La natura del movimento tra astronomia, cosmologia, fisica, religione e società

Percorso didattico per la classe terza del Liceo Scientifico PNI

Progetto: prof.ssa Paola Falsini (Fisica)

Collaborazione: prof. Giulia Fornaini (Lettere) e Mirta Stampella (Matematica)

Liceo Scientifico “A.M.E. Agnoletti”  Sesto Fiorentino

a.s. 2003/2004

PRESENTAZIONE

La proposta didattica qui presentata, elaborata all’interno del progetto TRASVERSALIA, si sviluppa a partire da un preciso ambito disciplinare, quello della Fisica, col proposito di introdurvi elementi decisamente innovativi dal punto di vista della didattica della disciplina stessa, scaturiti dalla riflessione condotta sulle categorie della complessità e della narrazione; essa cerca di configurarsi come concreto esempio di quella trasformazione delle pratiche d’insegnamento di cui ha urgente bisogno la nostra scuola media superiore.

Il tema scelto vuole offrire agli studenti un incipit allo studio della Fisica che sia, per qualità e contenuti, un taglio netto con quelle presentazioni banalmente semplificate che troviamo nei nostri manuali scolastici. Riflettendo sul modo tradizionale di insegnare Fisica, non è difficile rendersi conto del fatto che la trattazione proposta dai manuali, alla quale gli insegnanti si adeguano nelle linee generali, non rappresenta che la tappa finale di un processo che si è dato storicamente e che è sempre del tutto ignorato, se si escludono alcune nozioni frettolose che hanno quasi più il carattere della diversione o dell’intrattenimento. Ciò significa dare per scontati concetti anziché procedere alla loro costruzione; il concetto resta per lo studente del tutto oscuro, e spesso di ciò l’insegnante non è neppure consapevole; che cosa sarà allora la Fisica nella percezione dello studente? Un formulario che bisogna addestrarsi ad utilizzare, con risultati accettabili solo per pochi e con scarsa o nessuna consapevolezza dei significati per i più.

Tradizionalmente lo studio della Fisica si fa iniziare con lo studio del movimento dei corpi e con i principi della dinamica, Principio d’Inerzia in testa; quest’ultimo viene giustificato suggerendo semplici esperienze, tratte dal quotidiano o da svolgersi in laboratorio. Allo stesso modo, è evidente, si prosegue poi nella trattazione di altri principi fondamentali. Questo modo di procedere, che ignora nel modo più assoluto le profonde trasformazioni del pensiero, non solo scientifico, che hanno condotto alla formulazione del Principio d’Inerzia, produce diversi esiti negativi; la mancata concettualizzazione, cui abbiamo accennato sopra, dà luogo a un apprendimento poco significativo dal punto di vista della formazione dello studente e la trasmissione di un’immagine del tutto inadeguata di ciò che la scienza e il fare scienza siano davvero. Si pensi ad alcuni esperimenti proposti (anche della scuola media inferiore) per la verifica della legge d’inerzia: a una trattazione solo libresca si sostituisce un approccio “sperimentale”; ma la didattica delle scienze non procede così verso un rinnovamento significativo. Consideriamo infatti: se anche un ragazzino della scuola media può scoprire la legge d’inerzia, come è stato possibile che essa non sia stata formulata fino al XVII secolo? E che sia stato necessario il contributo di diverse grandi menti? Dunque, l’approccio banalmente induttivo non può davvero permettere allo studente di cogliere il vero e più ampio significato della legge; sarà l’approccio narrativo, che non esclude ben inteso l’esecuzione dei semplici esperimenti, a consentirci di interpretare qualcosa di inatteso nel comportamento della natura (cfr Bruner) e anche di comprendere quello che potrebbe altrimenti essere inteso come un ritardo inspiegabile nella storia del “progresso scientifico”.

La proposta che presentiamo vuole dunque condurre gli studenti alla consapevolezza della complessità del percorso che, a partire dalle idee aristoteliche, attraverso la critica ai concetti di moto naturale e moto violento, giunge all’idea che i corpi siano indifferenti al movimento, all’indipendenza dei moti simultanei, al Principio di Relatività e al Principio d’Inerzia. Il percorso, si capisce, ha una forte valenza propedeutica rispetto al cuore della Fisica classica, l’opera di Newton (le leggi della dinamica e la gravitazione universale).

Nell’elaborazione della proposta abbiamo dunque ben presente il punto di vista di J. Bruner sulla dimensione narrativa del processo del fare scienza. Nel suo libro “La cultura dell’educazione” egli suggerisce di spostare “il fulcro dell’attenzione da un interesse per la ‘natura-là-fuori’ a un interesse per la ricerca sulla natura., su come si fa a costruire un proprio modello di natura. E’ questo passaggio che trasforma la discussione da scienza morta a un vivace fare scienza. …Il processo del fare scienza è narrativo. Consiste nel produrre ipotesi sulla natura, nel verificarle, correggerle e rimettere ordine nelle idee. Nel corso della produzione di ipotesi verificabili giochiamo con le idee, cerchiamo di creare anomalie, cerchiamo di trovare belle formulazioni da applicare alle contrarietà più intrattabili in modo da poterle trasformare in problemi solubili, inventiamo trucchi per aggirare le situazioni intricate. La storia della scienza (…) può essere raccontata in forma drammatica, come una serie di vicende quasi eroiche di soluzione dei problemi.”

Questa attenzione ai processi narrativi del fare scienza suggerisce anche di interessarsi al ruolo dell’immaginazione nella scienza; come afferma G. Holton nel suo libro “La lezione di Einstein”, di solito si ritiene che la scienza e l’arte appartengano a due mondi distinti, mentre “tra loro esistono affinità profonde, perché, pur essendo diversi gli scopi, gli strumenti e i prodotti, l’ingegno e la passione che animano le due imprese sono simili”; e suggerisce di cogliere di sorpresa gli scienziati, andando a frugare nelle loro notazioni personali e nei quaderni di laboratorio, per scoprire ciò che essi non si sono curati di rivelare; ciò che, ad esempio, Galileo non ci ha raccontato nei Discorsi e che invece lo storico Stillman Drake ha saputo  ricostruire studiando i manoscritti su cui lo scienziato pisano aveva riportato calcoli e registrazioni sperimentali. Tuttavia, dovendo dare un limite, anche di svolgimento temporale, al nostro lavoro non è stato possibile sviluppare appieno tutte le suggestioni, le occasioni di approfondimento che esso ci ha offerto; così, si è lavorato sui testi di Galileo, che certamente ci svelano poco o quasi niente del “contesto della scoperta” (soprattutto se si pensa ai Discorsi), lasciando a un’altra occasione di sperimentazione didattica una riflessione, ad esempio sui manoscritti,  che possa condurre a un’immagine nuova, certamente del tutto estranea ai manuali scolastici, del fare scienza. E, allo stesso modo, per limiti di tempo, non è stato possibile approfondire il ruolo della misura nell’affermarsi delle teorie scientifiche, tema a cui il nostro percorso si è accostato in diverse occasioni.

Abbiamo già, poco sopra, parlato di complessità; cerchiamo qui di precisare meglio il legame tra questa categoria e il percorso scelto. Il nostro tema è il movimento: si tratta di un soggetto antichissimo, dice Galileo all’inizio della giornata terza dei suoi Discorsi. Aristotele aveva coniato il termine fisica – physis, per designare lo studio della natura; l’evento rilevante che caratterizza la natura è il mutamento, e il movimento non è che un particolare tipo di mutamento, di luogo rispetto al tempo. Era talmente stretto il rapporto tra la fisica nel suo complesso e lo studio del moto che Aristotele aveva dichiarato che ignorare il moto è ignorare la natura.  Il cuore del nostro percorso è proprio il tentativo di mostrare come le spiegazioni del movimento che si sono date storicamente siano intrecciate con le rappresentazioni dell’universo che gli uomini si sono costruite; intreccio quindi tra astronomia, cosmologia e fisica.  Dunque, i cambiamenti delle concezioni sul movimento sono strettamente legati con altri cambiamenti fondamentali nella storia del pensiero scientifico e filosofico, a loro volta indissolubilmente legati alle trasformazioni del mondo civile, religioso, economico, che pure cercheremo di non trascurare. Il Principio di Relatività e il Principio d’Inerzia, quindi, devono essere colti come sintesi, come risultato di quel processo di trasformazione dell’immagine dell’universo che A. Koyré chiama disgregazione del cosmo aristotelico, sostituzione di uno spazio geometrico a uno spazio fisico concreto. La rappresentazione del mondo fisico che ne scaturisce è di natura completamente nuova: il reale è descritto con il linguaggio della matematica, ed è la costruzione di strumenti, che consentono misure sempre più accurate, a rendere possibile questa descrizione. 

Il percorso didattico di seguito descritto si è sviluppato a partire dalle idee qui presentate, volendo contribuire a educare i nostri studenti ad una lettura attenta, articolata, mai banale o eccessivamente semplificata della realtà, anche in contesti totalmente diversi da quelli dello studio della Fisica.

IL PERCORSO DIDATTICO

1.      La spiegazione del movimento nella cosmologia aristotelica.

Il nostro percorso ha preso l’avvio dal legame tra osservazioni astronomiche e rappresentazione del cosmo, per dare giustificazione alla concezione aristotelica del movimento; e dunque, come primo passo, si è voluto presentare il più semplice e più antico modello cosmologico che abbia il suo fondamento sull’osservazione del cielo, il cosiddetto universo a due sfere. Esso si giustifica sulla base di elementi percettivi che, come tali, non sono affatto presenti  nell’esperienza degli studenti. Riferiamoci prima di tutto alla sfericità della Terra; certamente tutti i nostri studenti sanno che la Terra ha, approssimativamente, forma sferica; ciò su cui non hanno invece mai avuto l’occasione di riflettere sono proprio i dati d’esperienza su cui gli uomini dell’antichità si sono basati per giungere a questa convinzione; per molti è addirittura sorprendente apprendere che essa risale a diversi secoli prima di Cristo (qualcuno la farebbe risalire al’epoca del viaggio di Colombo…). Ben inteso, i dati d’esperienza, le percezioni di cui parliamo non possono essere recuperati all’interno di questo percorso; tuttavia partendo da domande del tipo ‘Come hanno potuto gli studiosi della Grecia antica convincersi che la Terra ha forma sferica?’, e anche ‘Come ci appare il cielo in una notte serenaquando siamo in aperta campagna o in mare aperto?’  si è potuto guidare gli studenti a un nuovo atteggiamento: prescindere da conoscenze e informazioni già in loro possesso sulla struttura dell’Universo oggi accreditata e cercare  di ricostruirsi una rappresentazione a partire dai soli dati percettivi disponibili dall’antichità e rimasti sostanzialmente immutati. Tali dati, come si diceva, non potevano che essere descritti (M1), trattandosi di esperienze non riproducibili a scuola: la posizione delle stelle in cielo cambia a seconda del luogo della Terra da cui le osserviamo; quando si vede una nave avvicinarsi al porto prima è visibile la punta dell’albero e poi via via le parti più vicine alla scafo; durante le eclissi di Luna l’ombra proiettata dalla Terra sulla Luna è circolare. Queste, e altre osservazioni, sono compatibili soltanto con la forma sferica della Terra; c’è stata una buona comprensione da parte degli studenti (alcuni hanno riconosciuto nella propria inconsapevole esperienza i fatti descritti). Comunque, per dare maggior forza a questi argomenti si è anche presentato il metodo con cui Eratostene poté ottenere, nel III sec a.C. una stima della lunghezza del raggio terrestre (M2). Esso si basa sul fatto che il 21 giugno, a mezzogiorno, il Sole è allo zenit al Tropico del Cancro (a Siene i raggi del Sole illuminano l’acqua di un pozzo), mentre ha un’altezza minore in una località sullo stesso meridiano (Alessandria, la cui distanza da Siene era nota). E’ proprio dalla misura di tale altezza che Eratostene giunse a stimare il raggio terrestre.

                                                                 FIGURA

E’ importante osservare che la descrizione del metodo è avvenuta contestualmente all’introduzione di termini ed espressioni di cui gli studenti non conoscevano con sicurezza il significato: si è dovuto precisare che cosa sia un meridiano, che cosa significhi altezza del Sole e il Sole è allo zenit, riflettendo su esperienze che mostrano come i raggi del Sole arrivino sulla Terra paralleli; si è anche discusso di quale poteva essere il metodo per misurare grandi distanze (in questo caso circa 800 km) e osservato che era in uso un’unità di misura diversa da quelle da noi utilizzate oggi.

A questo punto, dopo aver pienamente giustificato la convinzione degli antichi della sfericità della Terra,  si è cercato di introdurre il concetto di sfera celeste per completare lo schema concettuale dell’universo a due sfere; anche qui, tuttavia, non è stato possibile riferirsi a un dato d’esperienza: i nostri studenti (come la maggior parte degli adulti, del resto) non hanno alcuna consuetudine con l’osservazione del cielo, sono troppo “ben” informati sulle dimensioni dell’Universo  per accettare con facilità di ricollocarsi al centro di una sfera punteggiata di stelle. Come per la percezione della sfericità della Terra, anche questo tipo di percezione non è recuperabile rapidamente all’interno di questo percorso didattico; l’epoca in cui esso si è svolto (ottobre-novembre) è un periodo dell’anno in cui non c’è quasi nessuna occasione di stare all’aperto di notte; si è cercato comunque di suggerire qualche osservazione; scelta una stella nel cielo notturno, che sia facilmente riconoscibile, la rilevazione della sua posizione a distanza di qualche ora può servire a far percepire la rotazione della sfera celeste (solo qualche studente che abita in campagna ha riferito di una certa familiarità con i fatti che si andavano descrivendo). Certamente, sarebbe stato di aiuto aver chiesto in precedenza agli studenti di fare una serie di semplici osservazioni del cielo durante l’estate, anche in relazione ad altri aspetti osservativi che si presentano più avanti in questo percorso. Ciò che si può recuperare con questo tipo di attività è la convinzione lo schema dell’Universo a due sfere emerge dai dati percettivi come il più sensato; è un risultato importante che aiuta a rimuovere l’idea che nell’antichità si facessero degli errori nella descrizione della natura perché non si ricorreva al metodo scientifico basato sull’osservazione e l’esperienza.  Al contrario, lo schema concettuale dell’universo a due sfere emerge nel modo più semplice e diretto dalla percezione e dall’osservazione, per gli uomini dell’antichità come per noi; e si è anche precisato che tale rappresentazione è ancor oggi ampiamente utilizzata in alcuni ambiti: “la maggior parte dei manuali di navigazione o di agrimensura cominciano con frasi come questa: Per gli scopi che ci proponiamo, potremo assumere che la Terra sia una piccola sfera stazionaria il cui centro coincide con quello di una sfera stellare molto più grande e in rotazione” (T. Kuhn, 1972, pag 50). E’ stata anche l’occasione per far riflettere gli studenti sul fatto che un teoria scientifica può continuare a essere utilizzata, anche laddove un’altra teoria ha avuto la meglio su di essa perché capace di dare conto di una gamma più ampia di dati (nessuno utilizza la Relatività generale di Einstein, che rappresenta un superamento della Meccanica di Newton, per descrivere la caduta libera dei corpi).

 Possiamo, con queste premesse, ben comprendere come “La cosmologia a due sfere diede a molti uomini, per secoli, una certa visione del mondo, definendo la loro posizione nel creato e dando un significato fisico al loro rapporto con la divinità” (T. Kuhn, 1972, pag 51). A questo punto, per evitare il più possibile semplificazioni eccessive, si è anche fatto cenno alla presenza di cosmologie alternative formulate nell’antichità: Eraclide di Ponto, pitagorico, aveva proposto che la Terra ruotasse su stessa verso est al centro dell’universo (così si spiegherebbe il moto delle stelle verso ovest); così altri (Leucippo e Democrito, Aristarco di Samo) avevano proposto teorie alternative, ma l’idea di una Terra che si muove come uno tra i corpi celesti è antiintuitiva, è contro il senso comune. Questo argomento è stato ampiamente sviluppato più avanti nel percorso.

Il passo successivo nella costruzione della cosmologia aristotelica è il superamento del modello dell’universo a due sfere; siamo costretti a ciò dalla considerazione che gli oggetti celesti non si comportano tutti nello stesso modo. La mancanza di dati percettivi nei nostri studenti rispetto a questo comportamento è ancora più grave rispetto a quanto esposto sopra e impossibile da recuperare; si è dunque proceduto nell’unico modo possibile: la descrizione di questi dati osservativi. Ci stiamo riferendo al fatto che, mentre la posizione relativa delle stelle è fissa, la Luna, il Sole e i pianeti non hanno una posizione fissa rispetto alle stelle. Se dunque le stelle possono essere immaginate incastonate nella sfera celeste e trasportate da essa nella rotazione giornaliera da est a ovest, il Sole, la Luna e i pianeti non possono trovarsi su tale sfera, poiché, ciascuno con un periodo diverso, compiono una rivoluzione completa sulla sfera celeste, muovendosi da ovest verso est. Rispetto a queste nozioni anche l’aver fatto precedere il lavoro da opportune osservazioni da svolgere nel periodo estivo, non avrebbe probabilmente migliorato di molto la situazione; tranne forse per la Luna, è necessaria una serie abbastanza raffinata di osservazioni per giungere a percepire e descrivere questi movimenti verso est. La precisazione di questi comportamenti, d’altra parte, è essenziale per lo sviluppo successivo del percorso, come si capirà in seguito; e si è comunque cercato di limitarne la trattazione agli elementi irrinunciabili. Il punto di arrivo è stato un universo a più sfere, limitandosi al modello più semplice:

                                                                 FIGURA                                                       

 In esso, troviamo (almeno) tante sfere quanti sono gli oggetti erranti; la sfera delle stelle fisse le racchiude tutte.

La trattazione di questi aspetti astronomici ci ha messo nella condizione di poter presentare e giustificare la teoria aristotelica del movimento; a tal fine si è proceduto alla  lettura di alcuni brani dal capitolo terzo del testo di T. Kuhn “La Rivoluzione Copernicana”, capitolo che ha per titolo “L’universo a due sfere nel pensiero aristotelico”; ci si è particolarmente soffermati sul brano del De Caelo di Aristotele che presenta l’argomento della sfericità, centralità e immobilità della Terra (M3). Si sono fornite alcune notizie sul filosofo, avvalendosi delle pagine del sito internet dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze (M4) presentate con videoproiettore. Le letture proposte ci hanno fornito gli elementi caratterizzanti questa rappresentazione dell’universo: la distinzione tra mondo celeste, perfetto e immutabile, e mondo terrestre, sede del mutamento e della corruzione; la finitezza del cosmo e l’impossibilità del vuoto; ma soprattutto il fatto che, nell’universo aristotelico, ogni luogo rappresenta qualcosa e ha un’influenza; ogni oggetto è trasportato verso il suo proprio luogo. La spiegazione del moto locale (con questa espressione fino a Galileo si indicava il moto degli oggetti sulla Terra) ha il suo fondamento in questa concezione dello spazio: un spazio fisico, materiale in cui ciascuno dei cinque elementi di cui è costituito ha una sua collocazione naturale verso cui tenderà a tornare se da essa viene rimosso. E’ la teoria dei luoghi naturali; una volta introdotta si sono invitati gli studenti a proporre diversi esempi di movimenti: il tentativo di interpretarli alla luce di questa teoria ha condotto alla distinzione tra moti naturali emoti violenti.  

Come consolidamento di quanto introdotto, e anche come approfondimento della distinzione tra mondo terrestre, sede del mutamento e del cambiamento, della nascita e della morte, della formazione e della distruzione, e mondo celeste, inalterabile e perenne, in cui i moti sono regolari, in cui niente nasce e niente si corrompe, si è proposta la lettura di un brano tratto dall’antologia curata da P. Rossi “La rivoluzione scientifica” (M5) e di una buona sintesi presentata nel libro di testo per i licei “Project Physics Course – P.P.C” (M6).

Questa prima fase del percorso si è conclusa con un intervento, in compresenza, dell’insegnante di lettere  sulla sintesi tra cosmologia aristotelica e dottrina cristiana, nel cosmo dantesco. La Divina Commedia è il racconto di un viaggio straordinario, il viaggio del poeta attraverso l’universo della concezione cristiana del secolo XIV. Si sono invitati gli studenti a riflettere su come ogni variazione nel disegno dell’universo influisca inevitabilmente sul dramma della vita e della morte del cristiano. 

                                                                 FIGURA

La descrizione del cosmo dantesco ha offerto anche l’occasione per qualche riflessione linguistica; ad esempio, si è potuto chiedere agli studenti di chiarire l’origine dell’espressione essere al settimo cielo: il primo cielo è quello della Luna, il secondo quello di Mercurio, e così via fino a quello del pianeta più lontano, Saturno, che occupa, appunto, il

settimo cielo; considerato che i cieli sono il luogo della perfezione, essere al settimo cielo significa essere al colmo della felicità. E ancora: il termine firmamento, che ancora utilizziamo,    deriva dal verbo latino firmare, tener saldo; il firmamento è lo strumento che tiene saldo il cielo.

2.      Il  problema dei pianeti, la soluzione degli antichi.

In questa seconda fase l’attenzione si è spostata nuovamente, dalla rappresentazione del cosmo, a aspetti strettamente astronomici; ciò è stato necessario per preparare il contesto in cui emerse l’ipotesi copernicana. Affrontare aspetti più tecnici ha anche contribuito ad affinare, a rendere più chiara la differenza di significato tra i termini astronomia e cosmologia, anche se non si può affermare di aver colto pienamente quest’ultimo obiettivo (forse veramente troppo ‘alto’ per studenti che si affacciano a un triennio di scuola media superiore).

L’argomento da introdurre era il cosiddetto problema dei pianeti; a tale scopo si sono tornati a trattare aspetti già introdotti nella prima sezione che era però necessario approfondire, proprio per preparare il terreno in cui cogliere l’anomalia del moto dei pianeti. L’unico movimento ben conosciuto agli studenti è quello giornaliero del Sole da est verso ovest, con il variare dell’altezza sull’orizzonte in diversi momenti della giornata. La culminazione giornaliera a sud è un dato importante che serve a rafforzare il modello della sfera celeste rotante intorno alla Terra; ciò di cui gli studenti non erano affatto consapevoli è che, come il Sole, così anche le stelle sorgono, culminano e tramontano. Questo ci ha portato anche a precisare che ci sono stelle e costellazioni sempre presenti in cielo, le circumpolari: sono quelle che tanti studenti conoscono, il Gran Carro, Cassiopea, la Stella Polare; comunque alcuni studenti hanno dichiarato di non conoscere neppure queste stelle! Ciò fa emergere la necessità di introdurre nella scuola dell’obbligo semplici percorsi di astronomia, che forniscano non un approccio libresco e nozionistico, ma quei dati osservativi di cui, a questo punto, abbiamo lamentato diverse volte la mancanza. La culminazione giornaliera degli oggetti celesti, il fatto che la Stella Polare rimane fissa nel cielo notturno, l’altezza di tale stella sull’orizzonte: questi elementi sono stati tutti interpretati mediante la nostra posizione sulla sfera terrestre e la rotazione della sfera celeste intorno a un asse passante per i Poli Nord e Sud e per la Stella Polare (M7). E’ chiaro che nel trattare questi aspetti di geografia astronomica, così tecnici, è necessario fissare un limite; si è cercato di selezionare in funzione del significato generale del percorso e non è stato semplice per l’insegnante operare la scelta. Ricordiamo che l’obiettivo di questa fase è introdurre l’anomalia del comportamento dei Pianeti e, soprattutto, farla percepire come tale. Abbiamo ritenuto indispensabile descrivere lo spostamento del Sole attraverso le costellazioni dello Zodiaco, mentre si è rinunciato a precisare nei dettagli come l’inclinazione dell’eclittica, la sua traiettoria sullo sfondo della sfera celeste, rispetto all’equatore celeste renda conto della diversa altezza del Sole a mezzogiorno nell’arco dell’anno, così come della diversa posizione all’alba o al tramonto.

Un approccio induttivo al movimento del Sole lungo l’eclittica è stato impossibile, per ovvi motivi, all’interno di questo percorso didattico; solo diverse settimane, meglio ancora mesi, di osservazione sistematica consentono di rendersi conto che, notte dopo notte, l’aspetto del cielo si modifica, le costellazioni cambiano posizione, quelle che erano visibili in giugno a una certa ora della notte non sono più visibili a settembre alla stessa ora. E da qui alla conclusione che il Sole si sposta sulla sfera celeste è necessaria una rielaborazione tutt’altro che banale! Dunque non si poteva far altro che procedere attraverso un approccio puramente trasmissivo, suggerendo, su tempi lunghi, osservazioni di conferma di quanto appreso.

I nomi delle costellazioni dello Zodiaco sono ben noti a i nostri studenti, capita loro di frequente, in modo più o meno convinto, di ascoltare o leggere un oroscopo; tuttavia il significato di espressioni come ‘Sono del segno della Bilancia’ e simili è del tutto sconosciuto. Si è pensato che fosse abbastanza motivante proprio partire da interrogativi del tipo Cosa vuol dire essere nati sotto il segno della Bilancia? O del Toro? O dei Pesci? Gli aspetti tecnici che dovevamo introdurre (il Sole, in un tempo che gli uomini hanno chiamato anno, compie un giro completo della sfera celeste percorrendola da ovest verso est) sono dunque stati presentati come risposte a domande che hanno destato la curiosità dei ragazzi. Nel moto annuale il Sole si trova ad attraversare una fascia del cielo che, dall’antichità, gli uomini hanno diviso in 12 costellazioni, quelle appunto dello Zodiaco; essere del segno della Bilancia significa essere nati in quel periodo dell’anno in cui il Sole si trova in corrispondenza di quella costellazione. Qui è stato necessario riflettere sul fatto che le stelle in cielo ci sono sempre, anche di giorno;  se si potesse oscurare il Sole come durante un’eclisse (qualcuno ha ricordato quella del ’99) riusciremmo a vederle.

A questo punto il terreno era pronto per introdurre il problema dei pianeti; gli studenti conoscevano i nomi dei pianeti ( e i più “istruiti” avevano anche ben presenti le figure che li rappresentano in orbita intorno al Sole). Ma cosa significa la parola pianeta? Il dizionario ci ha dato la risposta: un pianeta è un oggetto errante; indagando sul comportamento di questi oggetti celesti è stato possibile giustificarne il nome. Si sono proposte, mediante la lavagna luminosa, immagini che riportassero la posizione di alcuni pianeti (Marte, Mercurio, Saturno), a intervalli regolari di qualche giorno, sullo sfondo della sfera celeste, per un tempo totale di qualche mese (M8). Gli studenti sono stati guidati dall’insegnante a vedere ciò che senza l’aiuto di un esperto non avrebbero mai potuto riconoscere (così come nella quasi totalità degli esperimenti didattici): i pianeti, come il Sole, si muovono da ovest verso est sullo sfondo della sfera celeste, ma, ecco l’anomalia, a un certo punto interrompono questo moto, si muovono verso ovest per poi riprendere il movimento regolare verso est; questo movimento anomalo è indicato come moto retrogrado (M9).

Una volta presentato il comportamento dei pianeti, la domanda che si è cercato di sollecitare è stata come giustificare il moto retrogrado? Era già evidente, a motivo del movimento verso est, che non è possibile collocare Sole e pianeti sulla sfera delle stelle fisse (ecco giustificate le sfere del cosmo aristotelico); ma ciò non basta a spiegare il moto ‘strano’ dei pianeti. A questo punto si è presentata la tecnica, introdotta da Apollonio e Ipparco e ampiamente utilizzata da Tolomeo, dell’epiciclo su deferente, evidenziando la convinzione che tutto dovesse essere spiegato in termini di opportune combinazioni di moti circolari: solo il moto circolare infatti si addice alla perfezione dei cieli (M10). Perché questa soluzione fosse ben compresa si è fatta eseguire la costruzione a ciascuno studente come compito a casa (M11); bisogna osservare che, mentre tutti hanno eseguito il compito in modo sostanzialmente corretto, recependo dunque l’aspetto tecnico, solo alcuni studenti, da quanto si è potuto rilevare dalle verifiche svolte, hanno mostrato una padronanza completa della problematica del moto retrogrado; pochi cioè hanno saputo cogliere la connessione tra come vediamo muoversi in cielo i pianeti e la costruzione geometrica che si è chiesto loro di realizzare. La costruzione della traiettoria di un pianeta mediante la tecnica dell’epiciclo su deferente è stata anche ripetuta utilizzando il software CABRI, il che ha consentito di ottenere un disegno animato e di superare, almeno parzialmente, quella che forse era stata la difficoltà fondamentale: la mancata comprensione di cosa fosse realmente un moto retrogrado.

La trattazione delle soluzioni proposte nell’astronomia tolemaica per giustificare le apparenze, si è limitata a qualche cenno alle enormi complicazioni geometriche connesse con queste soluzioni, dovute anche all’ostinazione, diremmo noi moderni, a utilizzare soltanto combinazioni di moti circolari. Pur tralasciando i dettagli delle soluzioni escogitate nei secoli nell’ambito del sistema tolemaico, si è tuttavia cercato di far cogliere la frattura tra astronomia e cosmologia, tra chi, come gli astronomi, aveva come obiettivo la previsione, con sempre migliore precisione, della posizione dei pianeti e chi invece cercava di fornire una descrizione fisica dell’universo. E’ evidente infatti che, ad esempio, il moto di un pianeta su un epiciclo non ha ragioni fisiche dato che avviene intorno a un centro in cui non c’è nulla; così come è evidente che tale movimento male si colloca all’interno del sistema di sfere omocentriche della cosmologia aristotelica.

3.      L’ipotesi copernicana conduce alla necessità di una nuova Fisica

Gli aspetti tecnici trattati sono stati fondamentali per introdurre, a questo punto, in modo significativo l’ipotesi di Copernico; in generale, nessuna rivoluzione può essere ben compresa se non si ha una sufficiente padronanza del sistema di credenze che essa è andata a scardinare. Per fare un esempio che si riferisce a un periodo completamente diverso della storia della scienza, non ci sarà modo di presentare in modo sensato la rivoluzione operata dalle idee della fisica quantistica a studenti che non abbiano una solida consuetudine con le idee della fisica classica. Così, perché non si riducesse a una banalizzazione il modello copernicano, si è voluto fornire un quadro il più possibile completo della rappresentazione del mondo che esso è andato a sconvolgere.

Prima di entrare nel merito dell’ipotesi copernicana, si è voluto soffermarsi sul fatto che modelli alternativi erano stati presi in esame e discussi anche nell’antichità; come abbiamo già accennato, ad esempio, Eraclide di Ponto aveva proposto un modello in cui fosse la Terra, al centro dell’universo, a ruotare su se stessa determinando il moto apparente della sfera celeste. Dalla lettura di  un brano di Tolomeo (M12) si sono conosciuti e discussi i motivi fisici (e ricordiamo che la fisica aveva come sua tema fondamentale la caduta dei corpi!) che si adducevano contro il moto della Terra, argomenti che ritroveremo trattati più avanti in Galileo.

Tolomeo ammette che ” non possono forse esservi obiezioni a questa teoriaper quel che concerne le apparenze del mondo stellare” ma “a giudicare dalle condizioni terrestri che riguardano noi stessi ed a quelle nell’aria attorno a noi, una tale ipotesi dev’esser vista come assolutamente ridicola … Se la Terra facesse in un tempo tanto breve un giro così enorme, tornando di nuovo alla stessa posizione …ogni cosa che non stesse effettivamente sulla Terra sembrerebbe necessariamente fare il medesimo movimento in senso contrario”. Si sono discussi insieme agli studenti gli argomenti sviluppati da Tolomeo nell’ Almagesto, riconoscendone la sensatezza, così come altri già presenti nel De Caelo di Aristotele; ad esempio se la Terra fosse posta fuori dal centro dell’universo, dove è la Luna, non dovremmo vedere gli oggetti cadere verso la Terra dato che il moto naturale di un oggetto è verso il centro del mondo. Si è compreso come, secondo le parole di Kuhn, “i sostenitori dell’idea di una Terra planetaria avranno quindi bisogno di una nuova teoria del moto, e finché una tale teoria non verrà scoperta … la conoscenza della fisica terrestre costituirà un freno dell’immaginazione astronomica”.

Eppure l’astronomia tolemaica non forniva un accordo soddisfacente con i dati dell’osservazione; la tecnica dell’epiciclo su deferente, oltre che porre, come abbiamo visto, questioni mai risolte sulla struttura del cosmo, non  era soddisfacente neppure da un punto di vista tecnico, perché non giustificava completamente le apparenze: alcune irregolarità nella velocità dei pianeti restavano non spiegate. Si è fatto presente come per molti secoli l’astronomia tolemaica abbia comunque continuato a credere che con opportuni miglioramenti si sarebbe in qualche modo giunti a una soluzione soddisfacente del problema dei pianeti, nell’ambito dell’universo a Terra centrale; questa è anche stata l’occasione per far notare, seguendo Kuhn, che “l’osservazione non è mai assolutamente incompatibile con uno schema concettuale”, che la discrepanza tra teoria e dati sperimentali non è da sola un elemento perché la teoria sia abbandonata tout court. Si tratta di un tema complesso e non ci si attendeva una comprensione piena da parte degli studenti; ma non si è voluto perdere l’occasione per introdurre una riflessione che andrà sviluppata, in più occasioni, nel corso di tutto il triennio.

A questo punto, prima di entrare nel merito degli aspetti tecnici dell’ipotesi copernicana, si sono  presentati, con l’intervento in compresenza dell’insegnante di Lettere, l’epoca di Copernico e quegli elementi culturali, religiosi e sociali in cui si è concretizzata la rivoluzione copernicana; in un’epoca di grandi cambiamenti, legati a eventi quali la scoperta del’America e la Riforma protestante, la Chiesa Cattolica reagisce con un severo controllo sulla cultura che non dà spazio ad aperture o dubbi di nessun genere, creando nuovi organismi per esercitarlo e potenziando quelli già esistenti (Ceserani  De Federicis, 1992, pagg 30-31 e 244-45).

Per entrare nella sostanza dell’ipotesi copernicana, si sono letti in classe i sette assiomi della nuova astronomia che qui ci sembra utile riportare (M13):

–         Non esiste un solo centro di tutti gli orbi celesti o sfere.

–         Il centro della Terra non è il centro dell’universo, ma solo della gravità e della sfera della Luna.

–         Tutte le sfere ruotano intorno al Sole come al loro punto centrale e pertanto il centro dell’universo è intorno al Sole.

–         Il rapporto tra la distanza della Terra dal Sole e l’altezza del firmamento è minore del rapporto fra il raggio terrestre e la distanza Terra-Sole, di modo che la distanza della Terra dal Sole è impercettibile in confronto all’altezza del firmamento.

–         Qualunque moto appaia nel firmamento, non deriva da un qualche moto del firmamento, ma dal moto della Terra. Pertanto la Terra, con gli elementi a lei più vicini compie una completa rotazione sui suoi poli fissi in un moto diurno, mentre il firmamento e il più alto cielo rimangono immobili.

–         Ciò che appare come movimenti del Sole non deriva dal suo moto, ma dal moto della Terra e della nostra sfera con la quale ruotiamo attorno al Sole come ogni altro pianeta. La Terra ha, pertanto, più di un movimento.

–        


L’apparente moto retrogrado e diretto dei pianeti non deriva dal loro moto, ma da quello della Terra. Il moto della sola Terra è pertanto sufficiente a spiegare tutte le disuguaglianze che appaiono nel cielo.

 La discussione collettiva su questi assiomi ci ha portato a riconoscere nei primi quattro la descrizione di come è fatto l’universo, mentre gli ultimi tre si occupano di giustificare in base alla struttura definita, i moti che appaiono in cielo. Il quinto si riferisce alla rotazione giornaliera del cielo da est a ovest; il sesto si occupa dei movimenti, giornaliero e annuale, del Sole e attribuisce non al Sole ma alla Terra più di un movimento; infine, il settimo afferma che il moto retrogrado dei pianeti è esso pure interpretabile mediante il movimento della Terra. Dunque abbiamo ritrovato in estrema sintesi le apparenze di cui ci siamo occupati fin dall’inizio del nostro percorso, e in particolare si è approfondita l’interpretazione del moto retrogrado: ciascuno studente ha eseguito la costruzione grafica delle posizioni successive di un pianeta in movimento intorno al Sole visto da una Terra pure in movimento; la costruzione è stata eseguita sia per pianeti posti tra il Sole e la Terra sia per quelli esterni (M14).

Evidentemente i limiti, anche temporali, entro cui doveva svilupparsi questa proposta didattica, hanno impedito di sviluppare in modo approfondito limiti e successi del modello copernicano; tuttavia non si sono volute trascurare del tutto alcune osservazioni. Nell’universo copernicano i movimenti sono ancora rigorosamente circolari e ciò implica in effetti un successo solo parziale nell’interpretazione del moto dei pianeti; ciò non permette, in effetti, di prevederne la posizione con precisione migliore di quella del sistema tolemaico. L’ipotesi copernicana, dunque, ha avviato in modo irreversibile un processo rivoluzionario, malgrado contenesse molti elementi di continuità con la tradizione; per esempio, l’universo di Copernico è un universo finito, ancora contenuto entro la sfera delle stelle fisse, ma se le stelle non sono in rotazione intorno al centro dell’universo tale sfera ha perduto la sua funzione. E allora le stelle potrebbero anche non stare sulla sfera, essere disposte a diversa distanza dal centro … ecco che l’universo si espande, si trasforma, per dirla con Koyré, da spazio fisico finitoa spazio geometrico infinito Queste implicazioni cosmologiche sono state oggetto di riflessione anche più avanti nel percorso ( e successivamente nel corso dell’anno scolastico quando si sono descritti il lavoro di Keplero e la sintesi di Newton).

Una volta affrontati gli aspetti astronomici del sistema copernicano, si sono esplicitate le difficoltà che tale modello implica per la spiegazione del movimento. Per questo si sono poste agli studenti proprio le stesse domande che si ponevano gli studiosi dell’epoca (già in parte introdotte dal testo citato dell’ Almagest)o‘Se la Terra è in movimento perché vediamo gli oggetti cadere verticalmente verso il basso? Come vediamo muoversi le stelle da est a ovest, così tutto ciò che non è solidale con la Terra dovrebbe esser visto muoversi allo stesso modo’. E ancora: ‘Aristotele affermava che gli oggetti cadono verso il centro della Terra perché esso coincide con il centro del tutto; ma se la Terra è ridotta a pianeta cos’è che fa cadere gli oggetti verso il suo centro?’ Emergerà da questi interrogativi la necessità di costruire, insieme a una nuova cosmologia, una nuova Fisica, nuove leggi del movimento.

4.      Galileo sviluppa una nuova concezione del movimento

L’analisi dell’opera di Galileo è stata preceduta da una presentazione dell’epoca in cui egli è vissuto, dell’ambiente culturale in cui è avvenuta la sua formazione, dell’assetto politico dell’Italia di quel periodo con particolare riferimento alla Firenze del Granducato Mediceo, alla Repubblica di Venezia, allo Stato Pontificio; anche qui ci si è avvalsi, in compresenza, dell’intervento della docente di lettere. La vicenda umana di Galileo si è andata poi delineando man mano che se ne sono analizzati e approfonditi i contributi scientifici (G. Ferroni, 1991,pagg 320-331)

Galileo, già prima dell’adesione aperta al copernicanesimo, aveva sviluppato la critica alla distinzione aristotelica tra moti naturali e violenti. Su questo tema si sono letti brani scelti dall’opera giovanile De Motu (~1592) (alcuni sono stati tradotti dal latino insieme alla docente di lettere) (M15); dopo la lettura si sono discusse collettivamente le situazioni immaginate da Galileo. Riportiamo qualche passaggio: E qualora si domandi se gli elementi siano in sé, puramente e assolutamente, pesanti, rispondiamo che non solo l’acqua o la terra o l’aria, ma anche il fuoco e perfino, se c’è, qualcosa di più leggero del fuoco, hanno un peso e che lo hanno, insomma, tutti gli elementi che possiedano congiuntamente alla sostanza, una quantità e una materia” e  I corpi si muovono verso l’alto per estrusione … Un moto del genere si può dire violento.” Troviamo qui la critica ai concetti di leggerezza e pesantezza; non esistono, per Galileo, oggetti ‘leggeri’ e non esiste, quindi, un moto naturale verso l’alto, tutti gli oggetti hanno un peso (e si tratterà di introdurre una scala quantitativa di pesantezza); tuttavia troviamo ancora la classificazione di un moto, quello di un corpo spinto fuori dal suo elemento, come violento. In un altro passaggio si discute se un moto circolare sia naturale o violento:  Il moto naturale è quello in cui i mobili, spostandosi, si avvicinano ai luoghi loro propri; il moto violento è invece quello in cui i mobili, spostandosi, si allontanano dal luogo loro proprio. Stando così le cose , è evidente che la  sfera che ruota intorno al centro dell’universo non si muove né di moto naturale né di moto violento.” In questo, come in altri brani, Galileo presenta alcune situazioni fisiche in cui non è possibile procedere con sicurezza alla classificazione aristotelica dei movimenti in naturali o violenti (probabilmente la sfera cui si riferisce è la Terra secondo un’ipotesi cosmologica che riprende il sistema di Eraclide di Ponto). E ancora, mentre gli aristotelici classificavano alcuni moti come misti, al capitolo XVI del De Motu, Galileo afferma che non esiste moto “misto”, cioè che partecipi sia del naturale che del violento, ma piuttosto alcuni moti sono da classificare “neutri”: non si avvicinano né si allontanano dal centro.

Il brano seguente, in cui Galileo si occupa del moto su un piano orizzontale, è stato letto nel laboratorio di Fisica: “Si deve supporre che il piano sia in qualche modo incorporeo o per lo meno levigato con grande precisione e perfettamente duro e che, mentre il mobile grava sul piano, questo non si inclini né stia immobile in esso come in una fossa. E’ necessario anche che il mobile sia perfettamente levigato e di figura tale da non resistere al moto, quale è quella perfettamente sferica e della materia più dura, o fluida come acqua. Se tutto sarà disposto in questo modo, un corpo su un piano equidistante dall’orizzonte verrà mosso dovunque da una piccolissima forza, anzi, da una forza minore di ogni altra forza.” In questa descrizione abbiamo potuto già cogliere l’importanza dell’esperimento mentale, l’esperimento solo immaginato, che poi abbiamo ritrovato con tanta frequenza come espediente pedagogico nel Dialogo. Le condizioni ideali della situazione descritta sono emerse dall’analisi dei termini: gli studenti hanno notato l’uso ripetuto dell’avverbio perfettamente, per le caratteristiche del piano e la forma dell’oggetto, del superlativo piccolissima per la forza, dell’espressione equidistante dall’orizzonte e dell’aggettivo incorporeo per il piano. Si è voluto sottolineare come Galileo non si riferisca a un esperimento effettivamente svolto, e tuttavia concluda indicando con sicurezza il risultato. Noi, comunque, abbiamo voluto seguire le indicazioni del testo e fare la prova suggerita da Galileo: abbiamo effettivamente messo in moto con un soffio un carrello su una rotaia priva d’attrito e abbiamo visto la sequenza di un film didattico in cui un disco a ghiaccio secco viene messo in  movimento nello stesso modo (M16). Gli studenti sono stati così condotti a condividere, a fare propria con convinzione l’opinione galileiana secondo cui non si può classificare violento un movimento ottenibile con una forza piccola a piacere; la convinzione è nata da un’esperienza didattica articolata, di cui gli studenti sono stati protagonisti sia nella fase dell’analisi del testo sia in quella delle prove di laboratorio.

Un ulteriore approfondimento è venuto proseguendo nella lettura del De Motu; in esso Galileo ci avverte: “E le cose che abbiamo dimostrato, come sopra abbiamo detto, sono da intendersi immuni da ogni resistenza esterna. Ma poiché è forse impossibile trovare (tali corpi) nella materia, non ci si meravigli se, facendo l’esperimento su queste cose, l’esperienza delude, e una grande sfera, anche se su un piano orizzontale, non può essere mossa da una forza minima.” Dunque troviamo nel modo di procedere di Galileo un approccio nuovo alle cose della natura; citando Koyré “la necessità di sostituire la realtà empirica con il mondo matematico, platonico, archimedeo e l’impossibilità di questa sostituzione totale per il bisogno di spiegare i fatti.” Infatti, leggendo ancora Galileo: “Il piano non può essere veramente equidistante dall’orizzonte. La superficie della Terra infatti è sferica e un piano non può essere equidistante da essa. Perciò, poiché il piano è congiunto alla sfera soltanto in un punto, se si recede da tale punto, necessariamente si sale.”

Questa fase dedicata ai brani del De Motu ci ha portato, in sintesi, al superamento della classificazione aristotelica dei moti in naturali e violenti: Galileo, abbiamo visto, ha introdotto l’aggettivo “neutro”; più avanti si parlerà di  indifferenza dei corpi al moto, un’idea fondamentale, è evidente, verso l’enunciazione del Principio d’Inerzia Il delinearsi di questa nuova concezione del movimento s’intreccia con l’affermarsi dell’ipotesi copernicana; in effetti, l’interesse di Galileo per le questioni astronomiche nasce quando egli comprende che il moto terrestre è possibile da un punto di vista fisico. Alle scoperte astronomiche di Galileo, che sono una tappa di grande rilevanza nella sua vicenda umana e scientifica, ci siamo accostati sia attraverso la lettura di testi (M17), sia attraverso immagini e documenti reperibili su siti internet (M18). L’approfondimento di questa tematica, tra l’alto, ha avuto come obiettivo il superamento di un punto di vista banalizzante piuttosto diffuso, quello secondo cui Galileo con il cannocchiale ha scoperto che la Terra si muove, ha dimostrato la validità dell’ipotesi copernicana; si è cercato di far comprendere quanto più complessa sia stata la vicenda rispetto a queste semplificazioni, precisando come non vi sia mai, in questa come in altre occasioni, un’incompatibilità assoluta tra dati sperimentali e una determinata teoria, tale da indurre tutti i suoi sostenitori ad abbandonarla. E ancora, si è voluto, esaminando le pagine in cui Galileo ha riportato le sue osservazioni al cannocchiale, far cogliere anche la passione con cui lo scienziato pisano si è dedicato a queste ricerche, l’emozione con cui ha aspettato, sera dopo sera, le condizioni più favorevoli per le sue osservazioni.

Il passo successivo del nostro percorso è stato la lettura di alcuni brani dal Dialogo; in essi Galileo ripercorre tutti i principali argomenti fisici contro il moto della Terra, addotti dai tolemaici, e ne sviluppa la critica. Queste letture sono state introdotte da un nuovo intervento della docente di lettere dedicato agli aspetti più specificamente linguistici, alle sue scelte letterarie innovatrici. L’adozione della lingua volgare, anche per gli argomenti teorici che erano solitamente trattati in latino, era dovuta non ad ignoranza (le altre sue opere erano state scritte in latino), ma alla precisa volontà di rivolgersi ad un pubblico nuovo, più vasto, in un’epoca in cui nelle università si continuava a parlare latino. Altro elemento di innovazione, la definizione di quella terminologia tecnico-scientifica che, nel volgare, ancora mancava. “A questo scopo non si seguì il procedimento di coniare vocaboli dotti, derivati dal latino o dal greco, ma si fece ricorso a termini della lingua non specialistica […]; parole di uso comune, introdotte in nuovi contesti, finirono così per acquistare un valore tecnico” (Ceserani  De Federicis, 1992, pag 293). Le parole hanno dunque una funzione diversa da quella che veniva loro attribuita nella scienza aristotelica; i nomi di cui ci serviamo per designare i fenomeni possono essere scelti a piacer nostro, in modo convenzionale perché, per dirla con le parole stesse di Galileo, prima furon le cose e poi i nomi (M19).

Nei brani del Dialogo letti insieme agli studenti, o assegnati come lettura personale e poi discussi collettivamente, Galileo presenta molti argomenti che venivano utilizzati contro l’ipotesi copernicana e li fa dibattere con vivacità dai tre interlocutori.

Prima di tutto si sono presentati questi argomenti attraverso l’esposizione che ne fa Tycho Brahe, che fu certamente un grande innovatore in astronomia ma che in fisica resta un aristotelico: “Se certuni credono che una palla che si lancia in alto dal ponte di una nave in navigazione, ricada nello stesso punto in cui sarebbe caduta se la nave fosse stata ferma, si sbagliano di grosso. Infatti, quanto più veloce sarà l’avanzamento della nave, tanto più indietro rimarrà la palla.” E lo stesso argomento viene presentato in una versione modernizzata facendo uso del cannone, invenzione recente ai tempi di Tycho: “Ora, che cosa avverrebbe, io ti chiedo, se da un grande cannone si sparasse una palla verso l’Oriente … e poi dallo stesso cannone, e dallo stesso luogo, se ne sparasse un’altra … verso l’Occidente? E’ possibile credere che ambedue … percorrerebbero sulla terra degli spazi eguali?” La risposta di Brahe è un no deciso, il proiettile lanciato verso Oriente arriva meno lontano perché la terra con il suo movimento gli viene incontro. E’ stata molto importante l’analisi del punto di vista di Brahe; egli infatti afferma anche che il movimento estremamente violento impresso dal cannone alla palla “costituisce un ostacolo per l’altro”, cioè quello naturale della palla, corpo pesante, verso il basso (M20), un movimento, cioè, sopprime l’altro. Galileo si occuperà molto a lungo nel Dialogo di queste situazioni; si sono letti e discussi con gli studenti molti brani dalla giornata seconda. In essi Galileo espone con precisione  e ricchezza di particolari gli argomenti aristotelici (M21), poi passa alla critica; la lettura del Dialogo, inizialmente un po’ faticosa, è alla lunga risultata gratificante per gli studenti. Nella sezione scelta (M22) Simplicio si dice sicuro che una pietra lasciata cadere dalla cima dell’albero di una nave in movimento cada restando indietro rispetto alla nave, ma Galileo gli fa ammettere di non aver mai fatto l’esperienza ed è convinto che “quegli autori che la producono .. la portino senza averla fatta”  perché chiunque l’avesse eseguita avrebbe trovato “il contrario di quello che vien scritto”. Ci si è soffermati molto su questo passaggio perché qui Galileo conclude anche che dal modo di cadere della pietra, ai piedi dell’albero, non si può dedurre che la nave sia in moto o ferma; e allo stesso modo dal fatto che i gravi cadano perpendicolarmente al suolo non si può evincere che la Terra sia o meno in movimento, che è poi un’affermazione del Principio di Relatività; principio che abbiamo ritrovato espresso nel celebre brano in cui Galileo, ampliando con molti esempi un’opinione che abbiamo già ascoltato, suggerisce ai suoi interlocutori: “Rinserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che vi sia sotto coverta di alcun gran navilio…”; di nuovo Galileo ci indica condizioni ideali, di nuovo troviamo l’espediente dell’esperimento pensato. Il testo è stato letto con molta attenzione; gli studenti, nella fase di verifica, hanno mostrato di averne ben compreso il contenuto e di aver colto le connessioni tra questi argomenti e la disputa cosmologica.

Questa fase di lettura di testi è stata resa più vivace con l’ausilio di immagini e sequenze opportunamente scelte da alcuni film, didattici e non (M23); così pure la lettura del famoso brano del Dialogo in cui Galileosuggerisce di fare esperimenti mettendosi sotto coperta di un gran naviglio, è stato accompagnato, ad esempio, da immagini girate all’interno di un aereo. Si è chiesto agli studenti ‘Da quello che avete potuto osservare si può capire se l’aereo fosse in volo oppure fermo all’aeroporto?’, portandoli ad esprimere conclusioni coerenti con il Principio di Relatività. Le immagini, di fatto, sono servite solo a evocare con più facilità esperienze effettivamente svolte, in modo inconsapevole, dagli studenti.

Questa fase impegnativa del nostro percorso ci ha portato, in sintesi, a una nuova concezione del movimento; esso non è una qualità dei corpi, che sono indifferenti al moto o alla quiete; e ancora attraverso il testo del Dialogo abbiamo ascoltato l’opinione secondo cui non si debba distinguere tra i movimenti celesti e quelli terrestri, così come tra la natura dei corpi celesti e quella dei corpi terrestri (M24); è la distruzione della cosmologia aristotelica, ben espressa dalle parole di Simplicio: “Questo modo di filosofare tende alla sovversion di tutta la filosofia naturale, ed al disordinare e mettere in conquasso il cielo e la terra e tutto l’universo”. E’ in questo nuovo universo, che si è dilatato e non ha più un centro assoluto, e grazie a questo modo nuovo di pensare il movimento, che diventa possibile concepire un moto rettilineo uniforme, arrivando dunque all’enunciazione del Principio d’Inerzia.

In questa sezione sono state anche fornite notizie sulle questioni relative alla pubblicazione del Dialogo; abbiamo così seguito la vicenda umana di Galileo con il processo davanti al Tribunale dell’Inquisizione, l’abiura, la condanna al domicilio coatto (M25).

5.      Galileo descrive matematicamente il moto dei proiettili

Le considerazioni svolte fino a questo punto ci hanno fatto comprendere come Galileo abbia  concepito il movimento in modo del tutto nuovo; si è insistito molto ancora sulle conclusioni cui si era giunti nella sezione precedente, chiedendo agli studenti, in diverse occasioni di verifica, di esplicitarle: non esiste più un centro dell’universo (e non ha senso chiedersi che cosa sia la gravità, “non mi par opportuno entrar nell’investigazione delle cause dell’accelerazione”); i corpi sono indifferenti al movimento, non gli si fa mai violenza; l’essere in moto o l’essere fermo non sono più caratteristiche primarie di un oggetto; il movimento in avanti e quello verso il basso, ad esempio in un oggetto lanciato, non si ostacolano. E’ bene precisare che il percorso svolto per arrivare a queste conclusioni è ben diverso da ciò che è proposto dai manuali scientifici; questi procedono come se le menti dei nostri studenti fossero dei vasi vuoti in cui riversare la conoscenza scientifica, non tenendo in nessun conto del fatto che essi possiedono invece, in modo quasi del tutto inconsapevole, delle rappresentazioni strutturate della realtà. Come abbiamo visto il percorso svolto ha invece consentito di esplicitare, ad esempio attraverso le opinioni di Tycho Brahe, questo modo ingenuo di interpretare i fenomeni, di coglierne la ragioni all’interno di  un certo sistema di pensiero, di operarne la critica approdando a un modo nuovo di guardare agli stessi fatti.

In quest’ultima sezione ci si è occupati di come Galileo non si sia limitato alla descrizione, potremmo dire, qualitativa del movimento; e per questo, abbandonato il Dialogo, si sono letti alcuni brani dai Discorsi per comprendere le caratteristiche, i metodi, il linguaggio della nuova Fisica.

Ci siamo dunque chiesti: ‘Se i corpi sono indifferenti al moto, come si muove un oggetto animato da più movimenti?’ Il movimento non solo è concepito in modo nuovo, ma, vedremo, è anche nuovo il linguaggio utilizzato per descriverlo; la risposta al come della domanda precedente è scritta nel linguaggio della matematica.

Si è scelto, come primo approccio alla questione, di seguire il suggerimento di Galileo per visualizzare la traiettoria di un oggetto animato da più movimenti: “Io ho una palla di bronzo esquisitamente rotonda, non più grande d’una noce; questa tirata sopra uno specchio di metallo, non eretto all’orizzonte ma alquanto inclinato, sì che la palla nel moto vi possa camminar sopra calcandolo leggiermente nel muoversi, lascia una linea parabolica sottilisimamente e pulitissimamente descritta, e più larga e più stretta secondo che la proiezione si sarà più o meno elevata. Dove anco abbiamo chiara e sensata esperienza il moto dei proietti farsi per linee paraboliche.” (M26). Con qualche piccola variante rispetto a queste indicazioni (M27), abbiamo ripetuto la prova molte volte coinvolgendo il maggior numero possibile di studenti. Alla domanda “Di che curva si tratta?” gli studenti hanno risposto senza incertezze trattarsi di una parabola, curva cha avevano imparato a conoscere dal biennio come particolare luogo geometrico e di cui conoscono l’equazione generale; tuttavia l’insegnante ha cercato di sollecitare risposte più precise e osservazioni più accurate. Qualcuno ha notato che tutte le curve ottenute risultavano di fatto asimmetriche, alcune in modo più marcato, altre meno; l’attrito con il piano, che fa rallentare la sferetta, è stato riconosciuto come la causa dell’asimmetria. Si è  voluto allora eseguire la prova con un tavolo privo d’attrito, disponibile in laboratorio, rivestito di una carta speciale su cui è possibile far muovere un corpo cilindrico che lascia una traccia mediante piccole scariche elettriche (M28); anche stavolta abbiamo eseguito diversi lanci. Nel commentare i nuovi risultati ottenuti si è posta la domanda “Come possiamo essere sicuri che si tratta davvero di traiettorie paraboliche?” e qui le risposte sono state meno sicure. Si è scelto dunque di cercare la risposta nella Giornata quarta dei Discorsi (M29); Galileo ha già trattato nella Giornata terza del moto naturalmente accelerato e l’obiettivo è adesso quello di studiare un “moto composto di un duplice movimento, cioè di un movimento equabile e di uno naturalmente accelerato”, appunto il moto dei proiettili. La lettura di queste pagine è stata condotta insieme all’insegnante di matematica; per prima cosa Galileo spiega come ottenere un simile movimento: “Immagino di avere un mobile lanciato su un piano orizzontale, rimosso ogni impedimento: già sappiamo, per quello che abbiamo detto più diffusamente altrove, che il suo moto si svolgerà equabile e perpetuo sul medesimo piano, qualora questo si estenda all’infinito; se invece intendiamo questo piano limitato e posto in alto, il mobile che immagino dotato di gravità, giunto all’estremo del piano e continuando la sua corsa, aggiungerà al precedente movimento equabile e indelebile quella propensione all’ingiù dovuta alla sua propria gravità: ne nasce un moto composto di un moto orizzontale equabile e di un moto deorsum naturalmente accelerato (…).” Nel commentare questo brano gli studenti vi hanno ravvisato un’enunciazione del Principio d’Inerzia; in particolare si è sottolineato l’aggettivo indelebile che esprime in modo particolarmente efficace la nuova concezione del movimento sviluppata nella sezione precedente. Segue subito la Proposizione I in cui si afferma che il “proietto (…) descrive nel suo movimento una traiettoria semiparabolica”. Qui Galileo non procede immediatamente alla dimostrazione di tale proposizione; in risposta alle richieste dei due personaggi Simplicio e Sagredo, che si dichiarano poco preparati su questa e altre sezioni coniche di Apollonio (“non mi son tanto inoltrato nella geometria”), egli presenta “due passioni principalissime di essa parabola”.

Per prima cosa, dato un cono retto, egli mostra come nasca la sezione detta parabola; qui non ci siamo voluti limitare al disegno di Galileo e per visualizzare meglio come si ottiene la curva in questione abbiamo mostrato alcuni modelli in legno. Si trattava, appunto, di coni di legno sezionati con piani di diversa inclinazione; così si è compreso che si possono ottenere diverse curve a seconda dell’inclinazione del piano rispetto all’asse del cono e tra tutte la parabola è stata riconosciuta dagli studenti come un caso molto particolare (e nell’uguaglianza tra le due inclinazioni, del piano e della generatrice, si è anche rintracciata l’origine del termine parabola). Si è anche voluto far riconoscere la presenza di tali sezioni nella realtà che ci circonda, in situazioni tratte dal quotidiano; così, seguendo le indicazioni di didattica della matematica di Emma Castelnuovo, si è utilizzato un fascio di luce, un cono appunto, proiettandolo su una parete in una stanza buia. Dapprima si è ottenuto un cerchio, poi un’ellisse e, inclinando ulteriormente l’asse del cono, la sezione sul muro è diventata una parabola. Sono emerse diverse osservazioni da parte degli studenti, che sono stati incoraggiati a ripetere a casa queste prove.

Tornando al testo dei Discorsi ci siamo cimentati con la dimostrazione di una delle passioni della parabola: si è trovato che la relazione quadratica, che gli studenti avevano ottenuto dalla definizione di parabola come luogo geometrico, è valida anche per la parabola definita come sezione conica. La dimostrazione è stata impegnativa, soprattutto è stato necessario soffermarsi sulla differenza di linguaggio, il diverso utilizzo dei simboli; l’insegnante di matematica ha condotto insieme agli studenti una vera e propria traduzione dal testo di Galileo al linguaggio della geometria analitica a loro ben familiare.

Come già anticipato, gli studenti conoscevano già la legge secondo cui nella caduta libera “gli spazi percorsi da un grave (…) sono in duplicata proporzione dei tempi”, esiste cioè una relazione quadratica; l’ultima fatica sul testo è stata dunque la lettura in cui si dimostra che la composizione di un moto equabile orizzontale e di uno naturalmente accelerato dà luogo a una traiettoria parabolica (si è fatto osservare come questa operazione di composizione di movimenti fosse riconducibile alla tecnica astronomica di costruzione della traiettoria dei pianeti mediante la combinazione epiciclo su deferente). Ottenuta la dimostrazione si è deciso di accogliere la proposta che già in precedenza alcuni studenti avevano avanzato: controllare se le curve che avevamo ottenuto in laboratorio fossero realmente parabole; tale attività è stata assegnata come lavoro a casa e la discussione delle verifiche svolte dai ragazzi è stata l’occasione per sviluppare considerazioni sull’aderenza del modello matematico alla realtà. Riprendendo ancora la lettura del testo dei Discorsi abbiamo ascoltato Salviati rispondere alle critiche dei suoi interlocutori e parlare della necessità di astrarre da tutti gli impedimenti della realtà fisica stessa (M30). Sagredo e Simplicio obiettano che la traiettoria che realmente il proiettile andrà a percorrere non sarà una parabola per diversi motivi: la verticale, che dovrebbe individuare l’asse della conica, cambia continuamente orientamento durante il moto; il piano su cui il proiettile si muove prima di cadere non è veramente orizzontale (argomento già discusso anche con gli studenti); l’impedimento del mezo fa sì che il moto trasversale non sia equabile e quello di caduta non segua veramente la regola nota. Salviati, che ormai abbiamo imparato a conoscere come colui che esprime l’opinione di Galileo, ammette la validità di tutte queste osservazioni e concede che “le conclusioni così in astratto dimostrate si alterino in concreto”; ma aggiunge anche, per le prime due obiezioni, che si tratta di minuzie. Nel discutere, più avanti, dell’attrito dell’aria, ammette di non saperne dare una descrizione matematica ma afferma anche la necessità di “astrar da essi, e ritrovate e dimostrate le conclusioni astratte dagl’impedimenti, servircene nel praticarle, con quelle limitazioni che l’esperienza ci verrà insegnando”. Troviamo qui ribadita la convinzione che la realtà sia scritta nel linguaggio della matematica, la fiducia nella possibilità di utilizzare comunque leggi semplici per la descrizione dei fatti della natura. E proprio nel ruolo fondamentale del linguaggio matematico i nostri studenti hanno potuto riconoscere l’elemento di grande innovazione dell’opera di Galileo, rispetto alla tradizione aristotelica da cui il nostro percorso aveva preso l’avvio.  

CONSIDERAZIONI METODOLOGICHE-DIDATTICHE

La proposta didattica che abbiamo presentato è stata svolta in una terza liceo scientifico, all’inizio dell’anno scolastico; questa collocazione è coerente con la propedeuticità che essa offre allo studio della Fisica classica. Trattandosi di un corso P.N.I. gli studenti avevano già frequentato per due anni un corso di Fisica, erano già stati introdotti i concetti di velocità e accelerazione, era nota la legge della caduta libera. Ciò non è stato tuttavia di particolare rilevanza ai fini dello svolgimento del percorso stesso; anzi esso acquisterebbe pienezza di senso proprio includendovi, certamente con tempi completamente diversi rispetto a quelli di seguito indicati, lo studio del moto di caduta libera e la costruzione del concetto di accelerazione.

Nel ricostruire l’evolversi della concezione del movimento abbiamo trascurato completamente, per limiti di tempo, la trasformazione della tradizione aristotelica ad opera degli studiosi medievali; ci stiamo riferendo alla teoria dell’impetus, riconducibile a studiosi quali N. D’Oresme e G. Buridano; questi autori erano ben noti a Galileo, i loro scritti hanno contribuito a formare quella convinzione antiaristotelica espressa, come abbiamo visto, già nel De Motu.

La scelta di testi e immagini ha cercato di essere la più adatta al fine di costruire insieme agli studenti i concetti più rilevanti del nostro percorso; come si è visto si è fatto uso del laboratorio di Fisica, così come di sequenze di film, ma soprattutto si è inteso costruire un clima laboratoriale, anche quando i nostri strumenti d’indagine sono stati i testi  scritti. L’approccio narrativo, l’ottica della trasversalità e della complessità, che si sono volute tenere presenti nel cercare di offrire un punto di vista del tutto nuovo sul tema del movimento, completamente alternativo a quello del manuale, non si realizzano nel modo tradizionale del fare scuola: lezione frontale, appunti, studiare da pagina x a pagina y. E tuttavia si è dovuto constatare che è molto difficile andare ad intaccare questo modello; in parte perché l’aula scolastica ha una sua rigidità che predispone a un certo modo di fare scuola, in parte perché gli stessi studenti hanno un atteggiamento passivo molto radicato, costruito attraverso tanti anni di una certa pratica scolastica.

Crediamo che, anche con queste difficoltà, il nostro percorso sia stato, in una certa misura, un’esperienza coinvolgente per i nostri studenti, un’occasione per sentirsi “dentro” una storia.

VERIFICHE

La verifica si è svolta prevalentemente attraverso questionari scritti, ma anche sulla base delle risposte e degli interventi contestuali alla costruzione del percorso; si deve inoltre precisare che la verifica sui concetti introdotti è proseguita, implicitamente ed esplicitamente, nella trattazione dei temi successivi (in particolar modo le leggi della dinamica e la gravitazione universale).

Testo della prima verifica scritta:

–          Spiega brevemente di che cosa si occupa l’astronomia e di che cosa la cosmologia.

–          Spiega in che cosa consiste il modello di universo a due sfere e come si muove in  esso il Sole.

–          Da quali argomentazioni Aristotele deriva la sfericità, l’immobilità e la centralità della Terra? Descrivi brevemente la struttura del cosmo aristotelico.  Per quale motivo si parla di cosmologia aristotelico-medievale?

–          Da dove deriva la distinzione aristotelica tra moti naturali e moti violenti?

–          Fin dal IV sec a. C., “il problema dei pianeti” è stato il problema fondamentale dell’astronomia. Che cosa significa la parola pianeta? Come fu spiegato il moto dei pianeti nell’astronomia tolemaica?

–          Esponi gli “assiomi” dell’astronomia copernicana. Per quale motivo il sistema copernicano risultò non meno complicato, da un punto di vista geometrico, di quello tolemaico? Come si spiega il movimento dei pianeti superiori nell’astronomia copernicana?

–          Spiega perché l’aver posto la Terra su un’orbita intono al Sole mette in crisi la fisica (leggi del movimento) e la cosmologia aristoteliche.

–          Esponi gli esempi portati da Galileo nel De motu  per criticare la distinzione aristotelica tra moti naturali e moti violenti. Quale aggettivo introduce Galileo per alcuni movimenti?

–          Per ciascuno degli studiosi delle domande precedenti precisa il luogo e il tempo in cui è vissuto.

Testo della seconda verifica scritta:

–          Traccia un breve e schematico profilo biografico di Galileo.

Quali sono i titoli e gli anni di pubblicazione delle due opere più celebri di Galileo? Quale forma letteraria viene in esse utilizzata? Perché la scelta del volgare? Chi rappresentano i personaggi che intervengono nelle due opere? L’ultima di queste due opere, in ordine di pubblicazione, fu stampata non in Italia bensì a Leida, una città dell’Olanda; perché?

–          Che cosa significa (in senso allargato) e da dove deriva l’espressione mettere all’indice?

–          Come era interpretata nell’astronomia tolemaica la comparsa di comete o di stelle novae ?

–          Quali furono le scoperte astronomiche ottenute da Galileo con il cannocchiale? Qual è il titolo dell’opera in cui Galileo descrive le sue scoperte astronomiche? Che cosa significa? Per due di queste scoperte spiega perché danno credito all’ipotesi copernicana.

–          “Rinserratevi con qualche amico…”  è l’inizio di uno dei brani più celebri di Galileo; descrivi alcuni degli esempi che Galileo usa per enunciare il principio di Relatività. Perché queste argomentazioni sono di grande importanza per la disputa cosmologica?

–          Definisci la parabola come particolare sezione conica; in che modo, utilizzando un cono di luce, si possono “disegnare” le diverse sezioni coniche?

–          Quale proprietà della parabola viene dimostrata da Galileo  nei Discorsi? Sapresti ripetere qui tale dimostrazione?

–          La tecnica di composizione di movimenti era ampiamente utilizzata in astronomia; quale esempio importante conosci?

–          Quali obiezioni vengono mosse a Salviati contro l’affermazione che la traiettoria di un oggetto lanciato da un piano orizzontale sia effettivamente parabolica? Come si difende Salviati?

TEMPI DI SVOLGIMENTO

Il percorso si svolto in un arco di tempo di 6-7 settimane (ottobre-novembre 2003); le ore impiegate in totale sono state 25 (di cui 19 di Fisica, 4 di Lettere e 2 di Matematica) più le ore necessarie per le verifiche scritte. In dettaglio:

–          La spiegazione del movimento nella cosmologia aristotelica: 5 ore, di cui 1 in compresenza con il docente di Lettere;

–          Il  problema dei pianeti, la soluzione degli antichi:3 ore;

–          L’ipotesi copernicana conduce alla necessità di una nuova Fisica: 3 ore, di cui 1 in compresenza con l’insegnante di Lettere;

–          Galileo sviluppa una nuova concezione del movimento: 9 ore, di cui 2 in compresenza con l’insegnante di Lettere;

–          Galileo descrive matematicamente il moto dei proiettili: 5 ore, di cui 2 in compresenza con l’insegnante di Matematica.

 ELENCO MATERIALI e SUSSIDI DIDATTICI

M1          Sito internet https://www.cd-astro.org/CD/CD_TESTI/SFERA.HTM per le prove della sfericità della Terra

M2          Sito internet https://www.vialattea.net/eratostene/ per la misura del raggio terrestre; da qui è anche tratta la figura riportata nel testo;

M3          Nell’edizione citata nella bibliografia il brano in questione è a pag 109-110

M4          Sito internet www.imss.fi.it; all’epoca in cui il percorso è stato svolto era possibile effettuare la visita virtuale alla sala di Galileo ottenendo immagini e notizie biografiche, oltre che su Galileo e la sua opera, anche su Aristotele, Tolomeo, Copernico. Attualmente il sito del museo è stato modificato.

M5          Nell’edizione citata nella bibliografia il brano in questione è a pag 119-121

M6          Nel testo P.P.C. citato nella bibliografia si tratta del primo paragrafo del capitolo 3, dedicato al problema della caduta libera.

M7          Nell’impossibilità di osservare davvero stelle circumpolari, culminazioni e altri eventi similari, si sono utilizzati i disegni presenti nel testo di Kuhn, alle pagg 22, 25, 26 e 41 e il materiale presentato nel primo capitolo del testo P.P.C. (dedicato all’astronomia come alba della scienza); si è analizzata con particolare attenzione la fotografia della zona di cielo intorno alla Polare, alla pag 1-6, ottenuta con un tempo di esposizione opportunamente lungo. In essa il moto delle stelle circumpolari ha tracciato archi di circonferenza aventi tutti lo stesso angolo al centro, centro che è ovviamente la stella Polare. Dalla misura di tali angoli gli studenti hanno potuto ricavare la durata dell’esposizione, tenendo conto che la rotazione completa della sfera celeste (360°) avviene in 24 ore.

M8          Le immagini utilizzate sono ancora tratte dal primo capitolo del testo P.P.C. alla pag 1-11

M9          Tutta questa parte sul moto annuale del Sole e sui moti dei pianeti avrebbe certamente tratto grande vantaggio dall’utilizzo di un planetario che in questo percorso è mancato; certamente l’insegnante, per mancanza di esperienza didattica, non aveva saputo prevedere le difficoltà che poi si sono presentate nella descrizione degli aspetti astronomici.

M10        La tecnica dell’epiciclo su deferente è stata presentata utilizzando un disegno tratto dall’antologia di P. Rossi citata nella bibliografia, alla pag 135.

M11        La costruzione è stata svolta seguendo le indicazioni fornite nel testo P.P.C. alle pagg 1-38 e 1-39 (esercizio n.14); è attualmente disponibile sul sito dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza una descrizione della tecnica degli epicicli accompagnata da animazione (vedere sul sito nell’elenco delle animazioni)

M12        Il brano è stato tratto dal testo di Kuhn già ampiamente utilizzato, dove si tova alla pag 111.

M13        I sette assiomi sono tratti dal libro di P. Rossi, già citato, alla pag 143.

M14        Nel testo di Kuhn, alla pag 213, troviamo entrambe queste costruzioni, che sono state mostrate agli studenti prima che essi stessi le riproducessero

M15        I brani sono stati tratti da “Studi galileiani” di Koyré, alle pagg 67, 68, 70, e da “”Galileo. Una biografia scientifica” di Drake, alle pag 52-57, entrambi citati nella bibliografia.

M16        Si tratta del film “Inerzia e moto” della ESSO ITALIANA, di corredo al corso di Fisica del PSSC

M17        Si è utilizzato di nuovo il testo P.P.C., capitolo terzo, paragrafi 11, 12, 13

M18        L’elenco di indirizzi internet qui riportato è puramente indicativo; si possono certamente trovare numerosi altri riferimenti mediante ricerche sulla rete:

         sui satelliti di Giove:          https://albinoni.brera.unimi.it/CAELUM/SISTSOL/img/jupiter1.jpg

https://www.cd-astro.org/CD/CD_TESTI/SAT_GAL.HTM

sulle fasi di Venere              sito IMSS e https://www.corriere.it/speciali/stelle/venere.shtml

foto della Luna                    https://mercury.nineplanets.org:8011/astro/luna.jpg

anelli di Saturno                  www.nautilaus.com/osservatorio/foto/saturno.jpg

su tutti gli argomenti          https://www.pd.astro.it/MOSTRA/NEW/A1002OSS.HTM

M19        Per questa parte si è fatto riferimento al testo di Ceserani e De Federicis, alle pag 293-295, inserito nella bibliografia

M20        I brani citati e l’argomento sviluppato si trovano in “Studi galileiani” di Koyré alle pagg 184-187

M21        Nell’edizione delle OPERE galileiane citata nella bibliografia questo brano si trova alle pagg 164 e 165

M22        Nell’edizione delle OPERE galileiane citata nella bibliografia la selezione di brani scelta si trova tra la pag 185 e la pag 200

M23        Alcune sequenze sono state tratte dal film “Sistemi di riferimento” della ESSO ITALIANA, di corredo al corso di Fisica del PSSC; altre dai film di Wim Wenders “Così vicino così lontano” (una bambina cade da un grattacielo ed è raccolta da un angelo) e “Il cielo sopra Berlino” ( gli angeli si aggirano tra i viaggiatori su un aereo)

M24        Nell’edizione delle OPERE galileiane citata nella bibliografia i brani letti sono alle pagg 56 -58 e alle pagg 82 – 83

M25        Anche qui si è fatto uso di immagini e testi reperibili sul sito dell’IMSS

M26        Il brano è tratto dalla Giornata seconda dei Discorsi; nell’edizione delle OPERE galileiane citata nella bibliografia si trova alla pag 717.

M27        Il piano era cosparso di polvere di carbone e la sferetta era d’acciaio; sul piano veniva fissato un foglio di carta bianco.

M28        Si trattava di un piano a cuscino d’aria della ditta Leybold.

M29        I brani letti si trovano alle pagg 769 – 776 nell’edizione delle OPERE galileiane citata nella bibliografia.

M30        I brani letti si trovano alle pagg 776 – 782 nell’edizione delle OPERE galileiane citata nella bibliografia

BIBLIOGRAFIA

–          J. Bruner “La cultura dell’educazione”, Feltrinelli, 1997

–          G. Holton “La lezione di Einstein”, Feltrinelli,1997

–          G. Galilei  OPERE , vol II a cura di Franz Brunetti, UTET ,  Seconda edizione 1980

–          T. Kuhn “La rivoluzione copernicana”, Einaudi 1972

–          P. Rossi “La rivoluzione scientifica da Copernico a Newton”,  Loescher, 1984

–          E. Bellone “I grandi della scienza – Galileo, le opere e i giorni di una mente inquieta” LE SCIENZE, 1998.

–          A. Koyré “Studi galileiani” , Einaudi, 1976

–          S. Drake “Galileo. Una biografia scientifica”, Il Mulino, 1988

–          A cura di L. Geymonat “Storia del pensiero scientifico e filosofico” vol II, Garzanti, 1970

–          A. Koyré “Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione”, Einaudi, 1967

–          E. Castelnuovo “Didattica della matematica” La Nuova Italia, 1963

–          C. Seife “Zero – La storia di un’idea pericolosa”, Bollati Boringhieri, 2002

–          “PPC Progetto Fisica” vol A Zanichelli, 1986

–          Harold Acton “Gli ultimi Medici”, Einaudi, 1962

–          M. L. Altieri Biagi “Galileo e la terminologia tecnico scientifica”, Olschki, 1965

–          S. Drake “Galileo” , Il Mulino, 1998

–          R. Ceserani L. De Federicis “Il materiale e l’immaginario”, vol III, Loescher , 1992

–          Giulio Ferroni “Storia della Letteratura italiana”, vol II, Einaudi, 1991