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Sull’onda della protesta (prove Invalsi o telequiz?)
di Maria Piscitelli | del 22/03/2011 |commenta
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Le rilevazioni Invalsi non rivestono un valore assoluto: le prove sono perfettibili come ogni prova e non costituiscono l’unico modo di valutare. Tuttavia, rispetto alle rilevazioni scolastiche, esse hanno un grado di maggiore attendibilità scientifica, poiché poggiano su fondamenti teorici di valenza nazionale ed internazionale.
Parto da una mail che ho ricevuto da un collega della scuola secondaria di II
grado: “Spero che ti sia arrivato un documento sulle prove Invalsi approvato dai
due terzi degli insegnanti del liceo Mamiani di Roma: è vero quello che dicono?
In particolare è vero che sulla base dei risultati delle prove ci sarà un
premio o meno per gli insegnanti? Mi sembrerebbe inaudito; stento a crederlo:
non vorrei che la realtà fosse fortemente stravolta per giustificare un rifiuto
aprioristico di qualsiasi tentativo di innovazione (non sarebbe la prima volta
da parte dei cosiddetti ‘duri e puri’). Le prove sono davvero portatrici di una
concezione semplicistica e nozionistica (quiz) del sapere? Il documento del
Mamiani, se non ti è arrivato, lo puoi trovare sul sito dell’Unità”.
Devo confessare che nel leggerla sono rimasta un po’ interdetta. Ho cercato
subito il documento per capire meglio e dare una risposta al collega.
Scorrendo il Documento sono rimasta colpita dalle prime frasi: “No ai telequiz
sugli studenti, no alla gerarchizzazione e alla discriminazione dei docenti. I
professori del liceo Mamiani denunciano l’ultima trovata del governo e si
appellano all’opinione pubblica”.
Ma di quali telequiz si parla, mi sono chiesta. Poi capisco che si sta parlando
dei test Invalsi, denominati quiz e considerati: “Un metodo buono per il
conseguimento della patente di guida, non per saperi complessi quali quelli
impartiti dai veri esperti della Scuola, che sono (ovviamente) i Docenti […]
una sorta di quiz, i quali, benché considerati negli anni Sessanta e Settanta
la panacea della valutazione, in effetti lasciavano cadere l’alto valore del
pluralismo delle competenze e delle capacità, e con essi i saperi
analitico-critici: saperi che certo non si misurano su pacchetti quantitativi
(punteggio quiz). Non sarà piuttosto l’uso ideologico del test a prevalere? Non
si profila piuttosto un ingabbiamento all’interno di pacchetti di conoscenze
(nozioni) che vanno tutte nell’indirizzo del pensiero unico, del libro unico?
Dell’insegnante a una dimensione e dello studente ad una dimensione? La Scuola
dà strumenti concettuali. Dà qualità nell’uso della ragione e nell’autonomia
della ragione. Per questo l’articolo 33 della nostra Costituzione pone come non
negoziabile libertà d’insegnamento e d’apprendimento”.
Il Documento prosegue mescolando tanti altri punti, in parte condivisibili, da
cui si evince una reale situazione di disagio generata dalla politica dei tagli
e dai continui attacchi alla scuola pubblica. Si teme innanzitutto che gli
esiti delle prove Invalsi vengano utilizzati come criterio di valutazione delle
scuole e dei docenti. Una preoccupazione questa legittima, visto che il Ministro
Gelmini ha già tentato un’operazione simile con l’introduzione delle
sperimentazioni nella scuole fortunatamente cadute nel vuoto.
Se tuttavia ciò accadesse si tradirebbe il mandato istituzionale dell’Invalsi,
specificato nel Piano della performance Invalsi 2011-2013 (cap. 2, parr. 2 e
3), le cui competenze sono elencate all’art. 17 del Decreto Legislativo
213/2009. Inoltre si strumentalizzerebbero le prove e le stesse scuole per fini
ideologici rispondenti a una visione classista della scuola.
Il compito dell’Invalsi consiste nell’offrire elementi di conoscenza sui
risultati degli apprendimenti utili: 1. all’Amministrazione Scolastica a
decidere interventi migliorativi e perequativi del funzionamento e dei
risultati del sistema scolastico; 2. alle Istituzioni Scolastiche Autonome a
stimolare la riflessione e il confronto con i livelli regionale e nazionale e a
sviluppare azioni di miglioramento (Piano della performance Invalsi
2011-2013-cap. 2, parr. 2 e 3).
Diversamente si snaturerebbe la sua mission e conseguentemente la sua funzione
nella scuola.
Altra questione è invece il duro attacco, fatto dal Documento, alle prove
Invalsi, nel quale i colleghi “sparano nel mucchio, senza distinguo”
accomunando problemi diversi, in nome della libertà di insegnamento e della
cultura. “Non vorrei che la realtà fosse fortemente stravolta per giustificare
un rifiuto aprioristico di qualsiasi tentativo di innovazione (non sarebbe la
prima volta da parte dei cosiddetti ‘duri e puri’)”, scrive il collega Paolo
Martini nella mail.
In effetti il tono denigratorio e le argomentazioni addotte suscitano
perplessità e con molta probabilità sono stati dettati da pregiudiziali
ideologiche e da scarsa informazione (pacchetti quantitativi, uso ideologico
del test, ingabbiamento all’interno di un pacchetto di nozioni). Su alcuni
termini ricorrenti nel Documento (enciclopedismo, pensiero unico, libro unico,
omologazione) ci sarebbe molto da dire proprio per la scuola tradizionale
(secondaria di I e II grado), dove vige un canone inamovibile, nonostante le
Raccomandazioni europee del Consiglio di Europa, gli Assi culturali, le
indicazioni nazionali, i mutamenti epocali (proliferazione di nuove conoscenze,
innovazioni tecnologiche, nuovi linguaggi etc.) e le presenze sempre maggiori di
soggetti appartenenti a etnie e culture altre (multiculturalismo).
Provo invece a riprendere il filo del discorso per correttezza di informazione,
soffermandomi su alcuni punti.
1. L’Invalsi non propone telequiz o quiz divulgativi, ma somministra prove,
abbastanza articolate, finalizzate ad accertare i livelli di competenza di
lettura e di matematica nei vari ordini di scuole. Non rileva nozioni, quanto
capacità d’uso delle stesse, come cioè l’alunno seleziona, fa interagire ed
elabora le conoscenze per affrontare un compito cognitivo. Per l’ambito della
lettura, di cui sono state individuate tre sottocompetenze (testuale,
lessicale, grammaticale), accerta cosa sa fare l’alunno quando legge un testo
con il proprio bagaglio culturale, quali operazioni compie, come risolve
problemi e quali strategie mette in atto.
2. Rimanendo sempre nell’ambito della lettura, la literacy/competenza
corrisponde a una capacità di livello alto di elaborare le informazioni
scritte. Uno dei denominatori comuni a tutte le indagini è la richiesta di
ragionare sul testo. Spesso gli studenti hanno difficoltà proprio a rispondere
a domande che richiedono una ricostruzione complessiva del testo, una
“interpretazione”; un’organizzazione logica entro e non oltre la frase; una
capacità indiziaria e inferenziale; una messa in relazione tra informazioni
esplicite contigue e non contigue oppure tra dati impliciti. Le domande
particolarmente problematiche per i nostri studenti sono quelle che richiedono
operazioni inferenziali, e più in generale compiti di riflessione/valutazione
sul contenuto e sulla forma del testo. Ne consegue che le didattiche
ricorrenti, “l’‘arte di insegnare’ una techne, come la chiamavano i Greci che
educa ad essere padroni della propria mente” e le stesse scelte epistemologiche,
dovrebbero andare in questa direzione e privilegiare un lavoro a scuola
sull’attivazione di processi (cognitivi e affettivi), sullo sviluppo di
capacità di ragionamento e sulla strutturazione di un pensiero critico. Un
impegno che coinvolge l’intera didattica e chiama in causa il curricolo.
3. L’altro punto sollevato nel Documento è quello relativo al tipo di quesito
presente nei test: V/F. e a risposta multipla. In verità la gamma dei quesiti è
più ampia, include anche domande aperte con risposta univoca oppure con
risposta breve o articolata.
Comunque l’obiettivo sotteso a tutti i quesiti, compresi quelli V/F e a
risposta multipla, è quello di investigare i processi di lettura, definiti a
livello nazionale e internazionale (individuare informazioni, integrare e
interpretare, riflettere e valutare), e non tanto un pacchetto di nozioni o
pacchetti quantitativi, come recita il Documento.
La verifica delle nozioni o dei contenuti è pratica diffusa soprattutto della
scuola del programma e non del curricolo per competenze.
Infine per la correzione delle risposte si prevede una griglia suddivisa in
ambiti di valutazione, risposta corretta e punteggio grezzo attribuito a ogni
domanda, da cui dovrebbe discendere il voto.
È opportuno far notare che la trasparenza delle operazioni è una caratteristica
delle prove. Tutti conoscono ciò che si valuta e come si valuta (processi di
lettura, oggetti linguistici, tipo di compito richiesto, criterio di
attribuzione dei punteggi, voto conseguente).
La procedura è chiara e rigorosa, ma soprattutto democratica. Varrebbe la pena
di diffonderla nella scuola.
Mi rendo conto che le modalità proposte si discostano da quelle usuali. La
stessa prova di lettura è stata per molte scuole una novità. Le verifiche non vertono
difatti sulla comprensione scritta, ma sulla produzione scritta e in
particolare sul tema, la cui correzione resta ancor oggi artigianale e fonte di
interminabili discussioni e critiche. Ma qui si apre un altro capitolo su cui
ritorneremo in un’altra occasione.
Va da sé che le rilevazioni Invalsi non rivestono un valore assoluto: le prove
sono perfettibili come ogni prova e non costituiscono l’unico modo di valutare.
Le forme di valutazione sono plurime (autovalutazione, portfolio, valutazione
formativa etc.), come plurimi sono i metodi e i modelli culturali. Tuttavia
rispetto alle rilevazioni scolastiche esse hanno un grado di maggiore
attendibilità scientifica, poiché poggiano su fondamenti teorici di valenza
nazionale ed internazionale.
Sicuramente richiedono qualche “ritocco”, come per esempio la prova sulle
conoscenze grammaticali che esula, dal mio punto di vista, dalla filosofia
delle indagini internazionali. Ma su questo siamo fiduciosi, poiché Ocse Pisa è
ritenuto dall’Invalsi un valido punto di riferimento.
Per concludere si consiglia di usare le prove con intelligenza, non certo come
forme di addestramento, ma come un’opportunità didattica, di affinamento e di
revisione del proprio lavoro; di riflessione sulle modalità di apprendimento e
di elaborazione di nuovi strumenti valutativi per formare teste pensanti.
Certamente non hanno niente a che vedere con i telequiz o con i quiz della
patente
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insegnante di matematica di FRANCA., pubblicato il 30/03/2011
Grazie per la risposta, condivido le argomantazioni riguardo alla lettura perchè è una competenza trasversale così come condivido pienamente il fatto che la matematica sviluppi le abilità logiche, detto ciò non ho ancora capito perchè la responsabilità delle “figurette” che facciamo a livello europeo, e non solo, siano da imputare solo a due discipline. Mi piacerebbe essere confortata su questo punto. Nessuno dice mai che le condizioni scolastiche, in cui noi dobbiamo lavorare, sono notevolmente diverse rispetto a quelle delle altre nazioni con cui i nostri CAPI, presidi compresi,ci mettono sempre a connfronto.
In risposta all’insegnante di matematica di M.P., pubblicato il 29/03/2011
Il motivo per cui le prove riguardano soltanto la literacy in lettura, in matematica e in scienze ( OCSE PISA) non è legato ad una concezione gerarchica delle discipline. Anche se occorre precisare che per OCSE PISA gli oggetti da indagare non sono prettamente disciplinari o comunque correlati al curricolo scolastico. Quando si parla di lettura, ci si riferisce ad una competenza trasversale da esercitare su qualsiasi tipo di testo, sia in formato cartaceo che elettronico, e in tutte quelle situazioni (personali, pubbliche, educative, lavorative) in cui la lettura riveste un ruolo importante. La lettura è intesa non solo come “esercizio individuale, ma anche come attività sociale che plasma le interazioni fra individui ed è da esse plasmata”
Tuttavia per queste prove sono stati individuati alcuni ambiti di indagine ( lettura, matematica e scienze), identificabili in determinati saperi, e ne sono stati esclusi altri. Il motivo credo che risieda nel fatto che i Quadri di riferimento teorici, relativi agli ambiti prescelti, sono condivisi dalla Comunità scientifica internazionale. Mentre per altri ambiti ci sarebbero dei problemi, basta pensare alla storia.
Altra questione è l’Invalsi che verifica le competenze legate ai curricula scolastici. Ma anche nel caso nazionale il problema della condivisione resta. Comunque potremmo notare che la lingua straniera dovrebbe essere oggetto di rilevazione, visto che il Framework internazionale esiste da lungo tempo.
Se ciò non avviene è perché mancano, con molta probabilità, i fondi e non tanto perché le lingue straniere sono materie di serie B.
Può darsi che in futuro la situazione cambi, ma su questo non sono affatto ottimista, visti i tagli e lo scarso interesse a migliorare la qualità della scuola.
Dal mio punto di vista il problema non è quindi culturale.