Italia il mecenatismo non ebbe grande respiro né ambizioni.

L’ossessione delle regole, di cui ho detto, si osserva in letteratura come pretesa di rientrare nei dettami aristotelici. Rispecchiava l’intervento culturale del Concilio di Trento sulla letteratura più attinente alla tradizione cristiana, solo ora sistematizzata in cataloghi e validazioni. Quel consesso diede “valore dogmatico al Canone dell’Antico Testamento” nella versione della Vulgata e con l’aggiunta di tre libri apocrifi.[16] Era del resto la risposta ufficiale alla trasformazione del cristianesimo in religione del Libro, come non era “inizialmente – a differenza dell’Islam”. Divenne confine fra protestanti e romani, oltre a quello territoriale, anche il diverso modo di intendere la cultura: la diffusione dei libri canonici fu più larga nei paesi protestanti, comportando una diffusa alfabetizzazione. Così non avvenne nei paesi romani. Qui però la letteratura cristiana che era stata ‘popolare’ diventava ora piuttosto ‘devozionale’[17].

La passione del libro in generale come oggetto che la filologia rende attendibile è il segnale dell’Umanesimo (ma i contatti con l’antico non erano mai stati sospesi: cfr. Ovidio moralizzato, il romanzo di Alessandro, il romanzo di Troia). Più specifica nella corrente umanistica era la passione ad apprendere filologicamente il greco – poiché il greco parlato era molto più presente, dati i contatti commerciali, militari, istituzionali di cui abbiamo detto – ed a rivedere il latino, che era ben diffuso in tutto lo spazio europeo, curandone lo stile sul modello ciceroniano. La coincidenza dell’invenzione della stampa a metà ‘400 (Gutenberg, Magonza) fu applicata a tale passione. Le stamperie collaborarono alla diffusione del libro.

I segnali che seguiamo sono, oltre alle passioni dette, anche le indagini disciplinari fatte sulla scorta degli antichi – anziché per concessione della Scolastica –, la fiducia nell’accesso possibile alla mente umana, che si alimentava del platonismo e delle tradizioni ermetiche. Le compilazioni che facilitavano l’accesso al sapere antico, dizionari o enciclopedie di questo taglio, sono pure espressioni notevoli della passione umanistica.

I maestri; la scuola alternativa; la svolta a Firenze

Per i dotti greci incalzati dagli eventi fra Tre e Quattrocento. L’Italia costituiva il primo approdo, che poteva però consolidarsi in occasioni di impiego: Milano, Venezia, Padova, Ferrara, Firenze, Napoli si facevano concorrenza a reclamarli.

Siamo noi a chiamarli ‘maestri’: essi si definivano invece ‘poeti’, consci della relazione formativa che instauravano, nonché della diversità della loro proposta rispetto alle università degli studi, luoghi canonici dominati dalla tradizione scolastica. Ne facciamo un elenco sommario, così da suggerire i percorsi dei personaggi, e soprattutto il fervore suscitato.

Il primo dei maestri fu Manuele Crisolòra (Costantinopoli, ca. 1355-Costanza, 1415),[18] vicino per incarichi e per gusto culturale all’imperatore Manuele II Paleologo. Impegnato in incarichi diplomatici in Occidente, accondiscese in più periodi ad insegnare lingua e filologia greche, a Venezia, a Firenze, dove giunse nel 1397. Discepoli noti: Coluccio Salutati, Poggio Bracciolini, Guarino di Verona. Tra le sue opere, Erotemata, grammatica greca per quesiti. Fu strettamente legato a questo maestro, avendone sposato la nipote, l’italiano Francesco Filelfo, (Tolentino 1398-Firenze 1481), i cui studi erano stati fatti a Padova, ma che si naturalizzò con i greci essendo stato a lungo a Costantinopoli come bailo. Fu grande fautore degli studi umanistici: a Venezia, a Milano, a Siena, a Firenze. Fu sepolto a Firenze in SS. Annunziata.

Un’altra matrice importante di umanesimo parte da Giorgio Gemisto Pletone (Costantinopoli 1355-Mistrà 1452). Filosofo neoplatonico, quando dovette allontanarsi dalla capitale fondò una scuola di tale impostazione a Mistrà, nel Peloponneso meridionale, allora luoghi incrociati da molti occidentali. Fu suo discepolo Bessarione (Basilio, ma detto anche Giovanni, Trebisonda, ca. 1408-Ravenna 1472). Come patriarca di Nicea partecipò con il suo imperatore ai concili unionisti, incontrandosi con Cusano, infine ospitato con grande onore a Firenze. Seguì poi il papa Eugenio IV a Roma, dove fu nominato cardinale. Vista la contestazione della riconciliazione a Costantinopoli, dal 1440 restò in Italia e fu archimandrita a Messina. Infine lasciò i suoi libri a Venezia, dove fu così fondata la Biblioteca Marciana. 

Il percorso del cardinale Bessarione fu seguito da molti altri. Qui ricordiamo i Lascaris, personaggi di discendenza imperiale, non parenti fra di loro. Costantino Lascaris (Costantinopoli 1434-Messina 1501) insegnò prima alla corte degli Sforza, poi a Roma, chiamato da Bessarione, infine a Messina, dove costituì una scuola celeberrima: vi fu mandato dal padre Pietro Bembo, per acquisire una piena padronanza del greco.  Lasciò una ricca biblioteca alla città di Messina: ora si trova a Madrid.

Nella sua fase formativa aveva studiato presso Giovanni Argiropulo (Costantinopoli 1416-Firenze 1487). Accanto a questi si formarono molti umanisti eccellenti, come Angelo Poliziano, Donato Acciaiuoli, Giovanni Reuchlin. Anch’egli era venuto in Europa per seguire il Concilio unionista. Tra i viaggi passò da Padova, dove fu rettore, a Firenze, a Roma. Studiò in particolare Aristotele.

Diverso il percorso di Giano Lascaris (Ianos; detto anche Giovanni), che, deluso in Italia, non esitò a passare in Francia (1445: si fece chiamare Rindachino, dal nome di un fiume anatolico; ma sembra venisse da Eno, sull’Egeo. Morì a Roma 1534). Forte fu il rapporto con Firenze, e poi con Leone X, che lo chiamò a Roma per il progetto del Collegio dei Greci sul Quirinale. Nel 1516 il collegio prese l’avvio. Lascaris e Musuro, il greco amico di Manuzio, insegnavano il greco, mentre Lampridio di Cremona insegnava latino. Chiamato poi dal papa ad altri impegni, gli subentrò Arsenios Apostolios di Monemvasià. Dalle notizie che troviamo nelle sue lettere (1522, da Vicenza, al gran maestro Anne de Montmorency), Lascaris informa che a Roma non aveva ricevuto finanziamenti fra 1520-22, intervenendo di tasca sua. Dunque l’esperienza era fallita. Non andò in porto il tentativo di attivare il Collegio greco a Milano. Nelle guerre tra imperatore e Francesco I fu attivo mediatore, pur poco ascoltato. Tenne un forte contatto con Francesco I, anche desiderando l’intervento reale per il Collegio greco: ma intanto le adesioni erano marginali ed egli invecchiava. Tuttavia l’opera di Lascaris risulta di primaria importanza per l’iniziativa, da lui consigliata, del Collegio dei lettori reali: istituzione che si realizzò nel 1530 per l’azione ripresa da Guillaume Budé e che divenne Collegio di Francia: fu grande strumento per trasformare la Sorbona in senso moderno.

Firenze occupa uno spazio centrale, stabile nel succedersi delle generazioni in questo processo. Le relazioni con le terre orientali (soprattutto istituzionali, commerciali, militari; in parte anche culturali e linguistiche) erano diffuse in tutta la Penisola. A fine ‘300 si intensificarono in tutta l’area alpina, intorno alle grandi città, i contatti fra le cancellerie dei Paleologi e dell’impero romano – attività diplomatiche curava per esempio Nicola Chrypffs, detto Cusano: uomo di chiesa e di politica, scienziato ed umanista –. Si crearono dunque situazioni che incentivarono le occasioni per apprendere e usare la lingua greca, in una ammirazione per il livello e la potenza delle conoscenze dei greci che stimolò uno spirito competitivo.[19]

Nel vivace fervore culturale delle corti padane (Milano e le corti che avevano ospitato Dante e Petrarca, Verona, Padova) un particolare impegno in senso umanistico distingueva Padova[20]. Tuttavia Firenze, consolidatasi in Toscana e convinta della cultura, come dimostrava la fondazione dello Studio nel 1348, procedette nel contatto con l’oriente in modo costante, presto privilegiando l’area culturale come una sfera feconda e manifestando una fiducia piena negli esiti pur oscuri della revisione totale dei canoni culturali. Come dire che dall’ospitalità non si previdero feed-back negativi, anche per la fiducia nel tessuto civile della città, che fu interamente permeata dall’impegno; infatti a mano a mano che si scoprivano acquisizioni importanti, a Firenze prontamente si applicavano nella pratica. I cantieri, le botteghe artigiane furono il modello per le associazioni culturali. La cultura si dotò così di istituzioni alternative alle università scolastiche, per lo più ritrovando l’antica denominazione di Accademia. Qui vediamo scorrere con chiarezza le generazioni, direi tre anteriori agli sviluppi del Cinquecento: quella dei precursori innestati nel Trecento[21]; quella testimone del concilio ‘unionista’ Ferrara-Firenze; quella dei cantieri artistici di tardo Quattrocento. La prima fase è vero appannaggio di Firenze; poi la nuova ottica si diffuse ed in particolare tra Quattro e Cinquecento Firenze prestò i suoi artisti a Roma, ora divenuto il primo cantiere d’arte. 

Firenze nelle tre fasi

Soggiornarono a Firenze spesso come insegnanti, durante itinerari italiani, letterati greci-bizantini, portando con sé manoscritti.

L’ambiente era già ben strutturato culturalmente prima della passione umanistica, anche recependo in vario modo gli autori antichi (Dante, Petrarca). Molto efficace fu però Boccaccio (1313-1375): egli diede luogo non solo all’ascolto di molteplici fonti ed a generi che si contaminavano di storie e nomi grecizzanti, ma ad opere di compilazione, come servizio a studi altrui. Da ricordare nel 1350 i suoi 15 libri (in latino), in contatto con Leonzio Pilato, di genealogie degli dei pagani, rispondendo alla richiesta di Ugo, re di Cipro. Di Boccaccio fu anche la raccolta De claris mulieribus, 105 vite di ogni epoca, compresa Giovanna I d’Angiò regina di Napoli e di Gerusalemme.

Tra i primi umanisti, studiando il greco con Crisolora, fu Gian Francesco Poggio Bracciolini (1380-1459), autore di novelle latine[22].

Un momento di grande presenza fu poi l’occasione del Concilio Ferrara-Firenze (1439-42). Aperti alla teoria unionista, giunsero a Firenze il papa mecenate Eugenio e l’imperatore ‘greco’. La passione umanistica si radicò tanto, che Cosimo il Vecchio progettò di fare di Firenze un centro nuovo di studi su base umanistica, così da considerare la città la seconda Atene: un vero motivo culturale cui Firenze ha guardato con costanza, sia pure con diverso risultato. Progettò quella Accademia di sapienti che divenne realtà nel 1462, ad opera del nipote Lorenzo.

Nel frattempo con la caduta di Costantinopoli ancora di più l’Italia diventava meta di esuli: si moltiplicavano i contatti di studiosi, con apporti di libri e materiali.

Leon Battista Alberti (1404-1472)[23] respirò l’atmosfera del Concilio unionista. Passò da molte regioni italiane, nato a Genova da genitori fiorentini. Fu autore di edifici esemplari a Firenze. Partecipò alle conversazioni dell’Accademia, accanto a Marsilio Ficino e Cristoforo Landino. Usò sia la lingua volgare (Della Famiglia) sia quella latina. Fu artista in molti campi, anche matematico e musico, scrisse di pittura (e di prospettiva), di scultura. Fu poi attivo presso il papa Eugenio IV.

Terzo periodo di umanesimo per Firenze fu quello in cui l’Accademia desiderata da Cosimo fu realizzata dal nipote Lorenzo nella villa di Careggi dal 1462 ma cessata con la cacciata dei Medici nel 1494, in particolare dedita agli studi platonici. Tra i molti che soggiornarono qui, oltre all’Alberti, al Ficino, a Landino, come accennato, citiamo il Poliziano, Pico della Mirandola.

Marsilio Ficino (1433-1499)[24] figlio del medico di Cosimo il Vecchio fu anima dell’Accademia careggiana. A lui fu affidata la traduzione in latino dei Dialoghi di Platone, terminata nel 1468. Stampata da Aldo Manuzio nel 1491, fu opera di riferimento fino al XIX secolo.

Angelo Poliziano (1454-1494) già a 19 anni fu assunto da Lorenzo come insegnante dei figli Piero e Giovanni (il futuro Leone X). La sua Favola di Orfeo, scritta nel 1480 per le nozze di Isabella d’Este e Francesco Gonzaga, ripropose la tragedia profana. Fu esperto di greco come di latino.

Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494) conosciute le migliori università (Bologna, Padova, Pavia; anche Parigi) a 23 anni fu accolto nell’Accademia careggiana. Oltre che di greco, fu esperto di ebraico, riprendendo dal siciliano Flavio Mitridate la teoria del parallelismo tra l’antica filosofia greca e la Bibbia. Morì giovane, a 31 anni. 

Umanesimo e Rinascimento nella Penisola a fine Quattrocento. Roma

Con la caduta di Costantinopoli Roma vide accrescere il suo ruolo culturale e diplomatico: il suo prestigio non discendeva solo dall’evergetismo, ma certo alla fine del secolo anche la cura architettonica e l’impegno artistico furono dimostrazione della sua nuova centralità culturale. I pronunciamenti in materia religiosa dei papi mostrano condotte contraddittorie verso la cultura greca. Tutto dipese dalla personalità dei papi: alcuni la incentivarono, come Niccolò V e Leone X.[25]

Ecco alcuni nomi. Flavio Biondo[26] (1388-1463) operò a Roma, dedicandosi alla ricerca archeologica, contribuendo a dare alla città aspetto monumentale. Suo il termine di ‘Medio Evo’.

Nella generazione intermedia che fu testimone del concilio Ferrara-Firenze troviamo Lorenzo Valla (1407-1457). Formatosi presso Giorgio Aurispa[27] e Leonardo Bruni fu al servizio del re di Napoli: cioè dal 1442 gli Aragona. Qui scrisse la famosa grammatica mirata allo stile ciceroniano, Elegantiae latinae linguae. Visse poi prevalentemente a Roma. Studiando i documenti dell’Archivio di stato poté dimostrare (1440), su base filologica, che la donazione di Costantino era un falso di epoca carolingia. Tuttavia non divulgò la tesi: lo fece più tardi Ulrich von Hutten, 1518. Comparò la traduzione latina in uso dei Vangeli con i manoscritti greci, scoprendovi molti errori. Egli mantenne la riservatezza. Erasmo nel 1504 pubblicò l’opera a Parigi, continuandola successivamente.

Invece Pio II (Enea Silvio Piccolomini, 1405-1464), benché lui stesso umanista, fu ostile all’Accademia romana, come neopagana. Fondata nel 1466, nel 1468 si scoprì celebrare il Natale di Roma e repressa. Furono torturati infatti ca. 15 umanisti, tra cui Pomponio Leto e Bartolomeo Sacchi detto il Platina (entrambi settentrionali). La sua vita si svolse in gran parte da laico, cancelliere a Vienna presso l’imperatore, scrittore brillante. Divenne papa nel 1458. Si impegnò molto per organizzare una spedizione antiturca, senza successo. Nella sua epoca, per molti aspetti simile, visse Nicola Cusano, come già accennato: umanista che difese con forza gli ordinamenti tradizionali.[28] Egli fu anche scienziato, in particolare astronomo.

Uomo davvero ‘cittadino d’Europa’ fu Pietro Marullo (1453-1500)[29], nato e cresciuto in Dalmazia dopo la fuga dei genitori da Costantinopoli, poi soldato mercenario agli ordini di vari capitani a Napoli, Firenze, Roma, anche nell’armata di Carlo VIII nel suo passaggio in Italia. Sposò Alessandra figlia dell’umanista Bartolomeo Scala, ma cantò con il nome di Neera una principessa aragonese, sembra Camilla Marzano, figlia di Eleonora e di Mariano Marzano principe di Rossano, andata sposa nel 1475 a Costanzo Sforza signore di Pesaro. Marullo morì affogando nel fiume Cecina.

Ancora più ‘cittadino del mondo’ fu Pietro Martire d’Anghiera (1457-1526), nato in Italia settentrionale e formatosi a Milano, ma passato in Spagna nel 1487 alla corte reale come cappellano, fino all’incoronazione di Carlo V. Egli conobbe i grandi navigatori, parlando di loro in una vasta corrispondenza organizzata in decadi, per esempio con Ascanio Sforza e con Leone X: fu il primo a riferire del viaggio di Colombo e della conquista di Hernando Cortés. In particolare colse l’importanza ed i problemi concernenti l’incontro con gli indigeni.

Venezia e Messina

Veneziafu particolarmente esposta ed aperta alla civiltà grecizzante, ponendosi come appendice dell’impero distrutto[30]. Qui si formò intorno al dotto Marco Musuro la società della Noeoaccademia, di cui fece parte Aldo Manuzio, il grande stampatore. Più tardi, nel rinascimento maturo, ma anche ormai consapevole delle tensioni religiose, a Venezia si formò Pietro Bembo (1470-1547), la cui famiglia era impegnata nella vita politica. Ebbe un’ottima formazione: fu mandato a studiare a Messina, con l’amico Angelo Gabrielli, presso Costantino Lascaris. Pietro visse con distacco gli antagonismi consueti di Venezia, operando per superarli e per esprimere una voce più universale. Visse molto a Roma, curando la corrispondenza per Leone X. Scrisse gli Asolani presso Caterina Cornaro, nonché le Prose della volgar lingua. Negli ultimi anni fu storico ufficiale per Venezia.

3 B. NEI PAESI AFFACCIATI SUL MARE DEL NORD. LE OMBRE SULLA CREATIVITA’

Il nord Europa presentava programmi interessanti sotto la guida di re, la cui potenza sfidava quella imperiale. Una serie di eventi faceva crescere le tensioni anche in Italia. Il desiderio di sviluppare una filologia che confrontasse latino greco ed ebraico era raramente accettato presso gli uffici romani, spesso anzi combattuto. L’intoccabilità della Vulgata stava diventando un principio radicato, tanto che a sua difesa veniva chiamata l’Inquisizione. Un altro aspetto scoraggiava gli studiosi attivi in Italia a passare le Alpi: a Parigi l’università era in mano ai dotti scolastici, pronti certo a combattere gli umanisti; ed era anche incerto che sarebbero stati offerti impieghi. Si passavano talora le Alpi, nell’una e nell’altra direzione, anche per simpatie religiose o per trovare dei protettori dalle persecuzioni. Comunque era molto attivo il viaggio inverso, dalle Alpi verso l’Italia. Facendone la rassegna, nei limiti del testo di J.Ch. Saladin già indicato, evidenziamo gli ambiti geografici, anche come semine di più ampie raccolte successive.

Prima diffusione nei Paesi sul Mare del Nord. (La Germania, la Francia, l’Inghilterra; altri luoghi)

Giovanni Reuchlin (o Reichlin; Capnion) (1454-1522),[31] svevo, studiò a Friburgo di Germania, poi a Basilea. Studiò greco a Parigi con Giorgio Ermonymo e fece studi giuridici a Orléans e Poitiers. Fu comunque fondamentale per l’introduzione dello studio del greco in Germania. Nel 1482 fece un viaggio in Italia, a Firenze, dove contattò Pico della Mirandola, e a Roma, protetto da Leone X. Nominato consigliere giuridico dei domenicani, esercitò a Stoccarda, ma con molte missioni: in Italia, a Firenze e in particolare a Roma, dove seguì i corsi di Giovanni Argiropulo. Conosceva l’ebraico: fu difensore degli ebrei e vide con favore il confronto trilingue per i testi sacri. Nel 1498 compilò il primo Dizionario di latino umanistico; scrisse anche una grammatica ebraica. Compose commedie in latino. L’attività editoriale di Reuchlin fu incessante, rifugiandosi a Ingolstadt e Tubingen durante la guerra nel Wurtenberg. La pronuncia del greco antico secondo le regole del greco moderno fu tratto che caratterizzò Reuchlin in contrapposizione alla pronuncia erasmiana artificiosa, che prevalse.

Ulrich von Hutten (1488-1523). Precoce poeta, ricevette la corona poetica. Avrebbe dovuto studiare a Fulda, ma ne fuggì, dirigendosi a Bologna per studi giuridici (ma contraendo la sifilide). Per le sue opere di satira infamante, Reuchlin lo rifiutò come allievo. Egli parteggiò per Lutero e fu antipapista: volle diffondere l’opera di Lorenzo Valla nel 1518, aggiungendo propri pamphlets in latino: insidiosi, poiché accostava personaggi reali citati per nome a quelli fittizi. Morì a 35 anni.

Non essendo rarissimo che anche alcune donne avessero l’accesso agli studi, si ricordano alcune umaniste, nei vari paesi d’Europa. A Norimberga fu nota l’umanista Caritas-Barbara Pircheimer, badessa, forse maestra di latino nel suo convento. Fu umanista anche il fratello Willibald, ellenista ed esperto di numismatica. Fu amico di famiglia l’umanista Conrad Celtis, primo incoronato poeta in Germania. Trovò e editò le opere di Hroswitha di Gandersheim, autrice di teatro in latino, del X secolo. Caritas ne fu incoraggiata. Dio non negava l’ingegno alle donne, evidentemente. 

Erasmo (Desiderio) da Rotterdam (nato 1466 o -69- morto 1536). Privato dei genitori, fu educato in convento a Rotterdam. Passò quindi in Inghilterra, dove frequentò Tommaso Moro. A Venezia conobbe la Neoaccademia e Manuzio. Continuò l’opera di Valla, di confrontare il testo della Bibbia nelle tre lingue delle antiche versioni (Novum Instrumentum), ma l’opera fu rifiutata malgrado la protezione accordatagli da papa Leone X. Nel 1516 pubblicò a Basilea il Nuovo Testamento bilingue latino-greco. L’ostilità verso di lui si accentuò dopo la Riforma, accusato di averla facilitata, pur se egli ne prese le distanze. Per questo ritenne più prudente andare a vivere in Svizzera, a Basilea, e poi in Germania, a Friburgo (F. Brisgovia, città imperiale), meno dominate dall’Inquisizione.

Tommaso Moro (1478-1535), l’amico di Erasmo, visse in Inghilterra, componente del Consiglio del re Enrico VIII dal 1518. Egli fu però cattolico intransigente quando il re entrò in conflitto con Roma. Alla fine fu decapitato. La sua Utopia del 1515 si ispirava all’Atlantide di Platone. L’invenzione intercettò aspirazioni profonde, fornendo alla comunità colta una nuova possibilità di esprimersi.

Fausto Andrelini (1462-1518) era nato in Italia, a Forlì. Studiò a Bologna con il Filelfo, poi a Roma con Pomponio Leto. Osò passare le Alpi, recandosi in Francia nel 1488. Svolse lezioni all’università di Parigi, ebbe corrispondenza con Erasmo. Per il re di Francia descrisse in poemi epici le guerre d’Italia. Fu nominato canonico di Baieux. Scrisse tre Heroides per la regina Anna di Bretagna.

Guglielmo Budé (1468-1540) accanto a Francesco I fu esperto di numismatica e comparatista di istituzioni. Nel 1530 fondò il Collegio dei lettori reali (sarebbe poi divenuto il Collegio di Francia).

Leone Ebreo o Giuda Abravanel (ca. 1460-1521). Nacque in Portogallo. La sua era una famiglia influente, ma caduta in disgrazia passò in Spagna. Anche qui la situazione si fece presto scottante, cominciando dopo il 1492 le persecuzioni contro gli ebrei. L’esilio proseguì dunque verso Napoli, dove Giuda studiò in particolare medicina: esercitò quindi a Napoli e Venezia. La sua opera fu messa all’Indice. Tuttavia i tre Dialoghi tra Filone e Sofia ebbero grande divulgazione. Ne è tema l’amore come fondamento dell’universo e chiave di unione con Dio, in accordo con il platonismo di Ficino.

3C. TORSIONI. LA FECONDA DIASPORA – GLI ARGINI ALLA NUOVA CREATIVITA’

Con il succedersi di eventi laceranti, quali il moto protestante (era il 1517, quando Lutero affisse le 95 tesi all’università di Wittenberg), il dissidio religioso stabile, la Guerra dei contadini del 1525 ed il sacco di Roma del 1527, il Rinascimento ebbe deviazioni su cui si è periodizzato il prosieguo del Cinquecento. Vane le conciliazioni tentate, anche presso gli umanisti (in particolare: Melantone, la Confessione di Augusta). Il sospetto retroattivo agiva minaccioso (sospetti su Erasmo, sullo stesso Reuchlin, pur se aveva resistito a Wittenberg all’invito di Ulrich Von Hutten ed al nipote protestante Filippo Melantone). Si stabilì, nel sospetto, una specie di filiazione: Lutero aveva alle spalle Erasmo, questi Valla, questi Bruni, questi Boccaccio; l’esercizio del sospetto agì anche sul Rinascimento delle arti, a giudicare dalle critiche in Firenze verso il Pontormo (Iacopo Carucci, 1494-1557) e Rosso Fiorentino (Giovan Battista di Jacopo, 1495- 1540: passò presto in Francia: un cammino del resto già aperto da Leonardo), ad opera del ‘normalizzatore’ Giorgio Vasari (1511-1574).

Di qui la lenta organizzazione del Concilio di Trento (1542-1563), per la profonda revisione delle istituzioni e della cultura cristiana-romana. L’Indice dei libri proibiti fu istituito nel 1559.

Fissato rigidamente il corpus dei testi sacri nella forma latina, fu avversato ogni confronto, almeno pubblico, con le tradizioni in lingua greca ed ebraica. Era un segnale di freddezza anche verso Costantinopoli, i cui testi erano in greco.[32] Del resto, come detto, tra i papi il favore per il greco era comparso solo in Niccolò V e Leone X. Fu avversato profondamente, in contemporanea, l’accesso al volgare e la lettura diretta: quindi avversata l’alfabetizzazione popolare.

Quasi tutti i capi riformati furono umanisti (Melantone, Zwingli, Hutten, Ecolampadio, Calvino, Sturm, Bucer). Se il libro era stato il primo strumento della divulgazione umanistica nella sua fase italiana, con il moto riformatore esso fu affiancato da un altro strumento: il foglio volante. Di fronte alla confusa situazione istituzionale, riverberata nelle coscienze, l’ideale di bellezza rinascimentale ebbe episodi significativi di sopravvivenza. Fra gli esiti stilistici interessanti: il pastiche, con accostamenti di più ambienti e di più epoche, la satira (molto letto Luciano), il romanzo picaresco.

Lo sguardo privilegerà l’Europa del nord, senza tralasciare il Mediterraneo. La panoramica tocca: a) i territori tedesco-fiamminghi; b) la Germania; c) l’Inghilterra; d) la Spagna; e) la Francia; f) l’Italia.

A. I territori tedesco-fiamminghi. Nella nuova definizione dell’Impero realizzata da Carlo V (1500-58), secondo gli ambiti da lui voluti dopo la pace di Augusta (1555) e con l’abdicazione del 1556, le Fiandre sul Mare del Nord venivano associate a Mediterraneo e colonie, divenendo un laboratorio di culture e di esperimenti. Di qui la ricezione della cultura umanistica.

Giovanni Everaerts (o Secondo, 1511-1536)[33]. Fu vicino al cardinale di Toledo. Si ispirò a Tibullo per l’opera Baci (dedicati alla bionda Neera; oggi l’attribuzione è piuttosto per Ovidio, anziché Tibullo). Morì giovane in Belgio e la pubblicazione fu a cura dei fratelli, parziale a Lione ed intera a Utrecht nel 1541. Vi attinsero Ronsard e i poeti della Pléiade (Belleau, Baif, Du Bellay, Magny).

Giovanni Luigi Vivés (ca. 1492-1540). Nacque a Valenza: i familiari, benché ebrei convertiti, furono bruciati. Egli passò in Francia e studiò a Parigi, ma con disgusto della Scolastica. Passò successivamente nelle Fiandre. Erasmo gli propose di commentare Agostino, La Città di Dio. Divenne un pensatore politico, difensore della pace. Si interessò anche all’istruzione delle ragazze (L’éducation des femmes chrétiennes).

B. Germania. Filippo Melantone (1497-1560). L’appellativo è traduzione greca del nome Schwarzerd “terra nera”. Fu il precettore della nuova Germania, accanto a Lutero. Nipote di Reuchlin, a 17 anni divenne insegnante di greco alla nuova università di Wittenberg. Pubblicò una celebre Grammatica Greca. Sostenne la fondazione della scuola trilingue. Scrisse pamphlets, come l’Asino-Papa, illustrato da Luca Cranach il Vecchio (ca il 1524), in cui si burlava della credulità romana.

Friedrich Dedekind (1524-1598). Era di origini modeste, essendo il padre macellaio, tuttavia poté studiare teologia a Marburgo. Fu protetto da Antonio Corvinus ed altri luterani influenti grazie alla potenza delle sue opere (Grobianus, cioè il rozzo, opera di satira abilmente espressa in latino).

C. Inghilterra. John Skelton (ca 1460-1529). Le notizie sono lacunose. Poeta laureato, forse a Lovanio nel 1493. Tradusse la Biblioteca storica di Diodoro Siculo. Conobbe Erasmo. Scrisse poesie nazionali contro Francia e Scozia. Appoggiò tuttavia gli anti-umanisti e fu contro il potente cardinale Wolsey, con cui poi si riconciliò. Pubblicò La Corona di alloro, autocelebrandosi.

D. Spagna. Garcilaso de la Vega (1539-1616). Nacque da uno dei conquistadores a Cuzco, meticcio Inca ed esperto di quechua. Era suo parente Gongora. Passò in Spagna, a Cordoba. Tradusse da Leone Ebreo i Dialoghi dell’amore. Si dedicò alla scrittura storica: su Florida, Perù, gli Incas. Da Platone traeva spunto per interpretare il culto del Sole come forma di monoteismo.

E. La Francia. Charles de Bovelles (1479-1567)[34] fu un erudito di tipo medievale, ma valorizzò l’uomo. Pubblicò presso lo stampatore Enrico Stephanus, l’autore del Thesaurus Graecae Linguae, 4 vv. Le sue lettere danno notizie dei Collegi umanistici di Parigi.

François Rabelais (1494-1553): è l’autore di Gargantua, re del pastiche.

Etienne Dolet (1508-1546). Studiò diritto a Padova e Tolosa. Guidò il Circolo umanistico lionese (Clément Marot, Rabelais, Maurice Schick, Nicolas Bourbon). Stampò presso l’umanista Sébastien Gryphe. Attaccò Erasmo sotto il profilo linguistico. Scrisse opere epiche in onore di Francesco I. Tuttavia fu arrestato e bruciato.

Clément Marot (1497-1544). Forse luterano, fu imprigionato, accusato di lesa maestà. Eppure fu il poeta favorito di Francesco I. Visse poi tra Svizzera e Italia. Abbondante la produzione poetica, con molte traduzioni da Virgilio e Luciano.

Denis Lambin (1516-1572). Fu grande difensore del greco. Fece carriera, come Lettore Reale al Collège Royal (tale dal 1530). Fu poi Traduttore Reale. Siamo fra i secondi umanisti che sorpassano la Sorbona.

Étienne De La Boétie (1530-1563). Ebbe breve vita, ma il suo Discorso (sul rapporto potere-sottomissione) è ancora studiato (Norberto Elia ecc.)

Michel de Montaigne, (1533-1592), filosofo politico, si rifece a Socrate, a Pietro Martire d’Anghiera. Fu risoluto nell’uscire dalla Scolastica. Esperto nello stile del paradosso, ricorda Luciano.

F. Italia. Giangiorgio Trissino (1478-1550). Saladin coglie su tale autore l’occasione per riferire una pagina di Voltaire dedicata al teatro, precisamente alla funzione storica svolta dall’Italia. Il teatro, dice, ha una origine politica nella fase iniziale di un popolo, ma declina poi spesso verso ‘panem et circenses’, degradandosi. Il percorso dell’Italia dal XIII secolo (o forse prima) si basò su farse tratte dal Testamento Vecchio e Nuovo, seguendo le indicazioni di Gregorio Nazianzeno. Fu Trissino a rifondarlo, con la Sofonisba, prima opera ‘regolare’, attenta cioè alle tre unità. Vicenza la rappresentò nel Teatro Olimpico. Pur opera declamatoria, è importante. Si aprì un percorso: 1516 Rucellai con Rosmunda; Guarino, con Pastor Fido; il Bibbiena, con La Calandra, Machiavelli, con la Mandragola. Trissino scrisse anche il poema epico L’Italia liberata dai goti.


[1] La carta è in Jean-Christophe Saladin (a cura di), Bibliothèque humaniste idéale. De Petrarque à Montaigne, Paris, Les Belles Lettres, 2008, pp. 446-7.

[2] Adele Cilento, bizantino, impero, in Massimo L. Salvadori (a cura di), Enciclopedia storica, Bologna, Zanichelli, 2000, pp. 172- 176, specie p. 176.

[3] Ecco la serie: Andronico II (1282-1328); Andronico III (1328-41); Giovanni V (1341-91); Manuele II (1391-1425); Giovanni VIII (1425-48); Costantino XI (1449-53). Paleologi o Paleologhi è la variante possibile nelle attestazioni.

[4] Passarono agli ottomani Valacchia, Moldavia, Ungheria. Nel 1389 con la battaglia di Kosovo Polje i serbi persero l’indipendenza. Nel 1448 nella zona tentò l’insurrezione l’albanese Giorgio Castriota Scanderberg. Egli visse poi nel Regno di Napoli, sostenendo gli Aragona in lotta contro gli Angiò.

[5] In pratica l’impero concerneva la parte meridionale del Peloponneso (ora detto Morea; ma c’erano i latini nella parte occidentale), il corridoio dalle isole Ionie a Patrasso-Corinto e l’Attica con Atene, nonché la costa tracia intorno a Costantinopoli, la penisola Calcidica, alcune isole dell’Egeo settentrionale.

[6] Venezia dominava il mare d’Eubea, controllando sia l’isola omonima (ma detta ora Negroponte) sia gran parte dell’Attica, nonché Creta e varie isole, fra cui Corfù.

[7] Smobilitato San Giovanni d’Acri nel 1291 cessarono le spedizioni, anche se si continuò a pensarle. Gli ordini dei monaci crociati si rifugiarono a Cipro; nel 1306 gli ospitalieri si stanziarono a Rodi, fino alla resa anche di questa isola nel 1522.

[8] Dei catalani fu avversario Gualtieri VI, conte di Brienne, Conversano e Lecce e, solo di nome, di Atene. I fiorentini lo chiamarono come podestà nel 1342, in una fase in cui erano esasperati per i mancati rimborsi di Edoardo III d’Inghilterra ai banchieri. Le tensioni però aumentarono. Il 26 luglio 1343 Gualtieri fu cacciato clamorosamente.

[9] Malgrado gli episodi anche ostili, i contatti tra le dinastie erano notevoli. Per esempio il Monferrato, costituito in marchesato, quando nel 1305 si estinse la discendenza maschile degli Aleramici, per via femminile passò ai Paleologi fino al 1533: allora, estinta questa dinastia, Carlo V assegnò il territorio ai Gonzaga di Mantova. Gli Angiò, detti anche ‘i franchi’, diffusero consorterie in tutta l’Europa balcanica, talora in reciproca ostilità: gli Angiò-Durazzo furono potenti nell’Epiro. Qui, insidiato il potere agli Angeli, dal 1279 con l’appoggio di papa Martino IV contrastarono i Paleologi; gli Angiò di Napoli con la politica matrimoniale moltiplicarono le corone: in Ungheria, nel territorio germanico e polacco.

[10] La questione era sentita: il tentativo di composizione nel 1274, secondo concilio di Lione, durò poco. Tornò viva durante lo Scisma d’Occidente (1378-1417), anche incalzando i turchi.

[11] I portoghesi, già sottoposto all’emirato di Cordoba dall’VIII si era reso indipendente a metà XII secolo con una guerra animata dall’idea religiosa. Furono eccellenti nella marineria da metà XIV secolo. Fra XIV-XV sec. fu personaggio-chiave Enrico il Navigatore, della casa regnante di Aviz. Il poema epico portoghese I Lusiadi, di Luìs de Camões, celebra questi Aviz come “l’Inclita generazione”. Nel 1487 doppiarono il Capo di Buona Speranza.

[12] I due stati ratificarono il trattato di Tordesillas (in Castiglia) nel 1494 (ribadito da papa Giulio II nel 1506) con l’indicazione del confine, o raya, al meridiano 46°37’ di longitudine ovest.

[13] L’importanza dell’Atlantico compensò il degrado del Mediterraneo: trovò slancio l’Europa nord, come afferma Ferdinand Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Torino, Einaudi, 1986, v. I, pp. 284-290. Le citazioni: David Abulafia, Il Grande Mare. Storia del Mediterraneo, Milano, A. Mondadori, 2013, p. 419 e p. 420.

[14] L’opera è risultata redatta in uffici carolingi. E’ dall’intervento di Carlo Magno che data il rafforzamento della figura del papa in Occidente, premessa per il distacco da Costantinopoli del 1054 e la pretesa del primato anche temporale, nonché la rinascita urbanistica di Roma.

[15] Guardando i luoghi in cui fiorì la nuova cultura, seguiamo qui in particolare le valutazioni espresse in J.-C. Saladin (a cura di), Bibliothèque humaniste idéale, cit.

[16] E.R. Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, Firenze, Nuova Italia, 2010, 1° ed. Berna 1948, p. 285.

[17] Primo autore di una Patrologia fu il protestante Johann Gerhard, 1582-1637, pubblicata postuma nel 1653, ivi p. 287 e n. 36. Il corpus completo della Patrologia fu un’iniziativa privata di J-P. Migne nell’Ottocento, 221 volumi della serie latina e 162 volumi della serie greca. Ivi, p. 288 si elencano i generi letterari prodotti nel tempo: Inni, Atti dei Martiri, Passioni, Vite dei Santi.

[18] La scrittura italiana non trascrive in modo rispettoso, come fanno altre lingue europee, i nomi originari: nel caso, ‘Chrysolòras’. Guarino: Verona 1374-Ferrara 1460: istituì una scuola-convitto a Ferrara. Le note su Crisolora seguono J.-C. Saladin (a cura di), Bibliothèque humaniste idéale, cit., p. 58-9; P. Bracciolini, ivi, p. 91; F. Filelfo (il cui maestro a Padova fu Gasparino Barzizza) è citato ivi, p. 151; C. Lascaris è citato ivi, p. 140; G. Aurispa e L. Bruni, ivi, p. 95.

[19] Tra le relazioni notevoli: il sud intimamente legato al Mediterraneo, si pensi agli Angiò, agli Aragonensi; la costa centro settentrionale intimamente legata all’Adriatico, si pensi ad Ancona, Ravenna, Venezia, Aquileia; tutto il Po, dove i moltissimi ducati, sempre confermati dall’Impero, niente altro sono che porti, sulla rotta della navigazione est-ovest, si pensi a Piacenza e Bobbio, con innesti per il nord, si pensi a Mantova, a Torino.

[20] Alberto Mussato, 1261-1321, con la tragedia senechiana l’Ecerinis aveva fatto della poesia un’arma contro gli Scaligeri Firenze; incoronato poeta dall’imperatore nel 1315, aveva sperimentato la ‘corona laurea’ come onore poetico individuale, estraneo se non concorrente rispetto alla laurea delle università.

[21] Dal Tre-Quattrocento la stessa Cancelleria fu luogo di cultura teso all’umanesimo (Coluccio Salutati; Leonardo Bruni). Ma la natura stessa delle relazioni creò una rete di contatti che si estese agli altri centri importanti della penisola: Roma, Venezia, Napoli, Milano. Il riuso reiterato della parola ‘accademia’ dà la misura dell’ammirazione dell’antico.

[22] J.-C. Saladin (a cura di), Bibliothèque humaniste idéale, cit., p. 90.

[23] Ivi, p. 101.

[24] Ivi, p. 111. Di seguito: Poliziano, ivi p. 118; Giovanni Pico della Mirandola, ivi, p. 123.

[25] Ivi, p. 75: Niccolò V chiese a Guarino di Verona la traduzione di Strabone in latino, a Perotti quella di Polibio, a Valla quella di Tucidide.

[26] Ivi, p. 76. A seguire: Lorenzo Valla, ivi, p. 95-96; Pio II, ivi, p. 108.

[27] Giorgio Aurispa (Noto 1376-Ferrara 1459) fu, con Poggio Bracciolini, il maggiore incettatore di manoscritti antichi.

[28] Nicola Cusano (1401-64) fu anche scienziato, in particolare astronomo. Come Pio II ed accanto a lui, morì nelle Marche preparando la spedizione contro i Turchi.

[29] Pietro Marullo, ivi, p. 129; Pietro Martire d’Anghiera, ivi, p. 132.

[30] Su Venezia: ivi, p. 74; su Pietro Bembo, ivi, p. 140.

[31] Giovanni Reuchlin: ivi, p. 155; Ulrich von Hutten, ivi, p. 246; Caritas Pirckheimer, p. 169; Erasmo da Rotterdam, ivi, p. 186; Tommaso Moro, ivi, p. 239; Fausto Andrelini, ivi, p. 151; Guglielmo Budé, ivi, p. 178; Leone Ebreo, ivi, p. 291.

[32] Sul piano devozionale la memoria della protezione sul Santo Sepolcro diede vita a nuovi culti: in particolare, quello dei Sacri Monti. La nostalgia del pellegrinaggio non menzionava in genere Costantinopoli, ma i Turchi come impedimento su tale meta. In questo clima erano significativi culti come la Madonna del Rosario, San Sebastiano.

[33] G. Everaerts, in J.-C. Saladin (a cura di), Bibliothèque humaniste idéale, cit., p. 320; la Pleiade, ivi, p. 391; G. Vivès, ivi, p. 340; F. Melantone, ivi, p. 304; F. Dedekind, ivi, p. 398; J. Skelton, ivi, p. 325; Garcilaso de la Vega, ivi, p. 376.

[34] Ch. Bovelles, ivi, p. 352; F. Rabelais, ivi, p. 358; É. Dolet, ivi, p. 366; C. Marot, p. 383; D. Lambin, p. 420; É. La Boétie, ivi, p. 413; M. Montaigne, ivi, p. 427; G. Trissino, ivi, p. 427.