Il nodo della valutazione

1          Due visioni a confronto

La costante presenza del tema della valutazione come elemento centrale del dibattito sulla scuola ha reso pi? evidente come su questo terreno si stiano misurando due modelli contrapposti, che non tagliano nettamente il quadro politico ma lo attraversano trasversalmente. Sono gli stessi gruppi di ricerca promossi negli ultimi anni dai ministri Berlinguer, De Mauro e Moratti a evidenziare questa spaccatura, che per il momento si mantiene ad un livello implicito.

Il gruppo di lavoro sul curricolo di scienze della scuola primaria nella Commissione De Mauro, coordinato da Cogliati Dezza, si ?cos?espresso in merito ai criteri generali per la valutazione delle competenze:

Le schede usuali, con domande a scelta multipla o con parole pi?o meno corrette da scegliere, con frasi o schemi da completare, non sono sufficienti n?affidabili. La valutazione delle competenze scientifiche richiede invece una pluralit?di mezzi, alcuni si presentano come sistemi di documentazione di processo (quaderni di lavoro degli allievi, diario dell’insegnante, sbobinature, registrazioni video, ecc.), altre come rilevamenti della capacit?di utilizzare in modo significativo specifici concetti e modelli pi?o meno formalizzati (disegni, grafici e tabelle, rapporti su esperimenti compiuti, racconti, resoconti e verbali, brevi questionari a domande aperte, saggi brevi, ecc.), altri infine, come vere e proprie variazioni sul tema in cui all’allievo viene proposta la gestione completa di una situazione gi?analizzata, in forma pi?o meno variata?/p>

?opportuno costruire con la collaborazione di ciascun allievo un adeguato “portfolio”…

Una posizione, questa, sorprendentemente chiara e critica sulle semplificazioni che dilagano nel campo della valutazione.

A fronte di questo contributo, a distanza di pochi mesi, nella stessa Commissione De Mauro istituita per i curricoli della scuola secondaria, il gruppo di lavoro n?, che si occupava di valutazione, certificazione e “passerelle? si esprimeva in termini estremamente diversi. In sintesi, si conferma la classica distinzione tra una verifica vista come processo di raccolta d’informazioni sui risultati raggiunti, a fronte di una valutazione che poi utilizzer?le informazioni acquisite per assumere decisioni educative. Questo approccio, che separa i luoghi e i tempi dell’assunzione dei dati dalla valutazione del loro significato, porta logicamente alle indicazioni che gli strumenti per le verifiche debbono tendere a essere quanto pi?possibile puntuali, quantitativi, oggettivi o intersoggettivamente confrontabili; la valutazione li deve integrare sul piano qualitativo per metterli in relazione con il contesto?Le verifiche riguardano di solito aspetti molecolari, le valutazioni aspetti globali?

Ne consegue ancora che le verifiche didattiche possono essere condotte?anche da organismi di ricerca esterni a fronte di una valutazione che resta di competenza specifica delle istituzioni scolastiche.

Questa ?indubbiamente la posizione pi?forte, pi?accreditata a livello accademico, anche se non l’unica, e ruota intorno all’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione. E?stata coltivata dal governo di centrosinistra e sviluppata, con una continuit?non sorprendente, dal centrodestra nella sua ipotesi di revisione della riforma scolastica.

La frattura sembra completa: non ci sono apparenti punti di contatto di questa visione con una che descriva la valutazione come un processo unico e indivisibile, vincolato strettamente tanto allo specifico progetto curricolare, quanto al processo d’apprendimento che si realizza, giorno dopo giorno, in classe.

2          Le interpretazioni delle ricerche europee

Nel campo della valutazione scolastica nel nostro paese si sta certamente pagando una eccessiva semplificazione delle deduzioni ottenute a partire da strumenti e risultati che hanno invece campi di validit?ben pi? ristretti. Questa osservazione appare giustificata soprattutto alla luce del ben diverso atteggiamento che viene raccomandato dagli stessi ricercatori europei dell’OCSE in merito all’uso di standard e test sull’apprendimento.

Ad esempio N.Bottani ha scritto[1]mentre vi ?abbastanza unanimit?nel ritenere che una valutazione del successo scolastico non pu?e non deve essere ridotta a una valutazione del rendimento dello studente in alcune materie fondamentali, si ?rilevato molto difficile raggiungere un accordo sugli aspetti precisi che dovrebbero essere valutati per essere sicuri che la natura sfaccettata dell’educazione sia riconosciuta in tutta la sua complessit?/i>.

Nello stesso testo Ivan Ivic ha messo in evidenza come le teorie dominanti della valutazione diano ancora importanza alle conoscenze di tipo riproduttivo, ma non attribuivano nessuna rilevanza al processo di acquisizione della conoscenza.

Ha poi sottolineato che mentre il ruolo fondamentale della valutazione dovrebbe essere quello di funzionare da feedback per il processo educativo, l’impostazione tradizionale si interessa dello stato finale senza preoccuparsi delle modalit?con cui si pu? raggiungere.

Centrale anche il suo riferimento tanto al problema del carattere statico dei modelli di valutazione a scelta multipla: situazioni di valutazione che privano gli studenti degli strumenti che essi usano nelle situazioni di problem-solving nel mondo reale; quanto all’implicita valutazione deprocesso di formazione delle conoscenze come un processo lineare-additivo[2].

Estremamente significativa appare allora l’osservazione di Carla Fasano sul ruolo che possono svolgere gli indicatori della qualit?dell’istruzione: sottolineando l’importanza della diffusione della consapevolezza cheun qualsiasi sistema di indicatori ? caratterizzato da una certa quantit?di non-conoscenze, giunge alla conclusione che …si debbono trovare dei mezzi, quindi, per amministrare le imperfette conoscenze che influiscono sugli attuali sistemi di indicatori e per sviluppare, forse, strategie mirate a gestire la “non-conoscenza”…[3]

Il passaggio dalla strategia della programmazione, vincolante e preventiva, alla programmazione di strategie, plurime e flessibili, sembra, quindi, una scelta molto pi?promettente.

La risonanza immediata e la lettura semplicistica che hanno accompagnato in Italia la divulgazione delle analisi internazionali sui livelli d’apprendimento, non sono certo all’insegna di quella prudenza che viene raccomandata dagli stessi ricercatori del settore. Si presume che dati di carattere macroscopico siano di per s?significativi, mentre occorrerebbe ricordare, come hanno ben scritto Burstein, Oakes e Guiton: …. gli indicatori e i sistemi stessi di indicatori sono entit?politiche. La loro costruzione riflette particolari presupposti circa la natura e le finalit?dell’educazione, ed essi incarnano spesso convinzioni circa le direzioni che una riforma dovrebbe prendere. Gli indicatori che vengono scelti spingeranno il sistema educativo verso i presupposti e le convinzioni che essi incarnano; in altre parole, ci?che viene misurato ha probabilit?di diventare ci?che conta[4]

Nella Terza Indagine Internazionale sulla Matematica e sulle Scienze (TIMSS) pubblicata dalla IEA nel 1996, l’impostazione dei questionari era ancora coerente con una visione nozionistica e verbalistica dell’insegnamento scientifico. Pur non avendo l’intenzione di entrare nello specifico delle prove, riportiamo di seguito due esempi di quesiti che erano presenti nello stesso questionario per allievi in uscita dalla scuola media, perch?permettono di esplicitare parte delle osservazioni precedenti. Una delle due ?stata trasfigurata per rispettarne la codificazione di segretezza, in una forma comunque equivalente:

quesito A:                                           Se 7 sta a 13 come x sta a 52, qual ?il valore di x?                                                            a. 7                 b. 13                 c. 28                 d.364
quesito B:           Le parole panefarina e grano possono essere impiegate nella frase:                           “il pane ?fatto con la farina che ?fatta dal grano?/span>                  Utilizza le parole molecoleatomi e gas per completare la frase:                   __ _______ sono compost_ da _______che sono costituit_ da _________

 Di questo livello erano la stragrande maggioranza delle prove del settore scientifico, da un lato legittimando ancora, se ce ne fosse stato bisogno, le parole di De Landscheere: sul rischio che la maggior parte dei test a scelta multipla non siano prove di prestazione, ma di recitazione (di pura memoria o di applicazione stereotipata); dall’altro confermando di sottendere ad un preciso modello d’insegnamento: che trascura l’importanza di scegliere quei concetti che possono svilupparsi a partire da un legame con l’esperienza vissuta o vivibile nell’ambito scolastico. In altre parole, non interessa che si sappiano riconoscere relazioni di proporzionalit?dentro fenomeni fisici, sapendole poi utilizzare come schemi di ragionamento; n? tantomeno che si intuiscano le connessioni che dal mondo macroscopico osservato possano portare alle ipotesi atomiche del mondo infinitamente piccolo, inosservabile.Sottoporre gli allievi a questo tipo di verifiche ?che corrispondono ad una ben precisa valutazione del sapere da acquisire a scuola ?significa indicare alle scuole, vogliose di ben figurare nel caso citato delle scienze, di chiudere i laboratori, quelle poche che li hanno, e continuare ad adottare i peggiori libri di testo “bignamizzati?da quelli universitari.Le ricerche pi?attuali del CEDE, ad esempio quella del SERIS, non sembrano aver cambiato direzione. 3          Valutazione e modelli didattici impliciti 

Antonio Calvani ha sintetizzato in un testo recente[5] l’organizzazione didattica che si ?andata affermando intorno agli anni ?0 e che ha sostenuto, traendone a sua volta sostegno, questo modello di verifica-valutazione: l’ha definita il frutto di un  atteggiamento centrato su ‘obiettivi ed unita’ didattiche’ che propone un sistema chiuso caratterizzato da parti reciprocamente vincolate; utilizza strategie di carattere analitico-lineari con sequenze di passi ben definibili e circoscritti. Il taglio ?i> oggettivista e razionalista. Il percorso didattico viene derivato dagli obiettivi secondo un approccio “top-down”: ha carattere sistemico e sequenziale. Il punto di partenza ?i> una “task analysis”: si analizzano le capacit?necessarie alla competenza richiesta, si scompongono in sottocapacit?/i>

L’apprendimento avviene in forma astratta, decontestualizzata. La valutazione prevede, appunto, l’uso di test d’ingresso, in itinere, alla fine.

A questa strategia Calvani contrappone quella che definisceun atteggiamento centrato su ‘progetto aperto?/i>: si sviluppa a partire dagli anni ?0 e propone un sistema aperto, disponibile ad accogliere l’imprevisto, a ristrutturarsi. Caratterizzato da un atteggiamento sistemico e ricorsivo e dalla consapevolezza della non risolutezza dell’attivit? progettuale di fronte a dinamiche acquisitive che possono svolgersi con logiche almeno in parte imprevedibili. Il percorso non ?n?predefinito n? lineare, di natura partecipata e flessibile. Gli obiettivi si sviluppano sulla base dei bisogni. Si valorizzano: autonomia progettuale, strategie metacognitive, apprendimento in contesto, costruzione negoziata del significato, ricorsivit? poliprospettica, cooperazione/distribuzione/alternanza dei ruoli. La valutazione si allontana dal concetto di misurazione “obiettiva” a favore di forme di autovalutazione (dossier, portfolio), di valutazione “situata”, di valutazione “intersoggettiva” (triangolazioni, pluralit?di osservatori)

Queste osservazioni si collocano chiaramente in una prospettiva costruttivista molto promettente ed attuale, ma ?un modello che stenta ad entrare nella scuola, in particolare nel dominio della valutazione, dove il comportamentismo sembra sopravvivere a se stesso.

D’altra parte De Landsheere[6] riporta le parole di J.Nisbet in un rapporto OCSE-CERI (Manuel sur les indicateurs de l’enseignement, Paris 1991) dove osserva come attualmente si insiste molto sui dati, sia negli indicatori di prestazione, sia nei metodi utilizzati per realizzare valutazioni nazionali. Ma non si insiste abbastanza sulla migliore comprensione della natura dell’apprendimento acquisita in questi ultimi anni?/i>

?..la valutazione in materia di educazione cambier?pi?nel corso dei prossimi dieci anni che durante i cinquanta anni precedentiE?importante che questa evoluzione non sia considerata isolatamente, ma come elemento della riforma generale dei curricoli e che l’obiettivo di un migliore apprendimento preceda sempre l’azione di controllo?/span>

Calvani[7] individua quattro generazioni che si sarebbero succedute nella strategia della valutazione. La prima si sviluppa all’inizio del secolo, caratterizzata dal concetto di misura, in cui ?lo studente ad essere oggetto di misura. La seconda generazione si basava sul concetto di descrizione, caratterizzata da un’attenzione che si sposta sul curricolo. La terza generazione si basava sul giudizio: faceva ricorso a standard e si avvaleva di un giudice. Rispetto a quest’ultima Calvani nota che sono ormai sorti forti elementi di insoddisfazione. Gli si riconosce un eccessivo managerialismo, la rinuncia ad un possibile pluralismo valoriale, l’eccesso di peso attribuito al “paradigma scientifico?/i>. Calvani poi auspica l’avvento di una quarta generazione: un nuovo atteggiamento che si richiama al costruttivismo e vede nella valutazione un processo sociopolitico, collaborativo, acquisitivo, continuo, ricorsivo, divergente, emergente, impreordinabile, produttivo di realt?/i>.

?i>Ci?che indichiamo con “valutazione” ?un continuum che vede ad un estremo forme di misurazione vera e propria, all’altro forme di interpretazione, nel mezzo forme contrassegnabili col termine di “stime?

In altre parole, tra il rifarsi completamente a criteri e scale di misura formalizzate e preesistenti (misurazione) e il rifiutare completamente qualunque criterio predeterminato (interpretazione) c’è lo spazio per l’adozione di criteri che i matematici chiamano ordinali. Si riconosce, cio? all’apprendimento di allievi e allieve un certo carattere indefinito e indefinibile, ricercandone tuttavia le soglie: il sapere padroneggiato, gi?ben strutturato nella mente, e l’apprendibile, il passo possibile successivo.

Questo non significa rassegnarsi, come livello di mediazione accettabile, all’esistenza di un territorio della nonconoscenza, luogo dell’interpretazione libera e totalmente soggettiva, da circoscrivere il pi?possibile entro i confini di standard di livello, questi s? misurabili con esattezza. Ad ogni misurazione, in particolare quelle che si realizzano in sistemi complessi, ?come se ponessimo sotto un riflettore un preciso aspetto del processo: ?la proiezione stessa del cono di luce che crea una zona d’ombra, in cui cadranno altri aspettiscelti implicitamente come secondari.

4          Un’analogia tecnologica

Il controllo reale di un processo richiede sempre l’intreccio di due tipologie di valutazione: una analogica, continua nel tempo e descrittiva dell’intera evoluzione; l’altra digitale, discontinua rispetto alla trasformazione, ma che con il controllo di valori di “soglia??capace d’indicare prontamente la necessit?d’interventi.

Peraltro, ?il modo consueto di seguire e documentare i processi nel mondo produttivo.

Un’analogia molto pregnante si trova nella dettagliata descrizione che Gregory Bateson ha condotto sul funzionamento del termostato domestico. Questo piccolo apparecchio ? l’interfaccia tra noi e la macchina-caldaia che permette di regolare la temperatura sul valore che desideriamo. Temperatura desiderata, appunto: non frutto di scelta oggettiva, ma soggettiva; quasi una temperatura psicologica che pu?cambiare da una abitazione all’altra e di momento in momento, a seconda della sensazione personale di freddo o caldo del proprietario. Il valore impostato sullo strumento, allora, ?la nostra interpretazione della temperatura esterna. E tuttavia anche lo strumento (il termostato) interpreta la nostra richiesta e la traduce in due valori diversi per la caldaia: le soglie di massima e di minima temperatura ambientale a cui questa risponder? non graduando il suo comportamento ?secondo una modalit?analogica – ma semplicemente accendendosi o spegnendosi, con una risposta, cio? tipicamente digitale.

La nostra impostazione del termostato, quindi, non solo ?un’interpretazione soggettiva dei dati climatici, ma non ?neanche una misura deterministica della temperatura di casa, visto che realmente la temperatura coincider?con quella impostata solo di passaggio, salendo e scendendo verso i due valori di soglia. Ha pi?la natura di un vincolo, di una forma imposta al processo che tuttavia non viene negato, e risulta capace di influenzare il padrone di casa fino al punto di fargli modificare le scelte, quindi la forma stessa.

5          Valutazione come ri-costruzione

Valutare ?un’attivit? intrinseca all’attivit?della mente; valutiamo costantemente nel senso che selezioniamo alcuni aspetti rispetto ad altri creando dal loro intreccio continue configurazioni di senso[8].

Una valutazione coerente e comprensibile, allora, pu? costruirsi solo a partire dalla condivisione, tra tutti gli attori della scuola, delle configurazioni di senso private e personali di ciascuno. E?certamente un processo lento e faticoso, ma ben pi?significativo dell’inseguire il mito dell’oggettivit? Comporta la ricerca un’intersoggettivit?che ponga le proprie radici nel profondo della professione docente.

E?l’obiettivo di un’altra soggettivit?del docente, ma non quello di una “sovrasoggettività” ad essa antagonista; precaria per natura e affidabile solo a strutture ?o meglio sovrastrutture – lontane dalla classe e dai suoi percorsi-storie d’apprendimento.

Infine, se valutare ?un modo per dare senso al nostro agire, le connessioni con le teorie recenti sul pensiero narrativo sono stimolanti. Vedere nel curricolo la ri-costruzione di una storia degli apprendimenti non solo ?un’immagine molto suggestiva, ma pone anche in risalto gli elementi chiave del processo scolastico. La sua valutazione, infatti, consiste nell’analisi dei temi e delle modalit?della didattica, per giudicare della pertinenza degli apprendimenti – gli eventi che si concatenano nella storia. Ma ci chiede anche di tener di conto delle dinamiche della classe, come valutazione del contesto che interagisce attivamente con gli eventi e li rende possibili. Pertinenza e contesto, appunto: i termini chiave, irriducibili, di ogni storia ben scritta

Giuseppe Bagni

ITI-IPIA Leonardo da Vinci

Via del Terzolle, 91

50127 Firenze

e-mail: hbagni@tin.it

[1]N. Bottani, A. Tuijnman, Indicatori internazionali dell’educazione: struttura, sviluppo e interpretazione, in OCSE, Valutare l’insegnamento, Roma, Armando, 1994, p.27.

[2] Ivic, Teorie dello sviluppo mentale e valutazione dei risultati scolastici, in OCSE, p. 239

[3] C. Fasano, Conoscenza, ignoranza e utilit?epistemica: problemi nella costruzione dei sistemi d’indicatori, in OCSE, op. cit., p. 68

[4] L. Burstein, J. Oakes, G. Guiton, Education Indicators in Encyclopedia of Educational Research, 1992, vol II, p.410.

L. Burstein, J. Oakes, G. Guiton, Education Indicators in Encyclopedia of Educational Research, 1992, vol II, p.410.

[5] A.Calvani, “Elementi di didattica? Roma, Carocci editore, 2000

[6] G. De Landsheere, Il Pilotaggio dei sistemi educativi, Roma Armando 1998

[7] .Calvani, Elementi di didattica, Roma, Carocci editore, 2000

[8] Calvani, Elementi di didattica, Roma, Carocci editore, 2000.

Il servizio nazionale di valutazione: osservazioni e proposte

L’annuncio dell’istituzione da parte del Ministero della Pubblica Istruzione del Servizio Nazionale di Valutazione ha suscitato, suscita e con buona probabilit? continuer?a suscitare nel mondo della scuola italiana (ma anche al di fuori di essa) aspettative, timori e speranze non sempre espressi chiaramente o in modo condivisibile. Con questo intervento vorremmo tentare di fornire spunti di riflessione che possano contribuire al dibattito che si va sviluppando, guardando la questione da un punto di vista strettamente pedagogico.

In questo senso l’azione del valutare va connotata semanticamente in modo preciso. Essa rappresenta un atto di conoscenza volto ad attribuire valore, basato sulla ricerca di criteri che stabiliscano ci?che ?importante. Per questo non si pu?parlare di valutazione (e in modo particolare di valutazione nella scuola) senza coinvolgere argomentazioni pi?generali sull’idea, sui fini e gli scopi dell’educazione. La valutazione, o meglio l’idea che se ne ha, pervade l’intera esperienza educativa; da essa non si pu?prescindere, non solo nel momento finale, ma durante l’intero percorso nel quale si delinea il processo di apprendimento.

Alla luce di tali considerazioni diventa determinante la definizione delle conoscenze che saranno oggetto delle procedure valutative. La ricerca psicologica e pedagogica degli ultimi anni ha posto l’attenzione sui processi e sugli aspetti formativi pi?che sui prodotti con un implicito invito alla rinuncia all’eccessiva quantit?di nozioni. Superata l’idea dell’apprendimento come accumulazione di contenuti o abilit? si ?andato delineando uno scenario nel quale quegli stessi contenuti e abilit?si integrano in quadri complessi ricchi di interconnessioni reciproche. Tale complessit?risulta evidentemente non riconducibile in maniera esaustiva al (se pur importante) ambito cognitivo. Determinanti appaiono i linguaggi e i codici in grado di veicolare le conoscenze proprie dei diversi ambiti disciplinari, le abilit?comunicative-espressive-relazionali, le modalit?attraverso le quali si perviene alla costruzione di quadri coerenti di realt?connotati da significati e frutto dell’interazione dell’individuo con l’ambiente (nell’accezione pi? ampia di ambiente naturale-sociale-culturale-ecc…). La conoscenza inoltre si configura ormai come costruzione (individuale e/o sociale) pi?che come il risultato di un atto di trasmissione da un soggetto che sa di pi?ad altri che sanno di meno.

Quale approccio privilegiare allora nella scelta delle prove volte a valutare una scuola teoricamente connotata in questo senso?

Bisogna innanzi tutto cercare di non far riferimento a strumenti unilaterali per evitare il rischio di standardizzare la scuola pi?che i suoi risultati. Esiste cio?il pericolo che l’uso (o l’abuso) dei test oggettivi annulli gli effetti attesi dalla legislazione sull’autonomia scolastica. Il ricorso a prove standardizzate non rappresenta un momento isolato o neutrale rispetto alla progettazione educativa che ne verr?inevitabilmente influenzata. Per far s?che gli studenti ottengano risultati soddisfacenti in tali prove, infatti, gli insegnanti dovranno uniformare la loro azione didattica ai parametri e ai criteri su cui tali prove sono costruite. Ma questo finir?per provocare una progressiva omologazione dei curricoli e delle metodologie, in netto contrasto con gli sforzi appena iniziati di qualificazione delle singole istituzioni scolastiche anche sulla base delle richieste e delle esigenze che emergono all’interno del contesto in cui l’azione educativa della scuola stessa va configurandosi.

Ci?impedisce inoltre la verifica di itinerari di sviluppo multineare non strettamente connessi all’et?anagrafica degli alunni o alla loro appartenenza ad una classe o ad un ciclo scolastico. In questo caso il pericolo che gli insegnanti dovrebbero evitare consiste nel confondere la valutazione della scuola, con quella che si fa a scuola, ovvero quella dei propri allievi, tralasciando aspetti fondamentali quali i progressi ottenuti (le prove valutano in valori assoluti), la motivazione all’apprendimento, i risvolti affettivo-emotivi, le caratteristiche della personalit?e delle dinamiche interne al gruppo classe. Una cosa ?valutare la qualit?dell’insegnamento che in un’istituzione scolastica viene impartito, anche attraverso strumenti che forniscano dati puramente quantitativi; altra cosa ?uniformare il gruppo classe sulla base di standard di livello sui quali disporre gerarchicamente gli alunni.

Infine esiste il rischio di incentivare e, in qualche modo, legittimare quelle procedure (gi?troppo presenti nella scuola italiana) di tipo routinario e decontestualizzato che contrastano fortemente con lo sviluppo di abilit? trasversali fortemente integrate e legate ad esperienze.

La messa in evidenza dei rischi non deve tuttavia essere interpretata come un rifiuto aprioristico e pregiudiziale all’approccio docimologico in valutazione. L’esigenza di confrontare/valutare performances, processi, metodi, risulta essere non solo legittima ma pi?che mai sentita e attuale proprio al fine di migliorare la qualit?della scuola italiana in un momento nel quale appare imminente il confronto con gli altri sistemi formativi europei.

Crediamo sia utile a questo punto presentare i risultati di una ricerca effettuata nell’a.s. 1995/96 nelle scuole elementari (classi III e IV) di Piancastagnaio e Abbadia San Salvatore (in provincia di Siena). Le prove utilizzate durante la sperimentazione possono rappresentare un esempio di ci? che intendiamo parlando di valutazione oggettiva centrata sui processi di apprendimento pi?che sui prodotti (senza che questi vengano trascurati).

L’interesse specifico della ricerca era volto ad individuare gli effetti di un training mirato di educazione scientifica sull’acquisizione di concetti e sullo sviluppo di abilit?in alunni della Scuola Elementare. Ritenevamo infatti, che la proposta di un progetto educativo che tenesse in considerazione l’attivit?e l’operativit?dei bambini cercando di sviluppare in loro le capacit?di osservazione, analisi e riflessione, gli aspetti relativi alla socializzazione delle conoscenze e al lavoro di gruppo senza per questo sottovalutare l’importanza degli apprendimenti individuali, il ruolo del linguaggio inteso come catalizzatore dei processi cognitivi che intendevamo promuovere, potesse produrre un’effettiva conoscenza dei fenomeni studiati. La prima ipotesi da verificare era che i bambini sottoposti al trattamento avrebbero ottenuto risultati migliori di quelli ottenuti dai loro compagni trattati con metodologie tradizionali nelle capacit?di: ragionamento logico, argomentazione, descrizione, estensione concettuale per l’analisi di fenomenologie nuove, uso di un linguaggio specifico. Si ?poi cercato di verificare se un insegnamento di questo tipo avrebbe potuto avere effetti positivi anche in ambiti diversi da quello per il quale era stato predisposto, ovvero se era possibile ipotizzare e verificare un effetto di transfert dei risultati ottenuti nell’ambito scientifico su abilit?considerate cognitivamente distanti da questo. L’ipotesi era che gli alunni sottoposti a trattamento avrebbero ottenuto risultati migliori di quelli ottenuti dal gruppo di controllo anche nelle capacit?di : strutturare narrazioni, comprensione e analisi di testi.

Tutti i soggetti, sia quelli del gruppo sperimentale che quelli del gruppo di controllo sono stati sottoposti, all’inizio e alla fine dell’anno scolastico, a prove diverse, sia per contenuto informativo che per modalit?di somministrazione.

Per verificare la comprensione di testi sono state utilizzate le 5VM per l’analisi delle competenze linguistiche di base relative al linguaggio parafrastico, inferenziale, logico, critico-valutativo, estetico-poetico (Boschi-Aprile-Scibetta, 1986). Queste sono costituite da 10 moduli con relativa scheda per i risultati (5 per le prove iniziali e 5 per quelle finali), ognuno dei quali presenta un brano seguito da 10 domande a scelta multipla (quattro possibilit?di risposta); la presentazione del brano ?preceduta da un brano di esercizio con relative domande.

Il questionario sulla conservazione delle quantit? costruito sulla base dei décalages piagetiani sull’invarianza delle quantit?nei liquidi, era composto da 6 domande: le prime 4 a scelta multipla (quattro possibilit?di risposta) delle quali si doveva fornire una spiegazione relativa alla scelta effettuata; la quinta comportava l’esecuzione di un disegno; l’ultima era a risposta aperta. Ciascuna domanda era corredata da un disegno che mostrava la situazione dei contenitori e dei liquidi da analizzare. Prima di rispondere a ciascuna domanda ai bambini veniva mostrata realmente, dall’insegnante, la situazione rappresentata nel disegno. E’ poi stata condotta un’analisi di tipo descrittivo volta ad individuare, all’interno di ciascuna risposta aperta, la presenza/assenza di concetti ritenuti particolarmente significativi in relazione al training sperimentato.

Alla fine dell’anno scolastico ?stato presentato un questionario contenente 15 domande a scelta multipla (tre possibilit?di risposta) sulla definizione di sostanze, e due domande a scelta multipla (due possibilit?di risposta) sul fenomeno dell’evaporazione: anche qui i bambini dovevano fornire una spiegazione in merito all’opzione scelta.

 Inoltre sono stati presentati due esperimenti di combustione ed ?stato chiesto ai bambini di sceglierne uno e di stenderne la relazione scritta per valutare la capacit?di gestire nello scritto un produzione di prosa scientifica.

Come prova per l’analisi della struttura narrativa sono state analizzate le storie inventate dai bambini (all’inizio e alla fine dell’anno).

L’elaborazione statistica dei dati raccolti ha evidenziato aspetti interessanti non solo in relazione all’efficacia del training proposto ma anche (ed ?ci?che pi?ci interessa in questa sede) alla capacit?delle prove utilizzate di misurare o meno ci?che intendevamo valutare. Le risposte alle domande a scelta multipla di entrambi i questionari non hanno evidenziato alcuna differenza tra il gruppo sperimentale e quello di controllo. Stando a questi risultati avremmo dovuto valutare il trattamento come inefficace, non in grado di sviluppare apprendimenti in misura sostanzialmente differente dalla didattica di tipo tradizionale. Abbiamo allora analizzato le spiegazioni fornite dai bambini in merito all’opzione scelta e qui si sono registrate differenze molto significative tra i due gruppi. Dunque quasi tutti i bambini esaminati conoscevano le risposte (quando si trattava di scegliere fra diverse possibilit?; tuttavia gli alunni appartenenti al gruppo di controllo non hanno saputo fornire spiegazioni adeguate per giustificare la scelta effettuata. I risultati positivi del gruppo di controllo nelle risposte chiuse sembrerebbero quindi dovute non tanto al fatto che i concetti presentati sono stati realmente interiorizzati (come ?invece avvenuto nel gruppo sperimentale), quanto alla presenza di quelli che Vygotski definisce pseudo-concetti. Tutto questo per?non sarebbe emerso se ci fossimo limitati a presentare soltanto domande a scelta multipla.

Analizziamo allora le prove che dovevano valutare l’acquisizione di strategie per la comprensione di testi in quanto anch’esse presentavano quattro possibilit?di risposta chiusa. Il gruppo sperimentale ha ottenuto miglioramenti in tutte e cinque le forme di linguaggio prese in considerazione. In particolare, si sono ottenuti risultati significativi anche da un punto di vista statistico nel linguaggio inferenziale, critico-valutativo, estetico-poetico. Perch?riteniamo importante ci?che si ?ottenuto con le 5VM, mentre non abbiamo ritenuto valido ci?che ?emerso dalle risposte chiuse ai questionari? Perch?le 5VM non cercano di indagare sulla presenza di concetti o conoscenze specifiche legate ad ambiti disciplinari pi?o meno definiti (tanto ?vero che hanno evidenziato le differenze tra due gruppi che hanno avuto trattamenti diversi solo in ambito scientifico). Queste prove mettono piuttosto in evidenza capacit? abilit?, modalit?di ragionamento, processi di apprendimento che possono essere (e si ?verificato che lo sono ) indipendenti dal settore in cui si opera.

La conclusione che ci sentiamo di trarre a questo punto ?che non esistono test giusti e sbagliati, prove valide o inconsistenti: ci?che ?importante ?sapere quello che si vuole valutare e riflettere attentamente su quale sia la scelta migliore da effettuare in relazione alle proprie necessit? Questo non significa rinunciare alla possibilit?di confrontare i risultati, non significa rinunciare all’esigenza di oggettivit?/i>; ?possibili analizzare in maniera rigorosa la struttura narrativa di una storia, come l’adeguatezza linguistica di una descrizione, si possono ricercare gli elementi critici all’interno di risposte aperte, oppure utilizzare prove a scelta multipla. L’importante ?che ci sia consapevolezza del perch?ci si ?indirizzati in una direzione piuttosto che in un’altra e dei limiti che accompagnano inevitabilmente qualunque scelta.

Per questo crediamo sia importante che di questa problematica vengano investiti innanzi tutto i Collegi dei Docenti che dovrebbero intravedere nell’istituzione del Servizio di Valutazione un occasione per rivendicare quell’esercizio dell’autonomia che da pi?parti viene loro richiesto. Il passaggio da una logica applicativa, esecutiva di direttive, programmi, circolari comunque e sempre emanati da un organismo centrale, alla scuola della progettualit? della flessibilit? della responsabilizzazione, passa anche (e forse soprattutto) attraverso la messa in risalto della capacit?e della volont?di compiere scelte in questo campo. Ma la preparazione e la validazione di prove standardizzate richiede non solo l’interesse degli insegnanti ad impegnarsi in attivit?di questo tipo, ma anche disponibilit?di risorse e competenze che non possono essere reperite soltanto all’interno della scuola. Per questo ?necessario che gli I.R.R.S.A.E., le universit?(dipartimenti di Pedagogia, Psicologia, Statistica, ecc…) si rendano disponibili a svolgere un’azione di consulenza e monitoraggio alle esperienze progettate dalla scuola, e che gli enti locali che sempre pi?spesso pongono richieste in ordine alla qualit?dell’istruzione e dell’educazione (abbandono scolastico, orientamento, rispondenza alle esigenze ambientali) investano risorse economiche che supportino le esperienze proposte.

Lo sviluppo delle competenze scientifiche

La promozione di un’azione tesa alla ricerca e alla sperimentazione in campo educativo nasce da una visione che vede nella Scuola il luogo privilegiato per la costruzione di cultura e conoscenza, costruzione che (proprio in quanto tale) non pu?esaurirsi in una trasmissione di nozioni che non tenga conto degli alunni cui si rivolge (motivazioni, credenze pregresse, modalit?di apprendimento) e dell’ambiente nel quale si configura (strutturazione degli spazi, dei tempi, materiali e strumenti, ambiente extrascolastico). In questo senso fare scuola significa comunque sperimentare e gli insegnanti si trovano a farlo (pi?o meno consapevolmente) e sono chiamati a farlo (a meno che non si voglia limitare l’azione educativa ad una ripetizione sterile dei contenuti dei libri di testo in nome di una tanto proclamata quanto scarsamente verificata aderenza ai programmi ministeriali).

Presentiamo di seguito una ricerca che ha come riferimento teorico proprio gli studi sulla costruzione delle conoscenze/competenze in ambito scientifico. Partendo dalla convinzione che gli insuccessi nei quali incorre la didattica tradizionale in questa area disciplinare derivino da un’impostazione errata del rapporto tra insegnamento e apprendimento (spesso si ritiene sufficiente presentare i concetti scientifici per ottenere lo sviluppo di concetti analoghi negli alunni), si ?cercato di verificare in che modo l’organizzazione cognitiva dei bambini (le loro reti concettuali) si evolve a contatto con il processo di insegnamento. Un insegnamento efficace, infatti, non pu?definirsi tale se si limita a fornire informazioni pi?o meno generiche e approssimative che, spesso contribuiscono a veicolare, se non veicolano direttamente, idee non corrette e teorie para/pre-scientifiche. Si tratta quindi di capire attraverso quali modalit?il bambino possa modificare le proprie strutture nel momento in cui entra in contatto con un tipo di apprendimento caratterizzato da un alto livello informativo, di genere prevalentemente astratto-teorico-formale, quale quello dell’istruzione scolastica, di indagare circa le modalit?operative che possono facilitare o ostacolare il cambiamento concettuale e di riflettere sulle metodologie pi? efficaci e funzionali a questo scopo.

Innanzi tutto, l’educazione scientifica nella Scuola di Base non pu?prescindere dal coinvolgimento attivo degli alunni in attivit?di osservazione e sperimentazione; l’esperienza diretta fornisce quell’ancoraggio referenziale che permette loro di avere una base concreta da cui muovere verso l’astrazione. Ma l’osservazione ?poco produttiva se non viene accompagnata da un’attivit?di riflessione (individuale-scritta) durante la quale le conoscenze attive e percettive vengono tradotte in rappresentazioni consapevolmente costruite. Solo a questo punto si pu?passare alla discussione collettiva all’interno del gruppo. Ma anche in questa fase va sottolineata l’importanza dell’interazione degli alunni con l’oggetto (o il fenomeno) da studiare. Trovandosi ad agire all’interno di un contesto unificato e unificante ‘i soggetti possono affrontare rappresentazioni diverse, ma omogenee fra loro, e per questo possono accedere ad una rappresentazione pi?elaborata ed eterogenea rispetto alle prime. In altre parole, lo scambio interindividuale ?fruttuoso a condizione che si parli della stessa cosa con lo stesso linguaggio: la diversit? delle parole le rende tutte più o meno caduche e invita a disporle in un nuovo ordine.’ (Merieu, 1987).

Le sperimentazioni che si sono succedute in Italia su questo argomento, a partire dagli anni ’60, hanno avuto come punto centrale il ruolo della discussione collettiva. Proprio a partire dal momento dell’interazione verbale di gruppo finalizzata alla spiegazione coerente di fatti, si ?tentato di utilizzare in maniera significativa le strutture del pensiero in grado di riorganizzare le conoscenze gi?presenti nei ragazzi. Questa pratica pu?avere una reale valenza educativa a patto che si tenga conto di due condizioni essenziali: la prima impone che la discussione sia strettamente connessa a problemi e concetti alla portata delle strutture cognitive dei bambini. ‘Riteniamo che la discussione collettiva applicata a contenuti complessi (come sono ad esempio la maggior parte delle unit? didattiche di molti sussidiari del principale argomento di scienze del secondo ciclo della scuola elementare: il corpo umano) sia sostanzialmente insignificante sia nella costruzione di conoscenze scientifiche da parte dello studente che nel potenziamento delle sue strutture cognitive. Consideriamo l’attivit?del fare ipotesi da parte dei bambini importante, in certi casi essenziale, a condizione tuttavia che anche questa attivit?si riferisca a problemi da loro dominabili e non soltanto un esercizio di immaginazione fantascientifica’ (Fiorentini, 1984). La seconda nasce dalla consapevolezza che le discussioni non possono nascere da sole, come se fossero il frutto di una germinazione spontanea. Il ruolo e la competenza dell’insegnante risultano fondamentali nella stimolazione dei problemi e nell’individuare le strutture del pensiero infantile attivate in un determinato processo in modo che le concezioni dei bambini e gli schemi cognitivi che le hanno generate possano venire esplicitate verbalmente.

In questo senso il linguaggio fornisce lo strumento principale per indagare circa le modalit?tramite le quali si va costruendo la competenza scientifica nei bambini e per stimolare la formazione di rappresentazioni frutto di riflessioni consapevoli. Ma l’attivit?scientifica a scuola si caratterizza da un punto di vista linguistico anche in quanto uso di un linguaggio specializzato ‘Sta all’insegnante seguire nel bambino le dinamiche sia del capire che del saper esplicitare quanto si ?capito. Perch?la costruzione scientifica non ?solo adeguata ai fatti, ma anche comunicabile’ (Guerriero, 1988). La conquista di abilit?che consentano descrizioni linguistiche appropriate (relazioni, formulazione di ipotesi, argomentazione delle scelte effettuate, ecc…) e l’utilizzo di strumenti formalizzati propri della disciplina scientifica (grafici, tabelle, schemi, diagrammi, ecc…) deve essere considerato un obiettivo cui tendere durante tutto il corso della scuola di base, pur nella consapevolezza che verr? raggiunto pienamente solo a livelli di istruzione superiore.

L’ipotesi sperimentale che ha dato l’avvio alla nostra ricerca pone un duplice interrogativo: un curricolo di educazione scientifica impostato a partire dai principi teorici e dalla metodologia ricavati dalla discussione precedente pu?produrre una conoscenza effettiva dei fenomeni studiati? Ma, poich?il lavoro si colloca nell’ottica di un’educazione cognitiva integrata, si ?voluto verificare se la proposta di un intervento di questo tipo poteva avere degli effetti anche al di fuori dell’ambito disciplinare all’interno del quale era stato studiato il curricolo. La questione del cambiamento concettuale, infatti, non pu?essere pensata nell’ottica ristretta di un miglioramento di performances limitate ad un settore di studio, ma deve essere interpretata nella pi?ampia prospettiva di un mutamento delle strutture mentali e delle modalit?di acquisizione delle conoscenze.

Per la ricerca ci si ?avvalsi della disponibilit?e della collaborazione delle classi III e IV elementare a tempo pieno delle scuole di Piancastagnaio e Abbadia San Salvatore (provincia di Siena). Durante l’a.s. 1995-96, nelle due classi sperimentali (III-IV Piancastagnaio) le attivit?di educazione scientifica sono state condotte da un’insegnante esterno con funzioni di esperto, alla presenza delle insegnanti titolari della classe. Le lezioni, della durata di due ore ciascuna, avevano cadenza settimanale. Le classi della scuola di Abbadia San Salvatore hanno svolto la funzione di gruppo di controllo; in queste sono state effettuate le prove all’inizio e alla fine dell’anno scolastico ed ?stato seguito il percorso didattico indicato dalla programmazione delle insegnanti, conformemente a quanto stabilito dai Programmi Ministeriali. Il gruppo sperimentale ?stato coinvolto invece in un progetto di educazione scientifica che aveva come obiettivi:

1) Interiorizzazione e capacit?di utilizzazione del metodo scientifico (individuazione del problema, formulazione di ipotesi, realizzazione dell’esperienza, verifica delle ipotesi formulate).

2) Sviluppo delle capacit?di: manipolazione, osservazione, analisi e misurazione, raccolta sistematica di dati, loro codifica e tabulazione, utilizzazione di strumenti (termometro, lente di ingrandimento, microscopio, ecc…).

3) Introduzione di un linguaggio scientifico che permetta di descrivere le esperienze osservate seguendo un metodo sistematico e utilizzando termini specifici che vadano ad allargare il patrimonio lessicale.

4) Avvio alla cooperazione finalizzata alla realizzazione di esperienze scientifiche; avvio alla progettazione di gruppo.

Per ciascun argomento sono stati previsti: la realizzazione e l’osservazione diretta dell’esperienza; il lavoro di piccolo gruppo/coppia; la riflessione scritta individuale; il confronto attraverso la discussione collettiva. In particolare, per ci?che attiene alla produzione degli elaborati scritti si ?proceduto all’analisi del solo contenuto nella formulazione di ipotesi in relazione ai fenomeni da studiare. Quando invece si ? trattato di stendere relazioni su esperienze o osservazioni effettuate, ?stato seguito il seguente itinerario didattico: ai bambini veniva chiesto di prestare attenzione a quanto si stava svolgendo in quanto successivamente sarebbero stati invitati a stenderne una relazione; gli elaborati venivano poi discussi collettivamente per valutarne l’adeguatezza comunicativa e informativa; il testo veniva riformulato tenendo conto delle indicazioni dei lavori individuali; l’elaborato finale veniva discusso collettivamente.

Tutti i soggetti, sia quelli del gruppo sperimentale che quelli del gruppo di controllo sono stati sottoposti, all’inizio e alla fine dell’anno scolastico, a prove diverse, sia per contenuto informativo che per modalit?di somministrazione.

Per verificare la comprensione di testi sono state utilizzate le 5VM per l’analisi delle competenze linguistiche di base relative al linguaggio parafrastico, inferenziale, logico, critico-valutativo, estetico-poetico (Boschi-Aprile-Scibetta, 1986).

E’ stato costruito poi un questionario sulla conservazione delle quantit? sulla base dei décalages piagetiani sull’invarianza delle quantit?nei liquidi; questo era composto da domande a scelta multipla (quattro possibilit?di risposta) delle quali si doveva fornire una spiegazione relativa alla scelta effettuata. Ciascuna domanda era corredata da un disegno che mostrava la situazione dei contenitori e dei liquidi da analizzare. Prima di rispondere a ciascuna domanda ai bambini veniva mostrata realmente, dall’insegnante, la situazione rappresentata nel disegno. Per valutare le risposte aperte ?stata condotta un’analisi di tipo descrittivo volta ad individuare, all’interno di ciascuna, la presenza/assenza di concetti ritenuti particolarmente significativi in relazione al training sperimentato. Alla fine dell’anno scolastico ?stato presentato un questionario contenente 15 domande a scelta multipla (tre possibilit?di risposta) sulla definizione di sostanze, e due domande a scelta multipla (due possibilit?di risposta) sul fenomeno dell’evaporazione: anche qui i bambini dovevano fornire una spiegazione in merito all’opzione scelta. Inoltre sono stati presentati due esperimenti di combustione ed ?stato chiesto di sceglierne uno e di stenderne la relazione scritta per valutare la ‘capacit?di gestire nello scritto un produzione di prosa scientifica (…) I prerequisiti richiesti per la produzione di un testo denotativo, com’?quello della relazione, riguardano l’acquisizione di una competenza ideativa-semantica specifica: quella ideativa implica la capacit?di mettere a fuoco l’elemento centrale della comunicazione, individuare le informazioni di supporto, raccogliere le informazioni intorno alle persone, le cose, gli eventi che compaiono come argomenti; la competenza semantica permette di richiamare alla mente, all’interno dell’intero repertorio lessicale dello scrivente, l’area dei lessemi specifici, di modificare eventualmente la scelta, tenendo conto del rapporto tra i diversi lessemi e della loro adeguatezza rispetto alla situazione comunicativa e rispetto all’oggetto della comunicazione.’ (Tempesta, 1988). Anche sulla base di queste indicazioni la classificazione dei testi ?stata effettuata attraverso un’analisi descrittiva volta ad individuare la presenza/assenza di elementi quali: collocamento, innesco, svolgimento del fenomeno, descrizione spazio-temporale, conclusione. Come prova per l’analisi della struttura narrativa sono state analizzate le storie inventate dai bambini (all’inizio e alla fine dell’anno). Si ?proceduto alla loro classificazione considerando cinque livelli individuati sulla base della presenza/assenza di otto elementi strutturali escludendo volutamente qualsiasi valutazione circa gli aspetti contenutistici (gli elementi strutturali individuati sono: titolo, apertura, personaggi, ambientazione, problema, svolgimento, soluzione del problema, conclusione).peuterey prezzi giubbini peuterey Woolrich Donna Moncler Outlet Online stivali ugg cheap jerseys from china

Dall’analisi delle elaborazioni statistiche effettuate sui dati sperimentali il training ?risultato uno strumento efficace nel potenziamento di molte delle abilit?per le quali era stato ideato. In particolare il gruppo sottoposto a trattamento ha ottenuto risultati significativamente migliori nelle prestazioni sulla capacit?di descrizione (stesura di una relazione scritta di tipo scientifico) e nella strutturazione di testi narrativi. Ci?sta ad indicare che la metodologia, messa in atto per sviluppare negli alunni capacit?osservative e descrittive in relazione a fenomenologie di tipo scientifico ha prodotto effetti positivi anche sulla capacit?di strutturazione di testi in generale, ovvero che l’introduzione di una particolare tecnica o strumento metodologico (purch?costruito su solide basi teoriche) pu?diventare una vera e propria strategia di apprendimento applicabile a diversi ambiti disciplinari. Un altro risultato significativo si ? ottenuto dall’analisi delle risposte ai questionari. Entrambi i gruppi hanno fornito risposte adeguate alle domande chiuse (quelle che prevedevano una scelta tra le opzioni proposte), tanto che non ?stato possibile verificare l’effetto del trattamento. La valutazione di queste risposte indicherebbe quindi che il metodo proposto non presenta vantaggi rispetto alle metodologie tradizionali. Ma l’analisi delle risposte aperte alle stesse domande ci fornisce dati contrastanti con questa conclusione; infatti gli alunni appartenenti al gruppo di controllo non hanno saputo argomentare, motivare, spiegare il perch?/i> della scelta effettuata. I risultati positivi ottenuti dagli stessi bambini nelle risposte chiuse sembrano dunque dovute non tanto al fatto che i concetti presentati sono stati realmente interiorizzati, quanto alla presenza di pseudoconcetti (Vygotski, 1969), frutto di consuetudini linguistiche o di constatazioni generiche di tipo percettivo. Cos?potremmo dire che i risultati delle risposte chiuse dei due gruppi si equivalgono se vengono valutati dal punto di vista dei loro referenti linguistici (definizioni fornite nelle risposte), ma non nei loro significati. Questo dovrebbe far riflettere in un momento come quello attuale in cui si discute della definizione di prove per la realizzazione di standard nazionali da utilizzare nell’ambito del Sistema Nazionale di Valutazione di recente istituzione. La scelta delle prove cui sottoporre gli alunni deve essere effettuata rivolgendo un’attenzione particolare a ci?che si intende valutare: una cosa ?infatti verificare l’acquisizione di certi contenuti a livello di riesposizione verbale o scritta; tutt’altra cosa ?verificare la reale comprensione degli stessi e delle strategie di apprendimento messe in atto per il loro conseguimento. Come l’esempio sopra citato ci mostra, la valutazione e la validazione di metodologie didattiche (aspetto fondamentale per la valutazione pi?generale della qualit? dell’insegnamento impartito all’interno di una istituzione scolastica), richiede capacit?di analisi e di riflessione sulle tante variabili che entrano in gioco in processi complessi come quelli di cui ci occupiamo nella scuola.

Per quanto attiene all’acquisizione di strategie per la comprensione di testi, i dati relativi alle 5VM hanno mostrato un miglioramento nelle prove finali del gruppo sperimentale, rispetto al gruppo di controllo in tutte le prove. In particolare, sono risultati statisticamente significativi i risultati delle prove sul linguaggio inferenziale, critico-valutativo, estetico-poetico. I buoni risultati ottenuti nelle prove tradizionalmente non collegate con l’educazione scientifica, mostrano e confermano l’esistenza di abilit?di base sottostanti ai processi di apprendimento). ‘L’istruzione in una data materia influenza lo sviluppo delle pi?elevate funzioni molto al di l?dei limiti di quella particolare materia (Vygotski, 1966)’. ‘L’acquisizione della conoscenza in qualsiasi campo comporta la padronanza di un gruppo interrelato di concetti, di operazioni, di particolari criteri di verit?o validit? come pure di criteri di ragionamento pi?generali, comuni a tutte le aree della conoscenza (Scheffer, 1981)’. Ci?ripropone con forza la questione dell’interdisciplinariet? dell’insegnamento e la necessit?di rivedere certe pratiche didattiche (dalla programmazione per aree/ambiti, alla specializzazione degli insegnanti).

In conclusione vorremmo riproporre alcune considerazioni circa i contenuti e la metodologia predisposti per il trattamento. Solo per caso (non c’?stato accordo preventivo tra l’insegnate ‘esperto’ e le insegnanti delle classi che facevano parte del gruppo di controllo) entrambi i gruppi hanno lavorato su alcune fenomenologie scientifiche (soluzioni e miscugli, evaporazione, analisi delle propriet?delle sostanze). I risultati, significativamente diversi, devono quindi essere attribuiti al tipo di approccio metodologico con il quale queste sono state proposte. Tutto ci?ci riporta alla questione della qualit?dell’istruzione, al legame esistente tra insegnamento e apprendimento. ‘Nel caso specifico di un apprendimento tratto da insegnamento, in cui l’insegnamento modifica e l’apprendimento ?modificato, il rapporto si fa pedagogico e il discorso si restringe alla pedagogia. Poich?lo schema si attiene alla distinzione tra apprendimento insegnato non insegnato, non solo l’apprendimento, ma anche l’insegnamento, caratterizzano la situazione pedagogica. (…) Anzi, ?l’insegnamento, non l’apprendimento, il concetto forte di situazione pedagogica’ (Ballanti, 1988). In questo senso l’intervento che ?stato proposto, proprio in funzione dei risultati conseguiti, pu?fungere da stimolo a quanti, nella scuola, non si limitano ad una presa d’atto della situazione esistente, vista quasi sempre in una prospettiva che limita l’intervento (numero elevato di bambini per classe, problemi di apprendimento o comportamentali degli alunni, strutture carenti, ecc…), ma lavorano nel tentativo di modificare tale situazione per garantire opportunit?di sviluppo delle competenze e di crescita culturale.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

G. Ballanti, Modelli di apprendimento e schemi di insegnamento, Giunti Lisciani, Teramo, 1988.

F. Boschi, L. Aprile, I. Scibetta, Prove di comprensione dei linguaggi nella lettura. 5VM, Edizioni O.S., Firenze, 1986.

P. Conti, Lo sviluppo delle competenze scientifiche: effetti di un trattamento nelle classi III e IV elementare, Tesi non pubblicata, Facolt? di Magistero, Firenze, Corso di Laurea in Pedagogia, a.a.1996/97.

C. Fiorentini, Riflessioni epistemologiche e psicopedagogiche e proposte sull’insegnamento scientifico, Tesi non pubblicata, Facolt?di Magistero, Firenze, Corso di Laurea in Pedagogia, a.a. 1993/94.

A. R. Guerriero, L’educazione linguistica e i linguaggi delle scienze, La Nuova Italia, Firenze, 1987.

P. Merieu, Lavoro di gruppo e apprendimenti individuali, La Nuova Italia, Firenze, 1987.

I. Scheffer, Perch?una riflessione filosofica sulle discipline per tutti gli insegnanti, in C. Pontecorvo, L. Fus? Il curricolo: prospettive teoriche e problemi operativi, Loescher, Torino, 1981.

I. Tempesta, La “relazione” nella scuola media, in A. R. Guerrriero, L’educazione linguistica e linguaggi delle scienze, La Nuova Italia, Firenze, 1987.

L. S. Vygotski, Pensiero e linguaggio, Giunti Barbera, Firenze, 1966.

L. S. Vygotski, Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori, Giunti Barbera, Firenze, 1974.

Test di fisica Timss

I test preparati dalla terza indagine internazionale sulla matematica e sulle scienze (TIMSS), per quanto riguarda il campo della fisica, si possono suddividere in tre fasce di scolarit? terza media, terza superiore e quinta superiore.

I quesiti proposti si dividono nelle due categorie dei test a scelta multipla e dei test aperti, questi ultimi sono inferiori in numero all’altra tipologia.

Per quanto riguarda la scuola media non ?chiaro il principio che ha ispirato la scelta delle domande, in quanto queste non sembrano correlate fra di loro allo scopo di mettere in evidenza eventuali punti deboli o misconcezioni nella preparazione degli studenti, ma paiono pi?orientate alla verifica di una conoscenza un po?superficiale. Ad esempio si investiga sulla maggiore o minore energia accumulata da una molla, argomento che peraltro potrebbe anche non essere stato trattato dagli studenti cos?come accade per altri test anche se gli ambiti considerati sono abbastanza ristretti, ma non ci si cura di capire cosa pensa lo studente a proposito dell’energia se, ad esempio, la confonde o no con la forza, richiamandosi in questo significato al linguaggio di senso comune. Il livello matematico dei test ?comunque a un livello non formalizzato e non si richiedono relazione che lo studente, per la sua et?e la sua maturazione, potrebbe solo memorizzare. Interessanti, comunque, alcuni quesiti che riguardano la capacit?dello studente di fare stime e approssimazioni: quanto accuratamente si pu?misurare con un righello, quale multipli o sottomultiplo di un’unit?di misura scegliere per eseguire una data misura, come distinguere sostanze diverse.

Di qualit?decisamente superiore risultano i test rivolti agli studenti che frequentano la terza classe degli istituti superiori. In questo caso la scelta dei quesiti pare seguire un filo logico che metta in evidenza le capacit? acquisite dagli studenti relativamente ad ambiti che potremmo definire fondamentali, dove per fondamentali non si intendono i principi base della meccanica o della termodinamica o quant’altro, ma la capacit?di saper lavorare su argomenti connessi col linguaggio della fisica. Ad esempio sono presenti test sui grafici che richiedono sia la capacit?di costruirli sia di leggerli sia di estrapolarne dei dati; test su istogrammi o su tabelle; test che richiedono che si interpretino semplici relazioni matematiche per ricavarne delle informazioni; test su stime di superfici e altri ancora. Questi quesiti non vertono necessariamente su argomenti di carattere fisico, ma ci?che li rende interessanti ?proprio la loro connessione con il linguaggio della fisica, senza la cui padronanza ?poi veramente difficile trattare argomenti pi?“classici? [1]. Anche in questo caso non mancano test pi?nozionistici che mal si amalgamano con i precedenti, quali quelli sull’energia nucleare o i CFC, ma nel complesso questi sono una netta minoranza.

Completamente diversa pare invece la filosofia che ha ispirato la realizzazione dei test rivolti agli studenti delle quinte classi superiori. Innanzi tutto appare imponente la quantit?di argomenti trattati spaziando non solo attraverso tutta la fisica classica, ma anche su gran parte della fisica moderna. Non si vuole qui affermare che la fisica moderna non vada affrontata, ma certo la scelta dei temi da trattare deve essere oculata e in ogni caso questi devono essere sviluppati con tutte le dovute cautele perch?in molti casi ?richiesta la padronanza di strumenti matematici che gli studenti delle scuole superiori non possiedono[2]. Certo ?che la vastit?degli argomenti posti in verifica obbliga l’insegnante a una sorta di rincorsa che lo porti al traguardo del maggior numero di soggetti trattati e gli studenti a lavorare ad una sorta di processo di addestramento. Insomma questi test sembrano sostenere una didattica tradizionale in cui gli argomenti sono proposti in maniera sostanzialmente formalizzata in modo tale da tradurre lo studio di questi, da parte dello studente, nell’acquisizione di una serie di formule o definizioni da ricordare per superare il compito scolastico.

Eppure innumerevoli ricerche condotte da ricercatori di tutto il mondo, con test di tutt’altro tipo rispetto a quelli qui presi in analisi, mostrano quanto sia necessario lavorare proprio nel modo opposto e, vista l’ampiezza delle ricerche effettuate e la pressoch?totale concordanza di risultati, ?abbastanza difficile metterne in dubbio la validit? Inoltre diventa difficile sostenere che le risposte insoddisfacenti fornite dagli studenti siano una sorta di “fiera della castroneria?da imputare principalmente alla incapacit?e alla svogliatezza dei ragazzi.

In un problema[3] posto a 780 matricole della Facolt?di Scienze e Ingegneria dell’Universit?di Bologna tendente a mettere in evidenza se gli studenti hanno acquisito l’idea di forza come interazione e abbandonato l’idea di “forza come capitale posseduto dal corpo? si sono ottenuti risultati corretti solo nel 9% dei casi. E questi erano certamente gli studenti migliori e pi?motivati della scuola media superiore, probabilmente capaci di recitare a memoria un gran numero di formule e definizioni: eppure la loro idea di “capitale di forza? che ?un’idea sicuramente di senso comune, non era stata minimamente scalfita. Ma domande di questo tipo sono sostanzialmente assenti fra quelle proposte e quindi le eventuali risposte corrette fornite dagli studenti non risolvono il problema di sapere se questi hanno abbandonato le loro conoscenze di senso comune. Ad esempio si pone qualche problema di ottica ma non si chiarisce se gli studenti hanno abbandonato una teoria della visione di senso comune che porta a “vedere? la luce come una sorta di alone attorno all’oggetto. Considerazioni analoghe si possono fare per la meccanica e l’idea di forza come interazione e per gli altri campi trattati.      Nei test della TIMSS non si tiene nel dovuto conto il fatto che gli studenti sono anche loro portatori di una “scienza di senso comune?che condiziona poi fortemente il passaggio ad una visione “pi?scientifica?

Certo ?che se un sistema scolastico decidesse, a mio parere saggiamente, di sfrondare gran parte dei contenuti ora proposti per la fisica e di riorganizzare la didattica su basi completamente diverse da quelle attuali, in modo da far evolvere gli studenti (tenendo conto che non sono dei professionisti della fisica[4]), dalle conoscenze di senso comune a quelle pi?accreditate scientificamente per mezzo di un’ampia riflessione storico-culturale, la valutazione di questa nuova impostazione, ottenuta con i test internazionali, sarebbe certamente negativa.

[1] Si veda il testo di Arons, Guida all’insegnamento della fisica, Zanichelli, cap.1.

[2] Si veda a questo proposito le considerazioni di Arons su come presentare l’atomo di Bohr, cap. 10.

[3] Il test ?riportato in Conoscenze scientifiche: le rappresentazioni mentali degli studenti, a cura di Grimellini e Segr?- La Nuova Italia.

[4] Si veda a questo proposito quello che dice Frova in Perch?accade ci?che accade, Biblioteca Universale Rizzoli.