Didattica della chimica e della fisica – 2

Leonardo Barsantini

La formazione dei concetti scientifici

            Alcuni studi mostrano chiaramente quanto difficile sia ragionare correttamente e quanto al contrario sia facile imboccare scorciatoie o “tunnel della mente” che conducono a conclusioni errate. Siamo portati a esprimere giudizi di tipo intuitivo, immediato, che non trovano poi riscontro nei fatti.

            La scienza dello studente si concentra su aspetti e grandezze che caratterizzano la vita di tutti i giorni è mostra difficoltà nell’utilizzare ragionamenti astratti. L’attenzione è indirizzata su fatti singoli e si accontenta di una visione locale a scapito di una visione più ampia. Non si cerca la generalizzazione nelle spiegazioni, c’è assenza di coerenza e non si eseguono controlli. Inoltre non c’è riflessione sul significato delle parole attribuendovi spesso più significati.

Consideriamo come esempio un semplice circuito composto da un generatore di tensione (una pila) e una resistenza. Se togliamo la resistenza non circola più corrente, e questo lo affermano dopo un po’ di esperienza tutti gli studenti; se però chiediamo quanto vale la resistenza fra i due punti lasciati aperti diventa “intuitivo”, per la quasi totalità degli studenti, affermare che questa vale zero. E’ tipico, per molti studenti, anche degli ultimi anni della scuola superiore, pensare che togliere un “oggetto” equivalga a porlo uguale a zero, ma in un circuito elettrico togliere una resistenza fra due punti equivale a porre una R di valore molto elevato (pari alla resistenza dell’aria fra i due punti del circuito). Un aspetto come questo deve essere affrontato e risolto in modo non superficiale se non vogliamo che dopo qualche mese la risposta fornita sia nuovamente che la resistenza vale zero, anzi può anche accadere che qualcuno prenda sicurezza dall’aver studiato un dato argomento per dare ulteriore conferma ai giudizi errati.

E’ molto difficile produrre il cambiamento e gli studenti devono essere guidati per mezzo di un salto concettuale dalla primitiva intuizione a un nuovo modo di analizzare o di intuire i fenomeni. Di ciò l’insegnante dovrebbe tenere conto perché se è vero che con difficoltà gli studenti possono farsi un giudizio corretto, è altrettanto vero, come osservava Darwin, che un’opinione qualsiasi finiscono per assumerla.

            Restando in ambito elettrico è comune per gli studenti ritenere che, in un circuito composto da un generatore e una resistenza, la corrente che circola “prima” della resistenza è maggiore di quella che circola “dopo”. Ciò accade perché gli studenti non pensano al mondo come a un insieme di oggetti fra loro interrelati, ma tendono a separare gli oggetti concentrando l’attenzione su alcuni e trascurandone altri, e quindi anche il circuito elettrico non è visto come un sistema chiuso.

Quello che gli studenti vedono e pensano spesso non ha niente a che vedere con quello che gli insegnanti si aspettano che gli studenti vedano e pensino: guardare non è vedere. Non basta andare in laboratorio perché tutti gli elementi trovino il loro posto e si mostrino nella loro evidenza.

Galileo distingue fra qualità primarie e qualità secondarie. Una possibile classificazione è la seguente. Qualità primarie sono la grandezza, la disposizione nello spazio, la quantità, il peso, la forma, il moto. Qualità secondarie i colori, gli odori, i sapori, i suoni. Per Galileo la ragione ci fornisce indicazioni sulle qualità primarie, i sensi sulle qualità secondarie e queste sono erronee in quanto hanno “residenza nel corpo sensitivo”. Il discorso è indubbiamente complesso, poiché si potrebbe dire che sono le qualità secondarie a dare corpo alle qualità primarie, e non è il caso di affrontarlo qui, però è forse opportuno fare un breve accenno alle qualità terziarie. Dice Max Wertheimer: <<Il nero è lugubre ancora prima di essere nero>>. Neppure le misure vanno a incidere sulle qualità terziarie che continuano a condizionare l’osservabile. Nella percezione siamo fortemente condizionati da stereotipi: l’acqua è più liquido dell’olio, l’aria è più gas del cloro, il ferro è più solido della sabbia. Seguendo Piattelli Palmarini (1993), sappiamo tutti che un chilo di piombo pesa quanto un chilo di piume, eppure cosa preferiremmo ricevere su un piede da un paio di metri di altezza?

Associamo spontaneamente al concetto di peso una serie di altri concetti quali quelli di sforzo, di solidità, di impatto col corpo, di fatica, di dolore. Il concetto di senso comune di peso, per certi versi più vicino al concetto di peso specifico, non si basa solo sulla misurazione che si può ottenere con la bilancia, ma mescola “sensazioni” ed elaborazioni mentali. Nell’analisi ingenua dei fenomeni il moto di un proiettile sparato da un cannone è visto in modo diverso rispetto a quello di una foglia che cade: si ritorna alla distinzione fra moto naturale e moto violento. Per molti studenti la capacità di produrre una forza è una prerogativa dei soli esseri viventi e non degli oggetti inanimati.

A ben guardare le cose sono più complesse di quanto l’ingenuo metodo sperimentale dei libri di testo voglia far vedere; non ha alcun senso un “induttivismo ingenuo” che ponga in concetti della fisica nelle cose e nei fenomeni, concetti derivabili poi dall’osservazione. Secondo Westfall (1984), Galileo conduceva i suoi esperimenti ideali nell’unico luogo possibile: la sua immaginazione. E i suoi esperimenti servivano soprattutto a convincere gli altri, poiché lui credeva nei suoi risultati senza la necessità di eseguirli.

Nel Dialogo è Simplicio, piuttosto che Salviati, a sostenere il primato dell’osservazione. Al contrario Salviati afferma: <<… né posso a bastanza ammirare l’eminenza dell’ingegno di quelli che l’hanno ricevuta e stimata vera [l’opinione copernicana], ed hanno con la vivacità dell’intelletto loro fatta forza tale a i propri sensi, che abbiano possuto antepor quello che il discorso gli dettava, a quello che le sensate esperienze gli mostravano apertamente in contrasto>>.

            Anche in Keplero giocano un ruolo fondamentale considerazioni relative al numero di pianeti presenti in cielo o speculazioni che riguardano legami fra le armonie musicali e i moti planetari. Keplero vede una corrispondenza fra le tre cose immobili nell’universo: il Sole, le stelle fisse e lo spazio intermedio e la Trinità.

            Con ciò non si vuole affermare che il laboratorio non è importante nell’educazione scientifica, al contrario, forse, pochi insegnanti ne fanno un uso sistematico, quanto piuttosto mettere in evidenza la necessità di non “santificare l’osservazione”.

Nel ‘600 prende avvio il “metodo sperimentale”, cioè l’indagine della natura in condizioni sperimentali definite dall’osservatore. Ma per far ciò l’osservatore deve avere già in mente come vuole procedere, cosa osservare e cosa tralasciare. Anche gli studenti che si avvicinano al laboratorio devono essere posti in queste condizioni, non soltanto dicendo loro cosa fare, ma lavorando in modo che l’osservare diventi familiare. E’ necessario lavorare per imparare a osservare e a descrivere fino dalla scuola dell’infanzia su percorsi didattici specifici: a poco servono gli esperimenti “ricetta”. I concetti sono inventati dagli scienziati per descrivere comportamenti osservati e sono più spesso le teorie a precedere l’osservazione.

Le strutture con cui si interpretano i fenomeni devono essere costruite dalla mente e non dipendono da quante volte ripetiamo l’esperienza se non ci si pone di fronte al “fatto” con spirito critico imparando a distinguere ciò che è essenziale da ciò che non lo è. La realtà non trasmette conoscenza senza un’operazione attiva di interpretazione e ricostruzione. Spiegare non è assolutamente sufficiente per far comprendere. E’ fondamentale, quindi, che il lavoro svolto a scuola non stimoli soltanto la memorizzazione. Il metodo scientifico deve allora essere inteso come sinonimo di atteggiamento critico e non nel senso della generica scansione in osservazione, ipotesi, esperimento e legge.

In una didattica più tradizionale sono messe sullo stesso piano problematiche confrontabili da un punto di vista dell’organizzazione formale della disciplina, ma su piani completamente diversi per quanto riguarda il loro apprendimento. Tradizionalmente si trattano allo stesso modo, dedicandovi lo stesso tempo, le misurazioni di corrente e di tensione, eppure le prime sono enormemente più difficili da apprendere delle seconde perché si deve operare un “taglio” in un punto opportuno del circuito, riconoscere i due estremi e inserire lo strumento. Le misurazioni di tensioni sono, al contrario, molto più semplici perché non si opera sul circuito ma si pongono i terminali dello strumento sul componente prescelto. Non è raro che dopo un anno passato a fare misurazioni di tensione e di corrente molti studenti misurino una corrente allo stesso modo di una tensione.

Il luogo ideale affinché le misconcezioni vengano in superficie è lo sviluppo di percorsi didattici che permettano allo studente di evolvere dalle proprie concezioni verso concezioni più accreditate scientificamente. Spesso, al contrario, ci si limita a presentare delle analogie inadeguate. Ad esempio, una analogia tipica è quella fra la corrente e lo scorrere di un liquido in un condotto. Per molti studenti l’unico liquido cui pensare è l’acqua nelle condutture che diminuisce di portata via via che raggiunge i vari utenti. Questo modello è ovviamente errato perché la corrente circola in un sistema chiuso e quindi non si esaurisce. Sistemi idraulici chiusi, più simili al circuito elettrico, sono spesso altrettanto inadeguati perché si finisce per spiegare il comportamento del sistema elettrico, ricorrendo all’analogia con un sistema idraulico che è altrettanto sconosciuto.

Spesso, proprio per la complessità degli argomenti trattati, gli studenti sono soggetti più che a un “ragionare disordinato” (affermazione tipica presente in molti consigli di classe), a uno “sragionare ordinato” là dove hanno memorizzato o si sono addestrati su conoscenze che non hanno concettualizzato, ma che sanno ridire in  bella forma.

La crescita della conoscenza non va vista in modo cumulativo, ma organico: si conservano alcune parti, magari modificandole parzialmente, se ne sostituiscono altre. Le percezioni che hanno rilevanza sono quindi percezioni concettuali. Nella scuola tanto più si comunica, permettendo una concettualizzazione degli argomenti trattati, tanto meno si informa. I concetti permettono allora di fare delle generalizzazioni, diventano degli strumenti che identificano gli oggetti collocandoli all’interno di un sistema, integrandosi con altri concetti. Uno schema concettuale diventa un modo di organizzare l’esperienza. La didattica tradizionale sembra, al contrario, che intenda uno schema concettuale come un modo statico di organizzare la realtà esterna. Uno schema concettuale, al contrario deve generare nuove classi di possibilità.

Come viene ironicamente riportato da Arons (1992), visti i risultati che si ottengono nell’insegnamento scientifico, forse si dovrebbero concentrare gli sforzi verso la progettazione di corsi molto piacevoli e molto facili da dimenticare. Dice a questo proposito J. K. Jerome (1995): “Per quanto mi riguarda, non capisco una parola di tedesco. L’ho studiato a scuola ma l’ho dimenticato completamente nello spazio di due anni e, da allora, mi sono sentito assai meglio.” L’impressione che si ha, parlando con amici e conoscenti, è che per molti quello che è stato fatto a scuola, e questo vale soprattutto nel campo della matematica e delle scienze, non abbia contribuito ad una vera crescita culturale.

Il metodo

            Nel capitolo relativo alla riflessione sulla disciplina non si è dedicato un paragrafo al metodo. Indubbiamente il discorso sul metodo è molto complesso in un epoca in cui la riflessione ha portato Feyerabend (1979) a pubblicare un libro dal titolo “Contro il metodo”. La questione su cosa sia il metodo scientifico coinvolge una riflessione sulla stessa scienza e sarebbe quindi opportuno non parlare con tanta leggerezza di metodo scientifico dando per scontato cose che scontate non sono. Una riflessione è però necessario farla; una proposta metodologica innovativa del fare scienza a scuola non ha niente a che vedere con il “metodo sperimentale”. Chi afferma che tutto sommato a scuola, lui, il metodo sperimentale lo ha sempre usato, probabilmente sta fraintendendo completamente la necessità di rinnovare la didattica delle discipline scientifiche.

            Confusione deriva anche dalla distinzione fra metodo induttivo, deduttivo e ipotetico – deduttivo, termini questi usati con grande superficialità nel primo capitolo dei libri di testo. Tracciare una semplice distinzione fra i tre ambiti può portare a banalizzazioni ma possiamo tentare dicendo che con deduzione si intende un procedimento che partendo da premesse implica delle conclusioni in modo tale che la verità delle premesse garantisce la verità delle conclusioni. La deduzione fornisce certezza al legame fra premesse e conclusioni ma non dice niente sulla verità di una singola affermazione. L’induzione permette di passare da alcune premesse a una conclusione ritenuta più o meno probabile. Gli scienziati, in modo più raffinato, prendono in considerazione la probabilità, il campione statistico, la precisione sulla previsione. Questo non ha niente a che vedere con le generalizzazioni induttive cui, al contrario, si fa riferimento nella vita di tutti i giorni, e che sono induzioni di tipo popolare che partono da pochi eventi importanti soprattutto emotivamente. Resta aperta la possibilità che la conclusione sia falsa anche partendo da premesse vere. Infine si parla di metodo ipotetico – deduttivo quando un’ipotesi è controllata dalle conseguenze che da questa vengono dedotte. Qui è necessario non fare confusione, non si dimostra, deduttivamente, la verità dell’ipotesi, ma dalle conseguenze dedotte dall’ipotesi si cerca di ricavare materiale, in modo induttivo, che sia a sostegno della verità dell’ipotesi.

            Nello sviluppo della didattica della scienza la conferma ipotetica – deduttiva gioca un ruolo fondamentale. Si tratta di sostituire un modello induttivo all’interno del quale la generalizzazione di osservazioni porta alla costruzione di teorie, con un modello all’interno del quale le ipotesi giocano un ruolo fondamentale. E qui è opportuno fornire un’ulteriore chiarificazione a proposito della “verità nelle scienze”. Anche questo è un concetto complesso e non si vuole certo dare una definizione di verità, quanto piuttosto riflettere su come non dovrebbe essere intesa. E’ fondamentale comprendere che la verità di una ipotesi non può essere riconosciuta dalla corrispondenza con i fatti. Questa osservazione può sembrare paradossale, ma in effetti non lo è perché teoria e osservazione sono strettamente legati. Nel ‘700 gli scienziati vedevano una corrispondenza fra le loro ipotesi e la spiegazione di fatti postulando l’esistenza del flogisto e nell’ 800 dell’etere. Entrambe queste “sostanze” sono  sparite dalla scienza. Ciò accade perché osservazione e teoria, pur essendo diverse, sono in un certo senso anche la stessa cosa e si forniscono un’assistenza reciproca. La corrispondenza con i fatti non è verificabile, ciò che conta è la coerenza di teorie rispetto ad altre teorie e osservazioni. L’oggettività, termine molto abusato nel parlare di scienza, è allora una oggettività interna alla costruzione che si va realizzando e non soltanto una corrispondenza con fatti esterni.

            L’impressione che si ha è che anche quando si accetta che le teorie siano valide in determinati ambiti, si sia portati a inquadrare la scienza sotto parametri non ben identificati che hanno un valore assoluto. Ma anche gli standard di valutazione di certi risultati possono cambiare ed essere abbandonati così come i risultati stessi.

            Il modo tradizionale di concepire la scienza, oltre a non corrispondere all’attività dello scienziato, non permette di operare con profitto nella didattica della scienza. Se lo studio della scienza deve servire per mandare a memoria delle formule o nell’eseguire degli esperimenti ricetta allora non ci sono problemi, ma se ciò che conta è portare gli studenti verso modalità di pensiero più aperte e attente a obbedire a standard di giustificazione coerenti, allora è necessario rivalutare il ruolo delle ipotesi degli studenti, operare affinché si abbia coerenza nella sistemazione di idee all’interno di quadri teorici e coerenza di quadri teorici indipendenti fra loro richiamando e utilizzando quanto appreso in ambiti diversi. Si tratta in definitiva di lavorare in un modo completamente diverso da quello tradizionale.

La metodologia

            Nel paragrafo precedente, che aveva per titolo “Il metodo”, si è cercato di mettere in evidenza la difficoltà insita nel definire un metodo scientifico. Questo termine ricorre molto spesso anche dove ci sono situazioni di insegnamento – apprendimento che si pensa di poter risolvere proponendo il ricorso ad un qualche “metodo” più o meno innovativo. Anche in questo caso è opportuno prendere le distanze da queste impostazioni che, come afferma Dewey (1961), sostanzialmente tendono a sostituire l’attività mentale del singolo con schemi ed espedienti meccanici inevitabilmente destinati a fallire o a fornire qualche risultato soltanto in casi di addestramento specifico. Per non creare confusioni è opportuno parlare di metodologia in senso meno meccanico ma più attento alle strutture cognitive di chi deve apprendere.

            Nell’insegnamento delle scienze si può individuare una discontinuità fra scuola primaria e scuola secondaria. Questa distinzione tiene conto della maturazione psicologica degli studenti, ma in questa scelta è anche presente lo spazio limitato dedicato alle scienze nella scuola primaria (due ore alla settimana). Partendo da qui si può fornire come indicazione di base per la scuola primaria, quella di eliminare dall’insegnamento i concetti elementari della struttura specialistica della disciplina. Se l’osservazione, componente fondamentale della conoscenza, è un’attività di descrizione e giustificazione, allora è da qui che si deve partire con gli alunni più piccoli. Spesso, al contrario, l’osservazione viene intesa come un’attività passiva di fatti già descritti e giustificati.

Ad esempio, un percorso sulle soluzioni per alunni della scuola elementare, partendo dal mescolare sostanze in acqua, permette, attraverso l’osservazione, una descrizione di quanto avviene anche per mezzo di tabelle che indichino cosa accade al solido: galleggia, va a fondo, è sparito, o all’acqua: è limpida, è torbida, è colorata. Si possono poi cercare raggruppamenti fra sostanze che hanno comportamenti comuni per arrivare a una definizione operativa di soluzione, e infine cercare di giustificare quanto visto con ipotesi, sempre formulate dagli studenti, sulla separazione di sostanze quali il sale e lo zucchero in particelle molto piccole e quindi non più visibili. In un percorso di questo tipo l’osservazione gioca un ruolo attivo. Al contrario, la verifica, molto comune, che per la combustione è necessario ossigeno, realizzata per mezzo di una candela coperta da un bicchiere, oltre a non inquadrarsi in un percorso, fa un uso distorto dell’esperimento scientifico, perché contrabbanda un’osservazione impossibile, quella dell’ossigeno, con una giustificazione fornita dall’insegnante. E’ fondamentale comprendere che questo tipo di esperienze non sono di tipo scientifico, e non forniscono nessun motivo valido per lavorare sulle scienze per promuovere capacità nello studente. Questo tipo di scienza è equivalente all’astrologia, però poi si dovrebbe essere coerenti e non affermare di insegnare scienze.

Osservazioni analoghe possono essere fatte per l’introduzione di modelli atomici nella scuola primaria; questo non significa che non si possano fornire informazioni anche in risposta a curiosità degli studenti, ma è cosa ben diversa impostare, ad esempio, l’insegnamento della chimica a partire dal modello atomico, o lo studio delle forze dalle leggi della dinamica.

In un processo di apprendimento di tipo costruttivistico, in un processo cioè che dà valore alla costruzione della conoscenza da parte dello studente e non alla sua riproduzione, che presenta compiti contestualizzati piuttosto che astratti, che alimenta la riflessione, che valorizza rappresentazioni multiple della realtà, che tiene conto delle dinamiche che facilitano o ostacolano la costruzione della conoscenza, l’attività dello studente è allora fondamentalmente di tipo cognitivo. Gli eventi devono essere situati in un contesto per comprenderne lo svolgimento e le modificazioni apportate al contesto stesso. Il laboratorio che ha senso è allora una sorta di laboratorio mentale: questa affermazione non ha niente a che vedere con la necessità di andare in laboratorio, ma vuole semplicemente mettere in evidenza che non è attraverso l’attivismo in laboratorio che si costruisce conoscenza. Gli studenti possono anche non effettuare in prima persona tutte le esperienze di laboratorio, è importante però che in prima persona tutti possano gestire il proprio laboratorio mentale.

Le discipline devono svolgere il compito di permettere allo studente l’acquisizione di competenze. Sono le competenze, poi, che contribuiscono a quel sapere unitario che permette all’individuo di orientarsi in una società complessa e in rapida evoluzione.

Le conoscenze rappresentano un aspetto delle competenze ma accanto alle conoscenze devono essere presenti anche competenze di tipo metodologico e operativo. Le competenze di tipo metodologico dicono sostanzialmente come si fa, ad esempio nell’organizzare o nel valutare; le competenze di tipo operativo permettono di fare, di realizzare. Le competenze sono anche di tipo comunicativo permettendo l’uso di linguaggi in contesti appropriati, di rappresentare e documentare. Infine si può parlare di competenze personali intendendo gli atteggiamenti di responsabilità e le motivazioni che ci guidano.

Per formare competenze la scelta dei tempi deve essere adeguata. E’ vero che in questa società di forte competizione la rapidità è considerata una dote, per cui l’insegnante che procede lentamente non è più un buon insegnante, un insegnante al passo coi tempi, ma è anche vero che non calibrare i tempi sugli studenti significa o far perdere motivazione, e quindi produrre disturbo, o costruire una conoscenza da usare soltanto in ambito scolastico.

Le fasi della metodologia per l’insegnamento delle scienze nella scuola di base

            Per la scuola di base possiamo far riferimento alla proposta metodologica, in cinque fasi, sviluppata da C. Fiorentini (1999).

La prima fase è di tipo osservativo. Di conseguenza i percorsi didattici devono essere progettati pensando a fenomeni che possano essere sperimentati e osservati dagli studenti.

            La seconda fase è quella della verbalizzazione individuale scritta. E’ in questo modo che si costruisce una prima struttura logica e si va al di là di una osservazione che resta nel piano della superficialità. E’ il linguaggio che permette questa riflessione e in particolar modo il linguaggio scritto, più che quello orale, permette di iniziare il processo di concettualizzazione fornendo a tutti la possibilità di esprimersi, senza i condizionamenti dovuti al linguaggio orale, specie quando si ha a che fare con classi numerose. In questa fase il linguaggio scritto usato dagli alunni deve essere il più libero possibile. E’ opportuno non dare consegne che non possano essere soddisfatte, troppo generiche, ma indicare chiaramente qual è il compito da svolgere: descrivere, oppure classificare, oppure mettere in evidenza somiglianze e differenze o altro. Dopo la prima fase di osservazione libera si possono introdurre strumenti che permettano agli studenti di svolgere molto più agevolmente confronti e descrizioni di esperimenti e osservazioni. Ad esempio nel caso delle soluzioni è probabile che molti bambini non siano in grado di costruire una tabella a doppia entrata significativa per l’osservazione del fenomeno, in questo caso è l’insegnante che fornirà la tabella, ma il tentativo di averla costruita farà assumere alla tabella un valore diverso rispetto a una tabella accettata acriticamente. In alcuni casi, la rappresentazione del fenomeno potrà avvenire per mezzo di disegni o di schemi grafici più che attraverso una descrizione verbale scritta.

            La terza fase è quella della discussione verbale collettiva. Questa fase ha significato soltanto se preceduta dalle due fasi precedenti. Non si possono cercare scorciatoie che comporterebbero soltanto un’analisi superficiale del fenomeno, l’intervento di pochi bambini, probabilmente sempre gli stessi, e l’omologazione del pensiero degli altri ai primi intervenuti.

            La quarta fase consiste nell’affinamento della concettualizzazione ed è strettamente legata alla terza. Questa fase rappresenta il momento in cui confrontate le opinioni, le descrizioni, le classificazioni di ogni bambino in base a quanto emerso nella seconda fase, si dà la possibilità a ognuno di correggere, modificare e integrare la propria concettualizzazione.

            Infine nella quinta e ultima fase si opera una sintesi collettiva del materiale prodotto e condiviso dall’insegnante. Il ruolo dell’insegnante come regista di tutto il processo è fondamentale se non vogliamo che gli alunni si perdano per strada. E’ compito dell’insegnante far sì che si realizzi una sintesi scritta chiara e corretta, comune a tutti gli studenti, che deve trovare posto nel quaderno di ogni alunno e che indichi il resoconto del processo di costruzione di conoscenza operato.

            La metodologia proposta allunga i tempi del lavoro in classe, ma è necessario essere coscienti che eventuali scorciatoie, ad esempio passare direttamente dalla osservazione alla discussione in classe e poi alla sintesi del fenomeno magari per mezzo del manuale scolastico o delle impressioni ricavate dalla discussione in classe, non portano a nessuna costruzione di conoscenza.

L’attività deve essere impostata su fenomeni che si possano sperimentare e osservare permettendo al bambino di confrontare, ordinare, escludere, verificare, elaborare ipotesi, organizzare allo scopo di operare classificazioni, definizioni e giustificazioni di ciò che si sta facendo. I contenuti non possono essere quelli della tradizione specialistica anche se elementare della disciplina, ma devono essere fenomeni accessibili che permettano la classificazione, la definizione e la giustificazione. Con riferimento a Dewey (1961), si può intendere la classificazione come estensione e la definizione come intensione, il cui significato è cioè omogeneo e autodelimitato. Lo studio delle soluzioni proposto in seguito per il curricolo della scuola di base permette attraverso l’osservazione attiva del fenomeno, la classificazione di sostanze solubili o insolubili in acqua, la definizione operativa di soluzione, la giustificazione attraverso l’ipotesi di un semplice modello particellare proposto dai bambini. Lo studente può operare sui fenomeni proposti con gli strumenti della classificazione e della definizione per costruire definizioni operative. Un approccio quindi di tipo fenomenologico – operativo, che non vede nella sperimentazione per la sperimentazione il fine ultimo, un attivismo che non costruisce, ma ha come riferimento la creazione di concetti e di reti di concetti.

Costruire conoscenza non significa osservare e mettere assieme pareri raccolti qua e là, ma permettere che il maggior numero di studenti costruisca una struttura narrativa. Dice Bruner (1997): <<Il processo di fare scienza è narrativo. […] Nel corso della produzione di ipotesi verificabili giochiamo con le idee, cerchiamo di creare anomalie, cerchiamo di trovare belle formulazioni da applicare alle contrarietà più intrattabili in modo da poterle trasformare in problemi solubili, inventiamo trucchi per aggirare le situazioni intricate. […] La nostra istruzione scientifica dovrebbe tener conto in ogni sua parte dei processi vivi del fare scienza, e non limitarsi a essere un resoconto della “scienza finita” quale viene presentata nel libro di testo, nel manuale e nel comune e spesso noiosissimo “esperimento di dimostrazione”>>.

Anche a scuola dobbiamo stimolare questo processo narrativo tenendo conto che negli studenti prevalgono i passaggi logici deboli, l’induzione popolare, un uso improprio dei ragionamenti probabilistici che, comunque, assumono, per lo studente, il valore di ragionamento logico, coerente e affidabile. Da questa forma di narrazione si deve passare alla narrazione descritta da Bruner, ma affinché quanto affermato sopra renda la didattica efficace è necessario che:

·        gli studenti siano chiamati a lavorare su percorsi adeguati alle loro capacità, percorsi sui quali possano esprimere le loro idee. Al contrario molti degli argomenti trattati tradizionalmente non permettono altro che un ricordo facile e breve, cioè la memorizzazione cieca dei risultati finali, utilizzati in esercizi artificiali.

·        I tempi utilizzati siano adeguati all’apprendimento. Afferma ancora Bruner: “Il nemico della riflessione è il ritmo a rotta di collo – le mille immagini. […] Nell’apprendimento delle materie scientifiche “di meno è di più ””.

Si tenga presente, come afferma Montaigne, che è meglio una testa ben fatta che una testa ben piena.

La metodologia della scuola secondaria

            E’ solo dopo aver operato in questo modo nella scuola primaria che nella scuola secondaria si può passare a una fase successiva in discontinuità con quanto detto fin qui. E’ evidente che non tutti i fenomeni possono essere presentati partendo da una base osservativa, una cosa è trattare le soluzioni partendo col mescolare del sale o dello zucchero in acqua, un’altra è pensare di introdurre le leggi della dinamica partendo dall’osservazione in laboratorio. Ma questa seconda fase si può sviluppare proficuamente solo se nella scuola primaria si è lavorato nel modo descritto. L’impostazione sperimentale  è ancora importante anche se l’operatività mentale resta sempre quella fondamentale. Nel biennio della scuola superiore si può allora pensare di introdurre gli studenti alla comprensione dei concetti di base della struttura specialistica, ad esempio le leggi della dinamica per la fisica e i concetti di elemento, composto e trasformazione per la chimica e nei trienni, nel caso che la disciplina venga trattata, affrontare questioni più specialistiche quali alcune delle teorie sia della chimica che della fisica di questo secolo.

            Il ruolo del porsi domande è qui fondamentale: perché, ad esempio, Galileo si è posto il problema di definire l’accelerazione come variazione di velocità nell’unità di tempo piuttosto che nell’unità di spazio? Per dirla con Arons (1992), “come facciamo a sapere che“? Questo è il tipo di domande sulle quali lavorare, piuttosto che fornire risposte a domande che non sono mai state poste.

            L’attività di laboratorio non deve essere riservata soltanto alla dimostrazione di una qualche legge o all’acquisizione di abilità pratiche, ma soprattutto ad agganciare alcuni dei nodi collegati all’esperienza, alla rete teorica della metafora di Hempel: l’insegnante deve aver chiaro che i fatti non giustificano le teorie. Le strutture interpretative, la rete, devono essere costruite dallo studente e non c’è alcuna speranza che possano sorgere per mezzo di qualche esperimento di laboratorio o di qualche presentazione più o meno convincente. Anche in questo caso devono essere costruiti percorsi che però richiedono allo studente una discontinuità rispetto al passato in quanto non si tratta più di lavorare su fenomeni che possono essere classificati, definiti e dei quali si possa ricercare una giustificazione, adesso si passa dalla definizione operativa di grandezze alla costruzione teorica. Non si tratta di generalizzare osservazioni empiriche ma di portare gli studenti a lavorare su modelli e ad acquisire una visione sistemica d’insieme.

In questo caso la riflessione storico – epistemologica assume un ruolo importante, non solo per la progettazione didattica, ma anche per risolvere passaggi significativi nella didattica in classe. La didattica delle discipline assume allora un ruolo più ampio e può anche avvicinare alle scelte operate da scienziati del passato, alla partecipazione collettiva e democratica della scienza, al divenire delle conoscenze scientifiche, al ruolo della scienza nella nostra società.

 Perché studiare le scienze

            Lo studio delle discipline scientifiche deve servire ad aprire nuovi orizzonti della mente combattendo modi di pensare e vedere il mondo, comuni a molti, ma fuorvianti e che fanno ricorsi a generalizzazioni basate su induzioni che considerano pochi, o un solo elemento, emotivamente forte. Molti studenti sono ben lontani dal fornire spiegazioni dalle quali sia possibile ricavare una causalità fra eventi che non sia dettata da una semplice associazione di idee estemporanee. Siamo talvolta vincolati a un pensiero, che, pur non abbandonando la ragione, talvolta la sospende per tirare delle conclusioni che paiono completamente logiche. Molte persone, molti “cittadini”, sono propensi a utilizzare ragionamenti, all’apparenza corretti, per spiegare i più diversi fenomeni. Ad esempio, in alcune cure “miracolose” si tende a sostituire l’indagine statistica con la conoscenza di pochi casi a esito positivo. D’altra parte tutti i quotidiani e le televisioni forniscono l’oroscopo del giorno. La scienza al contrario permette di prendere coscienza di noi stessi e del nostro mondo e delle tante domande alle quali è possibile dare risposta, ma anche di quelle alle quali non è possibile dare risposta.

In particolare lo studio delle scienze deve permettere agli studenti di: sviluppare capacità osservative e descrittive; riconoscere l’importanza dell’immaginazione nello sviluppo dei concetti scientifici; confrontarsi con definizioni operative; comprendere come possa formarsi una teoria; capire la differenza fra osservazione e deduzione; formulare e accettare provvisoriamente una ipotesi; confrontare le proprie opinioni all’interno della comunità – classe; correggere i propri errori; essere in grado di acquisire dei dati e di elaborarli; comprendere che le definizioni sono enunciazioni provvisorie.

Lo studio della scienza deve servire a mettere in discussione conoscenze ritenute certe, a sviluppare un atteggiamento critico. L’insegnante deve operare per sviluppare il “pensiero critico” e, nella scuola superiore, deve farne partecipe costantemente gli stessi studenti. Tutte le occasioni sono buone per mostrare che lo studio dei fenomeni fisico – chimici non è fine a se stesso, ma serve a sviluppare le competenze elencate sopra: si devono fornire ragioni valide. Mentre per gli studenti più piccoli l’affrontare in modo opportuno i fenomeni del mondo fisico – chimico può essere sufficiente ad attirare l’attenzione e a creare anche entusiasmo, gli studenti più grandi hanno necessità di una continua giustificazione del lavoro svolto. I percorsi didattici devono essere sviluppati in modo tale da permettere agli studenti di comprendere il perché di questo lavoro: quali capacità si cerca di sviluppare, i tranelli del pensiero di senso comune, l’importanza di non creare, come sosteneva Galileo, mondi di carta, l’importanza delle conoscenze scientifiche per la nostra società, la necessità di un lavoro continuo che investe più persone per arrivare a risultati condivisi, la dimensione Europea per la nascita della scienza moderna. Alla riflessione sulle attività svolte a scuola si deve aggiungere questa “riflessione sulla riflessione” che giustifica il lavoro svolto. Gli insegnanti devono comprendere che permettere allo studente questa metariflessione è fondamentale: nessun studente mette in dubbio la necessità degli esercizi imposti dall’allenatore sportivo. Lo stesso deve accadere anche a scuola affinché la stragrande maggioranza degli studenti non affermi più, come accade ora, che ciò che si è studiato a scuola non è servito a niente.

            L’elemento di riferimento è la formazione democratica e lo sviluppo di capacità osservative, logiche e linguistiche nello studente. Questi obiettivi di carattere più generale non devono restare sullo sfondo di un processo quotidiano che procede per conto proprio, ma devono essere calati nelle modalità effettive di fare didattica in classe. E’ democratico permettere a un numero più grande possibile di studenti di partecipare alle attività svolte in classe con contributi personali, favorire l’apertura mentale, dare importanza al confronto e al dialogo, coinvolgere emotivamente gli studenti su materiali cognitivamente adeguati alla loro età. Ciò permette di sviluppare quelle capacità osservative, logiche e linguistiche di cui si diceva prima. Non è altrettanto democratica una didattica basata su un modello di conoscenza enciclopedico, che non rispetta i tempi, dogmatica e rigida, che dice di lavorare sulla scienza ma in realtà con la scienza non ha niente a che vedere, che obbliga lo studente alla riproduzione passiva di quanto trasmesso in classe.

La proposta per i fenomeni fisico – chimici nella scuola elementare e media.

            La proposta che viene qui sviluppata è in stretta connessione con la metodologia in cinque fasi descritta in precedenza. L’insieme composto da metodologia, contenuti, ma anche della riflessione sulla struttura della disciplina, ben diversa da quella tradizionale, dalle considerazioni sulle concezioni degli studenti, porta a costruire il curricolo per l’insegnamento dei fenomeni chimico fisici. Il curricolo proposto tiene anche conto di un laboratorio possibile che permetta di costruire concetti attraverso l’osservazione, la descrizione e la giustificazione di fenomeni non specialistici o di livello formale superiore. Le competenze necessarie a sviluppare una ipotesi di curricolo si possono raggruppare in quattro ambiti relativi alla (Fiorentini (1999)):

1. disciplina

2. epistemologia e storia della disciplina

3. scienza dell’educazione

4. riflessione sull’esperienza.

            E’ da qui che scaturisce la didattica: la scelta degli argomenti da trattare non può più essere funzione della sola disciplina. Questo ci fa comprendere quanto insensata possa essere una pedagogia per obiettivi, peraltro abbastanza praticata a scuola, che fissa una serie di obiettivi, tutti magari condivisibili, e poi cerca di perseguirli partendo soltanto dalla disciplina accademica.

            E’ solo lavorando su questi terreni, in un contesto che fa riferimento alla complessità, che si può costruire un’ipotesi di curricolo che abbia possibilità di successo. Nella tradizione, ad esempio, liquidi, solidi e gas sono trattati in un unico capitolo, ma sia la riflessione storico – epistemologica che quella sulle concezioni degli studenti mostra chiaramente la differenza fra la concettualizzazione dei liquidi e dei solidi e quella dei gas. E’ allora evidente che lo studio dei gas dovrà essere presentato agli studenti in epoche successive limitandosi in una prima fase all’evaporazione dell’acqua.

Abbiamo parlato di un contesto relativo alla complessità con riferimento ad alcuni dei principi che E. Morin (2000) indica come principi guida: lo stretto rapporto fra il tutto e le parti, la necessità di ritrovare la generalità di ciò che si sta facendo anche nelle singole parti, la presenza di una costante retroazione, la presenza di un’organizzazione che dal rapporto ciclico studenti – curricolo permette lo sviluppo di competenze, la stretta relazione fra il lavoro instaurato in classe e le scelte fatte sul curricolo per generare autonomia nei soggetti che apprendono, la presenza costante dei due principi opposti di ordine – disordine costantemente presenti e entrambi necessari allo sviluppo della didattica in una tensione costante dal disordine all’ordine, coscienti della facilità del riemergere delle concezioni che si tenta di superare; infine la consapevolezza che la conoscenza si attua attraverso la ricostruzione di schemi interpretativi in un contesto definito. Ben poco valore avrebbe far riferimento alla complessità proponendo ai ragazzi della scuola elementare, come elemento di partenza, la nascita dell’universo con la formazione di particelle, atomi e molecole, transitare attraverso la nascita della vita e concludere in un ambito antropologico, sociologico o psicologico (eppure queste sono alcune delle proposte che circolano).

Vediamo quindi la proposta per la scuola di base (Fiorentini (1999)).

Scuola elementare

Primo ciclo

1. Dagli oggetti ai materiali

Identificazione e descrizione degli oggetti

–            inizialmente descrizione libera

–            successivamente descrizione indirizzata principalmente alle proprietà

–           giochi con gli oggetti e le proprietà

Classificazione di oggetti in base a una o due proprietà. Le parti di un oggetto

I primi confronti

–           più alto di, il più alto

–           più pesante di, il più pesante

–           più duro di, il più duro

Identificazione di alcuni materiali

–           dato un oggetto, individuare i materiali

–           dato un materiale, individuare gli oggetti

–           il raggruppamento dei metalli e delle leghe

–           alcune proprietà dei metalli: conducibilità del calore, lavorabilità

–            riconoscere il ferro dagli altri metalli per mezzo della calamita

Secondo ciclo

2. Il fenomeno della combustione

–            effettuazione e descrizione della combustione di alcuni materiali (carta, legno, e altri)

–            somiglianze e differenze

–            definizione del fenomeno

–            importanza del combustibile nella vita quotidiana

–           un combustibile artificiale: il carbone di legna

–           la combustione e l’inquinamento

3. La solubilità

–            riconoscimento di tre sostanze: zucchero, sale, polvere di marmo

–            esperimenti di solubilizzazione in acqua

–            raggruppamenti di sostanze che si comportano con l’acqua in modo simile

–            definizione operativa delle soluzioni

–            recupero delle sostanze iniziali

–            spiegazione particellare del termine solubile

4. Il peso

–            avendo a disposizione diversi oggetti, come si fa a stabilire chi è il più pesante?

–           primo ordinamento non metrico

–            costruzione di una bilancia a bracci uguali

–           si può stabilire chi pesa di più, o si può anche constatare di quanto pesa di più?

–           quali oggetti si possono usare come unità di misura per il peso?

–           unità di misura di peso convenzionali: grammi, chilogrammi, e altro

–           utilizzo di bilance a bracci uguali; portata e sensibilità

5. L’evaporazione dell’acqua

–            descrizione del riscaldamento dell’acqua

–            definizione del fenomeno dell’ebollizione dell’acqua

–           che cos’è il fumo?

–           la distillazione dell’acqua

–           l’acqua distillata

–           le acque minerali

–           che cosa sono le bolle che si formano durante l’ebollizione?

–           l’acqua bolle a 100°C; primi grafici temperatura – tempo

–            l’evaporazione dell’acqua

–           il “fumo” è vapore acqueo?

–           come mai il vapore acqueo non è visibile?

–            dall’evaporazione di soluzioni si ottengono cristalli

–           il ciclo dell’acqua

6. Liquidi e solidi

–           le proprietà più evidenti dei liquidi e dei solidi

–           se si inchina un bicchiere, come si dispone l’acqua contenuta?

–           nei liquidi, la superficie libera si dispone orizzontalmente quando sono versati

–           quale concetto hanno i bambini di orizzontale e verticale?

–           come si dispongono gli alberi e le case in montagna?

–            definizione operativa di verticale e orizzontale

–           liquidi viscosi e polveri

7. La fusione e la solidificazione

–           la fusione del ghiaccio

–           la solidificazione dell’acqua

–           la fusione e la solidificazione della cera, della paraffina, dello stagno e del burro

–           solido <– fusione, solidificazione –> liquido

8. Il volume e la capacità

–            quando si travasa dell’acqua da un recipiente a un altro di forma diversa, la quantità d’acqua cambia o si conserva?

–           con recipienti di forma diversa come si fa a stabilire chi contiene più acqua?

–           come si fa a misurare un corpo liquido?

–           si può misurare il peso; si può misurare lo spazio occupato, il volume, per mezzo di recipienti più piccoli

–           misure di capacità: il litro, suoi multipli e sottomultipli

–           il cm3, il dm3, il m3 e le loro relazioni; costruzione di cubi di volume pari a 1 cm3, 1 dm3, 1 m3

–            seriazione sia in relazione al peso che al volume di oggetti di volume leggermente diverso e dello stesso materiale o di materiali diversi

–            all’aumentare della temperatura, mentre il peso rimane inalterato, il volume aumenta: la dilatazione

–            durante la fusione, mentre il peso rimane inalterato, il volume aumenta

–           il comportamento anomalo dell’acqua

–           la conservazione della sostanza, del peso, del volume in semplici modificazioni di forma

Scuola media

9. Aspetti qualitativi della velocità

–           il movimento

–           verso il concetto di velocità

–           la costruzione di grafici spazio – tempo

–            approfondimento: costruzione e interpretazione di grafici

–           la definizione di velocità

10. Le classi degli acidi, delle sostanze basiche e dei sali

–           gli acidi hanno la proprietà di sciogliere alcune sostanze insolubili in acqua quali, ad esempio, il calcare e alcuni metalli

–           il tempo di solubilizzazione

–           la distinzione fra le modalità di sciogliere degli acidi e dell’acqua

–           la distinzione tra trasformazione fisica e chimica

–           che cos’è l’effervescenza?

–           la velocità di reazione

–           la distinzione fra acidi forti e acidi deboli

–           la scoperta degli acidi minerali

–           la produzione dell’acido solforico per decomposizione del vetriolo

–           anche le sostanze basiche hanno la proprietà di sciogliere alcune sostanze insolubili in acqua

–           alcune sostanze basiche

–           la produzione del sapone

–           la reazione di neutralizzazione tra acido cloridrico e soda

–           la distinzione fra acidi e sostanze basiche

–           i sali

–           la preparazione di un indicatore mediante estrazione con alcol del colore dei fiori

–           la cartina indicatrice universale

–            l’estrazione della potassa dalla cenere

11. Le forze

–           che cosa significa forza, fare forza, essere forti?

–           fare raggruppamenti dei vari tipi di forza

–            confronto fra forze muscolari per mezzo di estensori

–            deformazione di altri oggetti

–           le deformazioni a cosa sono dovute?

–            rappresentazione di forze

–           gli effetti delle forze

–            bilancia e forze: la forza – peso

–            campioni di forza – peso

–           il dinamometro

–            l’equilibrio

12. Il peso specifico

–            distinzione fra “pesante” e aver maggior peso

–            determinazione del peso specifico dell’acqua

–            determinazione del peso specifico dell’olio

–            determinazione del peso specifico dei solidi regolari

–            determinazione del peso specifico dei solidi irregolari

–            significato del rapporto che definisce il peso specifico

13. Il galleggiamento

–            equilibrio

–            principio di Archimede

–            galleggiamento

–           il galleggiamento dell’olio sull’acqua

–           il galleggiamento delle navi

14. Temperatura e calore

–            determinazione della temperatura di fusione della naftalina

–           la temperatura di fusione delle sostanze solide

–           il ghiaccio fonde a 0°C

–            distinzione tra temperatura e calore

–           la costruzione di un termometro

–            termometri non confrontabili e termometri confrontabili

15. Elettricità e magnetismo

–           cosa accade se si strofina una bacchetta di plastica con un panno di lana e si avvicina la bacchetta a un piccolo frammento di carta

–            attrazione e repulsione di bacchette di vetro e di plastica

–           quanti tipi di carica esistono

–            conduttori e isolanti

–            distinzione fra oggetti attratti e non attratti dalla calamita

–            attrazione e repulsione di calamite, i poli della calamita

–            magnetizzazione di oggetti di ferro

–           i poli terrestri

–            inseparabilità dei poli della calamita

–            costruzione di una bussola

–            riflessione storica sui fenomeni elettrici e magnetici

16. L’ottica

–           la luce si propaga dalla sorgente luminosa o forma un alone attorno a questa?

–           la luce si propaga in modo rettilineo?

–           prime esperienze sulla riflessione della luce

–           legge della riflessione

–            superfici riflettenti e non.

La scelta dei percorsi deve essere tale da permettere la costruzione di una rete di concetti. Ad esempio un filo conduttore è quello del peso, dei liquidi e dei solidi, del volume e della capacità, delle forze, del peso specifico e del galleggiamento. Il percorso complessivo, dal peso al galleggiamento, deve avere una sua coerenza interna e non ridursi a una sequenza di argomenti. Il galleggiamento diventa la tappa conclusiva che permette di recuperare quanto fatto e sviluppare conoscenze contestualizzate in un ambito nuovo. Il galleggiamento è presente in alcune proposte della scuola elementare, e anche della scuola materna, ma quale utilità può avere per gli studenti? La concettualizzazione del  galleggiamento con riferimento al principio di Archimede non è certo alla portata dei bambini della scuola elementare. Inoltre considerati i tempi attualmente a disposizione per lo studio delle scienze, questa scelta non pare proprio praticabile.

Abbiamo messo in evidenza uno sviluppo verticale del percorso dal peso al galleggiamento, ma parallelamente a questo è necessario sviluppare i concetti di  movimento e velocità affinché lo studio della dinamica e di concetti complessi quali quelli di massa e accelerazione, non presenti nella proposta per la scuola di base, possa essere affrontato nella scuola secondaria (Barsantini (5/2000)).

Osservazioni analoghe possono essere fatte per le trasformazioni fisiche e chimiche o per la costruzione dei concetti di temperatura e calore.

Gli argomenti presentati, pur essendo inferiori, come numero, a quelli delle trattazioni classiche, possono essere ulteriormente ridotti se le esigenze della classe lo richiedono. Si tenga presente che questa proposta deve essere affiancata dallo studio di fenomeni biologici.

Il primo capitolo del libro di testo è dedicato al metodo scientifico (capita anche che qualcuno si senta in dovere di dedicare alcune lezioni a trattare il “metodo scientifico” nella scuola di base!), il secondo alla misurazione. Pensare di trattare problematiche relative alle misurazioni o agli errori, svincolate da un contesto ben preciso significa perdere del tempo. E’ del tutto assurdo pensare di introdurre gli strumenti di misura e le misurazioni senza parallelamente operare sulle grandezze da misurare. L’interazione fra grandezza e strumento deve avvenire contestualmente come ben si comprende dallo studio della nascita del termometro e del concetto di temperatura (Barsantini (7-8/2000)).

Lo sviluppo dei percorsi qui presentati oltre a creare una rete di concetti in ambito fisico chimico, deve servire a sviluppare una trasversalità con altri ambiti quali l’educazione linguistica, i fenomeni biologici, la matematica. La trasversalità non va confusa con l’interdisciplinarità, anzi in una fase in cui si costruiscono le discipline ciò comporterebbe soltanto confusione. Si deve invece operare usando le capacità linguistiche per sviluppare quelle di tipo descrittivo in una sorta di processo retroazionato che a sua volta dà impulso anche alle capacità linguistiche. A questo proposito abbiamo già messo in evidenza l’importanza della narrazione nel fare didattica della scienza. Si può comprendere il concetto di velocità attraverso l’uso di diagrammi cartesiani, ma a sua volta i diagrammi cartesiani prendono sostanza dallo studio di situazioni concrete riferite all’ambito della velocità. In particolare i collegamenti con la matematica sono presenti in tutto il percorso: i grafici e la velocità, la proporzionalità diretta e le forze, la geometria e l’ottica, le misure e gli errori, i rapporti e il peso specifico, il volume e altri ancora evidenti nella proposta.

In definitiva tutti i percorsi devono servire a creare un’unica rete di concetti.

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